Capitolo 20

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E il fango secco sul pavimento da spazzare, e lo straccio da passare, e sciacquo le suole contro lo scroscio, butto la cenere giù per lo cesso, e con la spugna in lana d'acciaio gratto il groviglio di tessuto bruciato, ancora e ancora, e insisterò finché non sparisce.

E sudo, ci metto una forza non necessaria, tengo in tensione il bicipite, avanti e indietro, avanti e indietro, a premere la spugnetta contro la superficie d'acciaio, e serro la mascella fino a sentire dolore, non mi fermo a pensare e già mi preparo a compiti successivi, perché forse è il caso di lavare anche il resto dei vestiti che indossavo martedì sera, i pantaloni, per esempio, e il cappotto, e i boxer... E forse dovrei tagliarmi le unghie, per scrupolo, cazzo, perché non so cosa potrebbe farmi incastrare, cosa potrei avere addosso, quali umori, quali tracce di pelle, quali capelli... È sufficiente lo scrupolo. Lo scrupolo spiega ogni cosa.

E sui rimasugli di poliestere spingo così tanto la mano che sembra che voglia sfondare il metallo, farci un buco, precipitare all'interno, poi... mi accorgo che tutto è venuto via. È pulito.

Ed è proprio adesso che mi sento mancare. 

Perché il pensiero, prima o poi, arriva.

Crollo al suolo, seduto per terra, la spugnetta ancora stretta nelle dita bagnate, le maniche tirate sopra i gomiti, non posso fermare il pianto, né i gemiti, né la cantilena. 

– Dio, Serena... Serena...! No, no, no... Serena... no...

Ed è così intensa la paura, la disperazione, l'orrore, che vorrei essere tratto in salvo, vorrei che qualcuno mi offrisse una via di fuga. E c'è lei, c'è solo lei, nella mia vita... di cui io mi possa fidare. C'è rimasta solo lei.

– M-m-moka, – riesco ad articolare tra i singhiozzi. – Lei, lei è... È... È m-m-mor-r-r... – Non posso neanche finire la frase.

– Oh, no... no, Gianmarco, non dire così, – la sua voce dolce, protettiva, mi ricorda una carezza materna, ed è a quel tempo che vorrei tornare, a prima, prima di tutto questo. – Noi non ne abbiamo la certezza, non sappiamo cosa sia successo, di preciso... Lei potrebbe essere viva!

Scuoto la testa piano, mentre le lacrime mi bagnano le guance e scendono fin dentro le labbra screpolate, posso sentirne il sapore. – No... No... 

– Anche se, dobbiamo ammetterlo, – continua lei, pacata, pragmatica, per niente sconvolta, – questo collegamento che non si ripristina, nemmeno dopo quarantadue ore... Certo, è capitato altre volte, anche con altre persone, ma, di solito... l'interruzione non dura più di due ore... L'idea che sia morta, ogni minuto che passa...

La spugnetta mi cade di mano, rotola sul tappetino di cucina, di fianco a me. Mi prendo la testa tra le mano. – Dio... Oh, Dio...

– Ciò che mi colpisce, Gianmarco... e credo che la cosa non ti sia passata inosservata... è che, di solito, capita in circostanze molto specifiche, che hanno a che fare... con l'attività carnale.

– No... Basta, basta... No...

– Ora, l'accostamento delle due cose, mi segui...? Il sesso, intendo, unito alla sua sparizione... e all'ipotesi della sua morte... Insomma. Non lascia ben pensare.

E niente, di ciò che sta dicendo, è nuovo nella mia testa. Ci ho già pensato. Lo sta solo portando alla luce.

– Io n-n-non c'entro, m-m-moka... 

– Oh, tesoro...

– Non... Non le ho f-f-fa-f-fatto n-n-niente... Non... Non, non... Non sono un mostro!

– Gianmarco, ehi! – mi fa, in tono carezzevole. – Guardami! 

E sollevo il viso verso di lei.

– So bene che non lo sei. D'accordo...? Non c'è bisogno nemmeno di dirlo...

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