Cuscini azzurri

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19 Novembre

Cara Bilitis

Il giorno dopo l'incontro con Luis De Ville, ho deciso di partire per Parigi. Ho detto tutto a Jean, il quale, felice della mia sentenza, ha replicato:-Domani, il 17 novembre, andremo alla stazione di Charleville. Alle dieci ci sarà un treno per la terra di Canaan(ovviamente alludeva alla città tanto anelata).

Molto entusiasta, ho accettato, quasi commossa. Stavo per piangere, ma non biasimarmi! Presto me ne sarei andata da quella terra di matti per elevarmi, per scovare il meglio di me e mi sarei scordata della mia vita precedente.

Addio, continue faccende di casa!
Addio, preti ipocriti e chiese in disuso!
Addio, vestiti di seta ridicoli!
Addio, Jean de Ville, sopratutto.

Nella mia testa, Claude non era più mio fratello: solo un estraneo partorito da due stupidi che tutti noi dobbiamo chiamare 'mamma' e 'papà'. Dopo tutto quello che avevo passato a causa sua, avevo deciso di rinnegarlo. Che si scordasse di essere mio fratello! Quando sarei arrivata, gli avrei scritto un'ultima volta per comunicargli la notizia.

Fammi calmare, ti prego! Sono così emozionata nel ricordare gli eventi che la mia mano trema e non riesce a incidere nulla su queste pagine.

Verso le sette e trenta del giorno dopo, mi sono alzata, lasciando che il bacio della brezza mi sfiorasse il volto: era leggero, sembrava che fosse entrato dalla finestra e che in punta di piedi si fosse avvicinato a me, quel dolce bacio.

L'ho richiusa immediatamente. Era ancora buio, fuori. Un cielo di perla impolverata si stagliava su tutte le colline.

Silenziosamente, mi sono messa uno scialle marrone sopra la camicia da notte e degli stivaletti:con Jean, non c'era bisogno di essere formali col vestiario.

Dopo aver messo in una borsa alcuni libri, dei fogli e una penna, sono scesa nella cucina per prendere qualcosa da mangiare.

Claude stava dormendo beato, inconscio di ciò che la sorellina stava per fare. Povero ingenuo...

Avendo messo un'ultima tavola di cioccolata nella bisaccia, sono uscita e
davanti alla soglia ho visto Jean.

Aveva  una camicia bianca e dei pantaloni neri, un soprabito nero e un cravattino dello stesso colore. Forse gli scrittori che stavamo per conoscere erano molto importanti.

Ciò che stonava in quell'insieme elegante, erano i suoi capelli spettinati. Nessuno lo avrebbe costretto a pettinarsi, nessuno.

-Buingiorno- ho detto, amichevolmente.
-Buongiorno. Pronta per la fuga?- mi ha chiesto, malizioso
Ho annuito energicamente. Non avevo paura di nulla, ormai.
-Allora seguimi. La stazione è un po' lontana. Ti va di parlare durante il tragitto? Quando si è silenziosi, il viaggio diventa pesante e privo di attrattiva.-

Come sempre, ho obbedito, procedendo a fianco a lui.

Lungo le ortiche che ci ferivano le caviglie e i corsi d'acqua, io ho deciso di rompere il ghiaccio.
-Dimmi Jean, ma tu sei ateo?-
-Si, perchè?-
Non sembrava offeso da quella domanda, a dispetto dell'indiscrezione contenuta in quelle sei  mie parole.
-Così, per curiosità.-
-Forse mi dirai, come mia madre, che senza Dio sarò infelice e solo, ma non è così. Vedi, Lui è soltanto una scatola pronta per essere riempita di soldi. Quelli non sono soldi dati per pura generosità, no! Sono soldi che garantiscono un posto caldo in Paradiso: un fazzoletto per pulirsi la coscienza. Lui non ha mai aiutato nessuno, mai. I preti ci dicono che se ci comportiamo bene, Gesù risolverà tutti i nostri problemi. Io non penso che questi problemi siano stati risolti. Facciamo i bravi, sappiamo l'Ave Maria e intanto ci sono bambini che soffrono. A questo punto, preferisco non frequentare tutto ciò che concerne la religione e pensare ai fatti miei.-

Come hai ben constatato, Bilitis cara, Jean ha dato a sedici anni il suo biglietto d'ingresso. Dentro di me ero incredula: come faceva un uomo a restare senza un punto di riferimento invisibile? Come si faceva ad essere atei, senza pentirsi? Perchè tutti ce l'avevano con loro? Non avevano ucciso nessuno. Il mio amico aveva rifiutato i sacramenti ed era molto buono con me. Non serviva a niente sconvolgersi.

