Capitolo 12

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Una a una, tutte le applicazioni della barra start si caricano e le icone diventano visibili sul lato inferiore del desktop. Quando la clessidra scompare dal puntatore, persino il meteo è disponibile a essere consultato: a quanto pare, ci sono dieci gradi fuori. Sono le tre del pomeriggio di venerdì 17 marzo e la nebbia di stamani si è ormai del tutto diradata. 

Sfioro il touchpad. Un paio di click sul file goodwin.doc e il programma di Word si avvia. Mi appoggio contro lo schienale, finché sullo schermo non si apre la pagina bianca piena di righe testo, font Times New Roman, dimensione dodici, allineamento a sinistra.

– Okay, ci sono, – avviso la moka, appoggiata vicino al portatile. 

– Ottimo. Rileggi il punto in cui siamo arrivati, – fa lei. – Basta anche l'ultima riga.

– Allora... Pa-pa-pa... Ta-ta-ta... – Clicco più volte sulla freccetta della barra di scorrimento laterale. Le tapparelle della finestra, alla destra del tavolo da pranzo, sono abbassate solo di un terzo. Il salotto è luminoso, il cielo è sgombro dalle nubi. Le righe di testo scorrono verso l'alto, pagina dopo pagina, finché non arrivo all'ultimo paragrafo. – "Come questo interesse affondi le radici in un tempo precedente a quello del suo incontro con Schumpeter", – leggo a voce alta. – Schùmpeter... Schumpèter... – borbotto tra me e me. Già non ricordo più come si pronuncia.

– No, Gianmarco, – replica lei. – L'ultimo paragrafo, non questo.

Resto un attimo perplesso. – È questo l'ultimo.

– No... 

– Ti assicuro: non c'è altro, dopo.

– Gianmarco, dopo questo pezzo abbiamo scritto almeno, e sottolineo almeno, altre seimila battute. Dove sono finite?

Spalanco le palpebre. – Ma quando?!

– Martedì pomeriggio, dopo le lezioni.

– Martedì?!

– Gianmarco... Stai scherzando, per caso?

– Martedì... Mar-te-dì... – sillabo piano. Mi porto le dita al mento, cerco di ricordare. – Uhm... Sì, nel pomeriggio ero a casa...

– Già. Anna aveva lezione fino alle sei del pomeriggio, Davide dormiva, Alberto era al CUS...

– E io sono rimasto a casa, sì, questo me lo ricordo, ma...

– Gianmarco, – m'interrompe lei, – capisco che tu, dal momento che scrivi quasi tutto sotto mia dettatura, non hai bisogno di spremere granché le meningi per formulare da solo i periodi... Ma che tu sia così deconcentrato da non ricordare nemmeno quando e cosa abbiamo scritto... Be', questo non va bene per niente! – E, nonostante si tratti di un rimprovero, la sua voce è carezzevole, quasi materna.

Appoggio desolato il gomito al tavolo. – Giuro, non so di cosa parli.

Non so se sia una mia impressione o meno, ma, in linea generale, il tono che usa con me è cambiato. Soprattutto da quando, qualche sera fa, prima di andare a dormire ho deciso di portarla in camera mia, anziché lasciarla sul ripiano di cucina, come ho sempre fatto.

Per questo, adesso, mi rende ancora più triste l'idea di aver sbagliato qualcosa.

– Guarda che De Chirico, durante i ricevimenti, può farti domande su qualunque parte dell'articolo, – mi ricorda. – Devi quantomeno prestare attenzione, mentre stiamo lavorando! Non vorrai mica dargli l'impressione di non sapere nemmeno cosa hai scritto...? E poi... Non hai salvato il file?! 

– Oh, cavolo. – Con una mossa rapida, riduco la finestra di Word. – Come si faceva ad aprire "Esplora risorse"...?

– Tasto di Windows più "E", – risponde lei. Poi riprende: – Quante volte ti ho ripetuto di non chiudere il programma di scrittura prima di aver controllato l'ultimo salvataggio...? 

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