Risolutezza

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Leda


"Lo sapevo che avrei finito per fare tardi!"

Leda correva a perdifiato verso la caserma tenendo tra le braccia le tre cartelle contenenti i profili dei tre cadetti che sarebbero stati esaminati da lì a poco e prestava incredibile attenzione al non perdere neanche un foglio.

Non era passato molto tempo da quando aveva esitato prima di incamminarsi verso la caserma, indugiando qualche secondo in più tra le braccia di Reiner, secondi che poi erano diventati minuti e, successivamente, un'intera ora di ritardo sulla sua tabella di marcia.

Non poté nascondere il sorriso che improvvisamente le aveva increspato gli angoli delle labbra, ripensando all'espressione imbarazzata sul viso di Reiner quando, dopo essere scesa in strada, lo aveva sorpreso a guardarla dalla finestra della camera; il modo in cui il ragazzo aveva sussultato, preso alla sprovvista, spalancando gli occhi come se non si aspettasse che lei potesse realmente voltarsi nella sua direzione, per poi alzare appena la mano per salutarla accennandole un sorriso a metà tra il soddisfatto e lo spaesato, la fece ridacchiare tra sè e sè come una ragazzina, quello che, di fatto, lei avrebbe dovuto essere se solo non fosse nata Eldiana.

La sensazione di gioia che l'aveva inondata fino a quel momento quasi la spaventò, quando improvvisamente si rese conto della realtà dei fatti.

Quella gioia era solo fittizia: a persone come loro non era concesso di ottenere realmente la felicità o realizzare i loro sogni.

Tutto quello che potevano fare era strappare momenti, rubare secondi al tempo che scorreva, illudersi di poter essere altrove, di poter sconfiggere qualsiasi maledizione con la sola presenza dell'altro, per poi, un giorno, essere costretti a svegliarsi ancora nello stesso mondo crudele, nello stesso grigio quartiere, con ancora quelle fasce al braccio che da sempre li avevano condannati a vivere la propria vita come animali in trappola e rendersi conto che uno dei due non sarà più al fianco dell'altro ad alimentare la fiamma dell'illusione di una vita futura da condividere.

E lei non poteva illudersi di essere semplicemente una ragazza che finalmente aveva trovato la sua strada nel cuore della persona che per tanti anni aveva atteso; perché lei ora aveva una causa più grande per la quale combattere.

Molti anni prima aveva preso una decisione in cuor suo, quando la polizia di Marley era entrata in casa sua rovesciando e distruggendo tutto quello che gli era capitato a tiro, per una soffiata che avevano ricevuto e che aveva condannato la sua intera famiglia.

Di fronte alla furia e allo spregio di quegli uomini lei aveva capito perfettamente il suo ruolo in quel mondo: era un rifiuto, uno scarto, qualcosa che poteva essere disprezzato e maltrattato.

In quel momento lei aveva compreso realmente come Marley vedeva la sua gente, la stessa gente che però mandava a morire in suo nome, gente che era felice di immolarsi per elemosinare un po' di considerazione, come i figli non desiderati che farebbero di tutto per l'amore di un genitore.

Quel giorno, però, proprio uno di quegli indesiderati figli, un ragazzino biondo con i capelli corti, fin troppo gracile per la divisa che indossava, con al braccio la fascia gialla dei cadetti e dall'espressione gentile, era sgattaiolato in casa sua e l'aveva presa per mano dicendole di smettere di piangere e l'aveva portata fuori da quell'incubo che stava vivendo.

Lui la conosceva appena, si erano visti qualche volta dalle finestre delle loro case ma non si erano mai parlati prima, eppure, si era esposto per accorrere in suo aiuto quando lei ne aveva avuto bisogno. Quel bambino si era limitato a portarla fuori casa e impedirle di assistere al momento in cui il corpo di sua madre veniva portato via dalla polizia, un gesto semplice ma che agli occhi di una bambina spaventata, lo resero immediatamente un eroe.

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