-Se divento atea anche io, non ti dispiacerà, vero?- ho sussurrato, osservando da lontano la stazione prendere forma.
-Certo che no, anzi! Mi faresti orgoglioso- ha ribattuto, sorridendo.

************************************

Soffocati da un'immensa folla di gonne di merletto e bombette, abbiamo atteso l'arrivo del treno. Avevo il cuore in subbuglio, aggrovigliato su se stesso, un po'impaurito.

Spero che tu non ti imbarazzerai a sentirmi dire che non ho mai preso un treno in vita mia. Non ne ho neanche visto un pezzo.

Per questo affronto, ho una scusante: io e mio fratello eravamo troppo al verde per prendere un mezzo di trasporto del genere. Avevamo sempre viaggiato con il carro trainato da Quasimodo. Forse neanche Jean aveva la mera possibilità di permettersi tal lusso. Chissà dove si era procurato i biglietti....

-Prima di arrivare qua, ho scritto qualcosa...- mi ha rivelato il mio compagno di viaggio, sorridendo.
-Un'altra poesia?-
-Esatto. Aspetta che la tiro fuori, così te la leggo.-

Su un foglio impolverato, Jean ha letto ciò che sarebbe successo su quel treno, nel nostro vagone.

SOGNATO PER L'INVERNO

A*** Lei
D’inverno, andremo in un piccolo vagone rosa
Con i cuscini azzurri.
Staremo bene. Un nido di folli baci riposa
In ogni morbido cantuccio.
Chiuderai gli occhi, per non veder, dal finestrino,
Le ombre della sera ghignare,
Quelle arcigne mostruosità, plebaglia
Di neri demoni e neri lupi.
Poi ti sentirai la guancia graffiata…
Un piccolo bacio, come un ragno impazzito,
Ti correrà sul collo…
E mi dirai “Cerca!” chinando la testa,
– E perderemo tempo a cercare quella bestia
– Che viaggia tanto…

Finito di leggere, era arrivato il nostro treno: un serpente in metallo nero che esalava vapore da ogni parte. Le sue squame erano colorate da finestre con le tendine gialle.

Era il treno per Parigi. Lo diceva pure il controllore con le sue urla. A quel punto, il castano mi ha preso per mano e mi ha condotto per un corridoio lunghissimo. In alcuni tratti, ci scontravamo con i passeggeri che, scocciati, passavano oltre.

Non appena siamo arrivati nel nostro vagone, ho visto che c'erano dei cuscini azzurri, come nella poesia.

Ci siamo seduti.

Lui era vicino a me, io vicino a lui. Due labbra fresche che si toccano. Il silenzio che funge da barriera e gli sguardi che si allontanano, per poi riavvicinarsi.

Ci siamo baciati: un minuto in cui, uniti, danzavamo, ci abbracciavamo, incatenati da quel contatto che sapeva di promessa.

Ha infilato la sua mano tra le mie gambe. Non ho opposto alcuna resistenza.

Eravamo in un ippodromo, io e lui. Due cavalli. Correvamo, correvamo, mettendocela tutta per arrivare al traguardo. Le persone ci incitavano, sicuri della vittoria di uno di noi due. Jean era il più forte: saltava gli ostacoli più alti e si avviava  lungo una pista tortuosa. Io lo seguivo, fedele. Anche se rischiavo di cadere e di perdere, facevo di tutto per stargli dietro.

I fazzoletti delle dame sventolavano al vento, i signori fumavano davanti a noi. Quando Jean ha visto il traguardo, lo ha superato, con mia immensa gioia.

È lì che ho avuto il mio primo gemito di piacere.

𝓑𝓸𝓷𝓳𝓸𝓾𝓻, 𝓪𝓶𝓸𝓾𝓻! Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora