– Senti, prima di entrare...
C'è una gradevole frescura nella tromba delle scale del palazzo in cui vive Anna. Si tratta di uno di quei vecchi edifici storici, dai muri spessi e dalla pavimentazione gelida. I gradini hanno gli spigoli consumati soprattutto al centro, là dove il passo dei condòmini ha consumato la pietra col suo continuo scendere e salire, nel corso dei decenni.
– Dimmi. – Cerco il suo sguardo. Lei si è bloccata a metà del pianerottolo, il collo girato verso di me, dalla sua posizione sopraelevata. Entrambi parliamo con voce sottile, intimoriti dall'eco.
– C'è Bea in casa, – mormora quando la raggiungo. Stringe la cinghia della borsa a tracolla al centro del petto. – Tu, se la vedi un po' imbronciata, non farci troppo caso. Fa sempre così, è solo poco socievole. Non dipende da te.
– Figurati.
– Bene. – Fa un cenno d'assenso col mento, poi riprende a salire. – Ah, Ricorda: si chiama Bea. O Beatrice. Okay? Non dimenticarlo, – sibila concitata mentre apre una zip della borsa e ne estrae il mazzo di chiavi.
– E perché dovrei dimenticarlo?
Il suo viso si contrae in un'espressione confusa, sbatte le palpebre. Poi scuote il capo. – Giusto, perché dovresti? Scusa, dico cose a caso, sono solo... un po' nervosa.
– Giuro, farò il bravo, non ti preoccupare.
Così, Anna sorride e spinge la porta verniciata d'azzurro verso l'interno.
– Bea! – chiama subito a voce alta, mentre si sfila la borsa dal collo e l'appoggia sulla penisola angolare della cucina. – Ci sei? Siamo arrivati!
Mi guardo attorno, incerto su dove stanziarmi. Questo appartamento è ancora più piccolo di quello di Davide: salotto e cucina sono riuniti in un unico ambiente aperto su corridoietto claustrofobico e buio, che dà accesso... a tre porte, mi pare. Solo quella di mezzo è socchiusa: riesco a intravedere le piastrelle cerulee del bagno.
Poi, sull'ultima stanza in fondo al corridoio si apre uno spiraglio. Ne sbuca un ovale perfetto, incorniciato da due ciocche lunghe e bionde. Le palpebre inferiori sono sbavate di un trucco scuro che, subito, evidenzia il gelo dello sguardo che mi si punta addosso come quello di una fiera.
– Mi ero appisolata, – la voce arrochita. Poi spalanca la porta. – Oh.
Le gambe, lunghe e magre, sono strette in un paio di leggings grigio chiaro che le lasciano scoperte le caviglie e, sopra, un largo maglione bordeaux scende fino alle cosce.
– Eccoci. – Anna si fa avanti, un po' affannata. – Bea, questo è Gianmarco, ti ho già parlato di lui... E Gianmarco, questa è Bea, la mia coinquilina.
Una stretta di mano, un paio di "piacere" atoni aleggiano nella penombra. Bea tiene le iridi chiare, ma spente, fisse sul mio viso. Mi guarda dritta negli occhi, non dal basso verso l'alto, ma dritta, alla pari. Mi mette a disagio. La cognizione confusa che Anna sia molto più nana di quel che pensavo, a confronto, mi distrae per qualche secondo. Ritiro la mano e me la rimetto in tasca. Ho fatto il mio dovere sociale, credo.
– Bene. Ehm... – Anna si schiarisce la voce. – Qualcuno vuole un caffè?
– Sì! – esclamo. – Un caffè! Che bell'idea!
– Quanto entusiasmo! – La mia ragazza ridacchia tra i denti mentre si volta di spalle, fa il giro attorno alle penisola della cucina e raggiunge la macchinetta del caffè sul ripiano in gres porcellanato. – E tu, Bea? – Mi sento un po' deluso, speravo avessero una moka anche loro.
– No... Io no, lascia stare... Tanto devo uscire, adesso.
– Oh. Proprio ora? – Anna è ancora di spalle, di fronte allo sportellino delle capsule aperto. – Pensavo avremmo fatto una chiacchierata a tre.
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La moka
Mystery / Thriller| WATTYS 2023 SHORTLIST | Come reagireste se, una mattina come tutte le altre, mentre siete in cucina a pensare a cosa prepararvi per colazione, la vostra moka cominciasse a parlare? Salve a tutti. Mi chiamo Gianmarco Gori, sono uno studente fuorise...