Epilogo

144 21 68
                                    

Domenica 2 aprile, a ridosso dell'ora di pranzo, Lidia Benassi preme il pulsante di richiesta di fermata e, attesa l'apertura delle portiere, scende dalla LAM Rossa proprio al principio di Via Benedetto Croce. Porta sulle spalle il peso di un grosso zaino Invicta di tre diverse tonalità di viola e si trascina dietro un trolley Carpisa color albicocca pallido. Le dita della mano destra grondano ancora d'acqua piovana, strette attorno all'ombrellino che ha dovuto usare fino a dieci minuti fa, mentre attendeva l'arrivo della circolare di fronte al MediaWorld. Ma la pioggia primaverile va e viene, e adesso sembra non ce ne sia più bisogno. Attraversa la strada, si lascia alle spalle Piazza Guerrazzi e percorre a piedi i duecentoquaranta metri che la separano dal suo vecchio condominio, in Viale Francesco Bonaini. 

Supera il cancelletto, si affaccia al vetro dell'ingresso e lancia uno sguardo al bancone dell'atrio, là dove sta seduta la vecchia portinaia. Solleva le dita umide di pioggia, in segno di saluto.

La signora Strozzi, dapprima, la scruta con incertezza. Poi si volta e preme un interruttore alle sue spalle. Il meccanismo si attiva, un ronzio metallico si espande da un apparecchio posizionato sopra lo stipite e rimbomba contro i pannelli in legno chiaro che ricoprono le pareti.

Lidia insinua il viso oltre la soglia. Resta titubante, con metà corpo ancora fuori e il trolley che blocca il portone. 

– Salve, signora Strozzi, – dice con voce nasale.

– Sì, mi dica...? – La portinaia ha tutta l'aria di ritenerla un'intrusa.

– Eh, io... avrei bisogno...

– Oh, sì, sì! – Di colpo, ricollega. – Tu sei Lidia, certo... Mi ha telefonato la padrona dell'appartamento del quinto piano, stamattina. Ti devo aprire la porta, giusto...? 

– Sì, esatto, grazie. – Rinfrancata, Lidia fa qualche passo in avanti e trascina il trolley sul pavimento dell'ingresso. Il portone si richiude con uno schianto.

– Ma... come mai, se posso? – Nel mentre che indaga, la signora Strozzi apre un cassetto e ne tira fuori il doppione della chiave dell'appartamento in questione, riposto lì già in precedenza, in previsione dell'arrivo dell'inquilina. – Al telefono... non ho capito bene.

– Eh... quando sono andata via, a febbraio, ho restituito le chiavi all'agenzia, per farle riavere alla padrona. Non pensavo di tornare qui prima della scadenza del contratto, e quindi...

– Ah, ecco, ecco. – La portinaia si avvia su per le scale, segue Lidia con gli occhi, per assicurarsi che le stia dietro, pur con la valigia a seguito – Ma allora... devo lasciarlo a te, il doppione? Ho capito bene? – Non è molto entusiasta all'idea.

– Guardi, giusto per qualche ora, poi glielo riporto. Sa, volevo iniziare a lasciare i bagagli, intanto. Più tardi dovrebbe passare la proprietaria, così mi restituisce la mia copia. 

– Bene, – risponde la signora Strozzi. Poi si rigira in avanti, riprende a salire.

Per quattro rampe di scale e tre pianerottoli, nessuna delle due fiata. Lidia tiene la fronte aggrottata per lo sforzo di trascinare la valigia, la signora Strozzi ha lo sguardo vacuo. Cammina piano, in conformità alla sua età avanzata, le dita rugose carezzano il corrimano. C'è qualcosa di non detto, nell'aria. E tanto ci vuole a esplicitarlo.

– Tu... vivevi con... – borbotta, senza finire la frase.

Anche Lidia, d'istinto, contiene il volume della voce. – Sì, – sussurra.

– Hai saputo...?

– Ho saputo.

Altro silenzio. Ed eccole sulla quinta rampa di scale.

La mokaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora