Capitolo 19

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Apro gli occhi nel buio, senza fiato. La fioca luce che penetra dai bordi della tapparella chiusa lasciano appena intravedere la forma del lampadario a palla, sopra di me. Tuttavia, l'ultima immagine del sogno, pur nel suo essere confusa e vaga, è ancora fissata nella retina e si sfuma col grigio del soffitto. 

Stavo cercando con tutte le mie forze di trascinarmi fuori da una palude, ero immerso per due terzi nell'acquitrino, ma... c'era un corpo, nudo... un cadavere, in apparenza, che mi teneva bloccato; e più io tentavo di spingerlo via, più diventava pesante, e duro, e le sue braccia esanimi mi serravano in una stretta convulsa, e mi sono sentito premere sulla giugulare.

Ancora adesso mi sembra di sentire una pressione sul collo. Ancora adesso faccio fatica a respirare.

Mi sollevo da quel bagno di sudore. Cerco a tentoni il cellulare sul comodino, ma non lo trovo. Mi sporgo dal materasso, mi accorgo che è caduto a terra, sullo scendiletto, lo schermo rivolto verso il basso.

Mi gira la testa. Vorrei sapere che ore sono.


– Buongiorno, Gianmarco. O meglio... buon pomeriggio.

Appena metto piede fuori dalla mia stanza, trovo la voce gentile della moka ad accogliermi, assieme alla luce diurna, soffusa nel disimpegno. Sollevo lo sguardo dallo schermo del telefono, mi volto verso la porta aperta della cucina. 

Lei è lì, sul piano di scolo del lavello.

Sono confuso. Non ricordo di averla spostata di stanza. Mi aspettavo di ritrovarla dove l'ho lasciata ieri notte, cioè: in salotto, ancora appoggiata sul tavolino da fumo, accanto al portatile.

Ieri sera o, per esser precisi, la notte tra martedì... e mercoledì. Ma allora perché sul display c'è scritto "13:45, GIO 23 MAR"?

Mi stropiccio gli occhi, ciabatto con lentezza in direzione della moka. Mi ci vuole un po' per mettere insieme tutte le informazioni.

– Ho dormito un giorno intero?! – le chiedo. – No, di più. Minchia, Trentasei ore di fila...?!

– Hai passato molto tempo a letto, sì. Ma non in modo continuativo. Ieri mattina ti sei alzato, a un certo punto. Sei stato sveglio per diverse ore.

– Ma... Ma io...

– Non te lo ricordi, certo, – mi anticipa. – Più che comprensibile: avevi la mente parecchio annebbiata. Eri preda di una sorta di stato sonnambolico e, al contempo, delirante.

– Cosa?!

– Ma non devi preoccuparti, mi sono presa cura io di te.

– C-cioè...?

– Ti ho parlato, nulla più. Ho cercato di tenerti tranquillo, impegnato con la conversazione, per far sì che il tuo delirio rimanesse contenuto e non degenerasse...

Sono allibito. Fisso la moka con gli occhi sbarrati, la bocca semiaperta, sono ancora troppo intontito dal sonno per riuscire a rispondere qualcosa.

– ...e per fare in modo di tenerti in casa. 

– P-perché...? Volevo uscire?

– Hai avuto una mezza idea di farlo, a un certo punto, sì. Ma non eri in te, non era il caso.

– Oh, Cristo. – Appoggio il cellulare sopra il microonde. Strizzo gli occhi e affondo la faccia nei palmi delle mani, nel tentativo di riprendermi.

– Ti ho anche convinto a prepararti qualcosa da mangiare.... Vedi la tazza sporca nel lavandino...? Certo, non ti avrei permesso di arrischiarti con l'uso dei fornelli. Ci siamo mantenuti sul semplice. Latte di soia e muesli al cioccolato.

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