Piccolissimo avviso: questo capitolo parlerà di alcolismo. Se questo tema vi fa male, ve ne prego, non leggetelo!
Notte
Il bar in cui Jean mi aveva portato sembrava piuttosto grazioso. Sull'ingresso era appesa l'insegna ritraente un gatto nero dagli occhi gialli e una scritta dorata. Non appena si apriva, il tintinnio di un campanello si propagava alla stregua di un'onda potente.
Il mio amante mi ha fatto l'occhiolino e siamo subito entrati. Le pareti verdastre erano tappezzate da quadri realizzati da artisti sconosciuti, il cui pensiero forse era quello di pisciare o cagare sulla morale della società, perchè i soggetti di questi dipinti erano: donne nude con un seno messo in bella mostra, uomini ubriachi che stavano dormendo, paesaggi spettrali, cimiteri e neonati morti nelle loro culle.
Per tutta la sala erano stati sistemati tavolini di legno nero e sedie dello stello materiale. Dietro il bancone c'era un ragazzo sulla trentina, molto abbronzato e nello sguardo una sete di peccato che doveva essere appagata in un secondo. Negli scaffali, le bottiglie di liquore brillavano.
Noi due ci siamo seduti uno di fronte all'altra. Intorno, molte persone si perdevano in chiacchiere inutili. In questi giorni odio il rumore. Vorrei solo che tutti taciessero e lasciassero spazio a me e a Jean, ai nostri baci, ai nostri amplessi che possono far male, ai nostri sogni, alle nostre promesse in forma di poesia o di chiacchiere. Solo noi due esistiamo.
-Voglio farti bere una cosa molto interessante.- mi ha detto il castano. -Comunque, non sei obbligata a farlo. Sai, bere alcol può non essere un piacere per i novellini.-
Sono rimasta in silenzio, tramortita dall'oscurità del mondo nuovo. Forse non era stata una buona idea fuggire, lasciare mio fratello, il mio mediocre ma sicuro futuro e lanciarmi in un vortice di autodistruzione e incertezza. Trasgredire per un giorno era facile.
Trasgredire per tutta la vita, può essere difficile. Non sai mai se vivrai a lungo e non sai se riuscirai a sopportare la disapprovazione di chi interagisce con te.Io ancora oscillavo tra bontà e crudeltà, tra i gigli bianchi e le rose appassite. Volevo tenere la mia aureola di fango, ma al contempo indossare vesti bianche ed essere ignara del lato marcio del mondo. Non ero pronta per dichiarare, come sul finale di un libro di Balzac, "a noi due!". Eppure ero a Parigi, ormai. Con Jean, con il mistero del suo ambiente. Sarebbe stato infantile fuggire.
Ho inspirato e ho cercato di trattenere la mia riluttanza, i miei ripensamenti.
-Voglio provarci. Non me ne frega niente se qualcuno dirà qualcosa.- ho replicato.Poco dopo è arrivato il giovane del balcone, il quale, sorridente ci ha chiesto cosa volessimo. Aveva un'aria esotica, quello lì. Probabilmente, proveniva dall'Africa. La sua pelle sapeva di incenso e di sabbia ardente.
-Per me, assenzio.- ha dichiarato Jean, sicuro di sè.
-Lo stesso per me- ho detto a mia volta. Ormai non potevo tornare indietro.Nell'attesa, ho pensato a come sconfiggere la misera vecchia me e rimpiazzarla con una copia più affascinante. Magari mi sarei potuta tagliare i capelli. Magari avrei messo i pantaloni e una camicia. Mi sarebbero stati d'incanto. Oppure, avrei adocchiato un vestito nero, scollato. Mi sarei tenuta i capelli lunghi, ma sciolti. Non più legati. Dovevo scegliere. Con che cosa sarei stata meglio?
Dovevo rimpiazzare le mie vecchie letture con nuovi autori. Avevo sentito di un certo Zola. Non avevo letto nulla di Zola. Doveva essere bravo, a quanto pare. Era più talentuoso di Hugo?
Jean mi avrebbe dato dei consigli. Mi sarei totalmente affidata a lui.
Finalmente sono arrivati due calici contenenti un liquido smeraldino. Sopra la superficie di quella pozza di piacere, c'era un cucchiaino forato e una zolletta di zucchero. Ero un po' emozionata dall'idea di bere un liquore.
-Prima di tutto, devi rovesciare la zolletta di zucchero. Quando la schiuma salirà, potrai bere.- mi ha spiegato il giovane.
Ho eseguito molto attentamente, come un compito di scuola.Ho sorseggiato lentamente, per assaporare il gusto di quella bevanda. Era amara. Nonostante ciò, ho sorseggiato ancora.
La testa mi girava. I contorni delle cose e la folla divenivano polvere, schizzi di disegni fatti male, per fretta o per pigrizia. L'assenzio contenuto nel mio calice era un pozzo. Un pozzo dei desideri in cui mi sarei gettata volentieri.
La mia immaginazione mi ha proposto una fiaba originale. Jean era un principe. Un principe di una terra lontana(forse del Nord o dell'Arabia) annoiato dalla sua monotona vita immersa nell'oro e nelle cavalcate, che era fuggito per incontrare me, una principessa rinchiusa in una torre.
Mi aveva liberato e ora ci stavamo immergendo nella libertà. Era stato come una pessima madre compassionevole con i suoi figli.All'improvviso, il soffitto si è aperto. Petali di fiori appassiti, merletti neri e sterco si sono riversati su di noi. Io ridevo, ridevo come una pazza. E non sapevo il motivo. E la vita era bella, ora. E non avevo paura e non volevo più i vestiti bianchi e i miei precedenti ricordi mi provocavano ribrezzo e mi ero accorta di essere stata ipocrita per sedici anni della mia vita e di aver creduto a cazzate che non stanno nè in cielo nè in terra. Era chiaro come il sole.
O beh, Celestìne, Benvenuta nel covo dei miracoli! Sei una bellissima gitana, ora. Devi fuggire dai cristiani con il tuo amante.
Tra le onde dell'ebbrezza, ho abbracciato Jean, che a differenza mia era lucidissimo. L'ho baciato con molta foga.
- A noi due! A noi due! A noi due! A noi due!- ho urlato.A noi due, Francia! Vediamo chi se la spunterà. Vincerò io.
STAI LEGGENDO
𝓑𝓸𝓷𝓳𝓸𝓾𝓻, 𝓪𝓶𝓸𝓾𝓻!
General FictionNel 1870, Celestìne si trasferisce a Charleville con suo fratello maggiore Claude, troppo schiacciati dai ricordi dei loro defunti genitori e del fortissimo odore di lavanda della Provenza. Tuttavia, a causa della loro situazione economica precaria...