Fouilleton

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18 Ottobre, 1870

Caro Diario,

Se c'è una cosa che amo fare è scrivere prima di fare colazione. Mi sono appena alzata e avverto l'intenso volere di registrare le vicissitudini della mia vita su questi sentieri di carta ingiallita.

Dietro di me, Claude dorme serenamente. Se fossi una persona, udiresti il suo respiro pesante da uomo e il suo russare che fa fluttuare le lenzuola. Lui russa tanto. E come russa! Questo, però, non è il nocciolo della questione.

Il sole sta sorgendo e gli iris del nostro giardino vengono lentamente indorati dalle frecce magiche del giorno. È uno spettacolo delizioso, non credi? Come ti ho scritto ieri sera, ho voluto raccontarti il nostro viaggio per arrivare a Charleville, il posto in cui risiedo da un giorno.

Il 16 ottobre-cioè l'altro ieri-mio fratello mi ha svegliato alle cinque del mattino, perchè per arrivare nelle Ardenne ci vogliono sedici ore di viaggio. Controvoglia, mi sono levata e con lo sguardo ho salutato la mia cameretta. Devi sapere che la mia vecchia stanza era il solaio, con il suo soffitto di legno arso e gli scricchiolii del suo  pavimento antico. Tra le fessure dormono dei topi, con cui ho fatto amicizia e che, con mio immenso rincrescimento, non ho avuto modo di salutare.

Siamo andati nella nostra cucina e lì ho  messo sul padellino delle fette di pane nero, per tostarle bene. Su esse ho messo generose porzioni di burro e marmellata. Era un viaggio impegnativo, avevamo bisogno di energie!
Ho anche scaldato del latte sul pentolino.

Dopo esserci rifoccilati, Claude mi ha esortato a prendere le mie cose e a seguirlo, che aveva deciso di andarsene subito. Diligentemente, vado nella mia stanza e prendo le raccolte delle mie poesie preferite  strette in una cinghia, la mia spazzola, uno scialle, dei vestiti molto semplici e altri indumenti che devo assolutamente rammendare. Stavo quasi per abbandonare la mia amata penna d'oca. Senza di lei, non riuscirei a scrivere. Ovviamente ho messo nella borsa da viaggio anche dei fogli di carta.

Appena usciti, Claude è salito sul suo carro trainato da Quasimodo, il nostro cavallo. È molto vecchio, eppure è così forte che è in grado di percorrere cinquanta miglia. Non so come faccia.
Io mi sono seduta dietro, in mezzo a pentole, camicie, armi, cianfrusaglie varie, una sedia a dondolo che si sta per rompere e un baule.

Disgraziato Claude, che tu sia maledetto! Non sai che soffro la nausea? Perché non mi fai sedere davanti? Perché non posso prendere le briglie? Non ho mica paura, sai?

Ignora queste mie lamentele da sedicenne sciocca, te ne prego! Come mi insegnò mammina, quando avverto fitte fortissime allo stomaco e la testa comincia a girare, prendo un bel respiro e guardo davanti a me.

Allo schioccare della frusta sul dorso del nostro destriero, siamo partiti. Abbiamo avuti molti scossoni. Su e giù, su e giù, su e giù. Sono sobbalzata per trenta volte. È un miracolo che non abbia vomitato.

In compenso, il paesaggio che si stendeva davanti a noi era suggestivo. Campi di smeraldo mischiato al nero, cespugli di spine che punteggiavano i sentieri, foglie arancioni e vermiglie che danzavano insieme, alberi tutti uniti che ci osservavano ai lati dei sentieri. Chissà perchè in autunno, le querce o i cipressi sono così stanchi. È vero che le stagioni fredde risucchiano la vitalità delle piante e degli esseri viventi, ma è così triste vedere decadere il creato, vederlo cedere alle tenebre e alla vecchiaia!

Verso sera ci siamo fermati in una locanda, in cui una signora gentile ci ha offerto delle patate arrosto e una parlantina vivace. Madame Truffaut, cinquantaseienne ridente e più appassionata nel suo lavoro rispetto alla locandiera de "I miserabili", ha sette figli-di cui il primo è andato a Parigi per questioni di affari-, un marito amante delle tartine e del tabacco e tanti fiori bianchi. Era proprio un amore, quella signora. Magari potessi reincontrarla, una volta tanto.

Dopo tante ore di viaggio, che abbiamo ammazzato chiacchierando e osservando le montagne di pietra grigia, verso sera  siamo giunti in un'altra locandina.
Il proprietario, stavolta, era un vecchio alcolizzato che ci ha dato da mangiare panini con il prosciutto e lamentele contro Dio e Bismarck. Non faceva altro che farfugliare e tossire, poverino.

Una cosa strana che ho notato è che, in fondo al tavolo, ho intravisto un ragazzo. Doveva essere un mio coetaneo, magari un anno più piccolo di me. Ho agguzzato la vista e ho potuto notare un ammasso di capelli castani sconpigliati, un volto scarno e palliddissimo, mani grandi segnate da graffi e occhi di ghiaccio che trasudavano rabbia, tristezza, odio e vagheggiamento ad una libertà identica a quella di una fenice che vuole sdradicarsi dalla cenere che l'ha soffocata per tutto il tempo della sua strana esistenza.

Si, quel ragazzo lo paragono ad una fenice o a un lupo selvaggio. È un'anima gonfia di crepuscolo, ma è così affascinante! Chissà che cos'ha nella sua testa di maschio.

Finalmente, verso le ventuno in punto siamo arrivati a Charleville. È un posto adorabile, davvero. Colline verde chiaro, casupole di pietra levigata sparse tra i fiori di campo e un cielo terso e imperlato dalle stelle.

Avrei voluto osservarlo per ore. Tuttavia, ho dovuto scendere dal carro e sistemare i bagagli.

Non appena siamo entrati nella nostra casetta, siamo stati investiti da un fortissimo odore di polvere. Tra le ragnatele e il legno dei mobili non ho saputo districarmi bene.
Prima di dormire, ho passato la serata a pulire, setacciare, sprimacciare cuscini, lavare finestre e pavimenti e pregare Dio affinché potessi coricarmi il più presto possibile. Claude, per fortuna, mi ha aiutato.

Per la stanchezza, sono subito caduta sul letto e mi sono abbandonata all'oblio. Eppure, un frammento del mio cervello ha contenuto per un pochino il volto del giovane del locale

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