Capitolo 7

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– Bene, Gori. Direi che abbiamo finito. – Il professor De Chirico distacca le dita dalla sottile tastiera wireless e distoglie lo sguardo dallo schermo piatto dal suo Apple iMac. Indica il taccuino che tengo in mano. – La lista dei titoli ce l'ha...

– Sì, – sollevo il blocchetto.

– Il prestito interbibliotecario lo abbiamo richiesto... – La sua mano destra veloce vola sul mouse, fa un movimento curvilineo, un paio di click. La finestra del browser si riduce sul desktop. – Ha altre domande? – Ruota la sedia girevole verso di me e si mette perpendicolare alla scrivania, i polsi appoggiati al ripiano.

– Ehm... No, no. – In fretta e furia mi chino in avanti e infilo penna e appunti nella tasca anteriore dello zaino che tengo tra le ginocchia. Richiudo la zip e lo afferro per la spallina. – La... La ringrazio. – Faccio per alzarmi.

– Non c'è di che. – Anche lui si solleva appena, si sporge in avanti e mi tende la mano, in attesa che io gliela stringa. – E adesso... Be'. Vada a scrivere.

– Certo, signore.

– Per qualsiasi dubbio o domanda torni pure qui, o mi scriva una mail. – Con un gesto del braccio mi indica l'uscita. Da qui è possibile sentire i mormorii delle persone in attesa.

– Lo farò. Arrivederci! Grazie!

Esco dal suo ufficio e lascio la porta socchiusa. Mi ritrovo nel piccolo corridoio dell'ala Est. Lungo la parete, chi seduto, chi in piedi, ci sono almeno altri sette studenti. Della Rovere, tra loro, mi saluta con un cenno cordiale del capo. Il contatto oculare tra noi dura solo per un istante; eppure, nonostante la fugacità del gesto, riesco a leggere l'astio e la perplessità nella sua espressione facciale. Ancora si sta leccando le ferite perché il professor De Chirico mi ha fatto passare avanti nella fila, pur dopo aver chiesto il suo benestare con studiata gentilezza. Della Rovere era in attesa prima di me.

Raggiungo il piano terra, attraverso l'atrio e mi ritrovo fuori. Il cielo è terso, l'aria fresca. Dislocati su più livelli lungo la gradinata esterna, diversi gruppi di ragazzi e ragazze stanno seduti a fumare o a mangiare uno spuntino in attesa delle lezioni del pomeriggio. Io ho altro da fare: devo correre fino a Piazza Garibaldi, penso mentre trotto giù per le scale. Sono quasi arrivato al marciapiede quando una figura minuta, che prima stava di schiena e col viso rivolto a Ponte della Vittoria, si gira verso di me.

– Anna! – esclamo.

Mi sorride. – Ehi! Ciao, Gianmarco! – Ha un cappotto diverso da quello che ho macchiato venerdì sera. Stavolta è blu scuro. Immagino non abbia ancora avuto il tempo di portare l'altro in lavanderia.

– D-d-dovevamo vederci in Piazza Garibaldi... Sono... Sono in ritardo?!

– No, tranquillo, non sei in ritardo, sono io in anticipo. È solo che... ero già pronta per uscire, non avevo niente da fare... Quindi sono venuta fin qui. Tanto mi avevi detto del ricevimento. – Corruga lo sguardo. – Ho sbagliato? Dovevo avvisare?

– No, macché, – mi esce con tono, forse, un po' troppo acuto. – F-figurati.

Davvero, non riesco a credere ai miei occhi. Prima, mi invita lei a uscire... E poi... mi viene pure incontro. Come se non vedesse l'ora di vedermi! Tutto il mio corpo è attraversato da una scarica potentissima di endorfine, un calore denso si spande dal centro del petto. – Vuoi... Vuoi andare subito? O magari vuoi passare da un bar, o d-da una p-panineria... per... mangiare qualcosa?

– Hm. – Anna sembra riflettere sulla proposta.

– Una crêpe...? Una cioccolata calda...? Una piadina...?

E lei, di colpo, si volta, mi dà le spalle e inizia a camminare. Dopo pochi passi, raggiunge il cancello, esce, e ci ritroviamo sulla via, l'Arno che scorre alla nostra sinistra. – Di solito mangio sempre prima di uscire, proprio per evitare, – sussurra, le dita strette sulla cinghia della borsa, lo sguardo a terra.

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