Don't let go --1° nuova reunion--

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Il vento soffiava lieve dallo spiraglio della finestra; la luce della luna, soffusa, si faceva strada insieme a esso. Si posava distratta su ciò che ondeggiava cullato dal vento, illuminando giusto quel pezzo di stoffa che presto sarebbe tornato nell'ombra, e quella frazione di specchio spoglia di un riflesso.
Talvolta divampava più maestosa; entrava tutta insieme prima che la finestra si chiudesse di scatto, sintomo che il vento si stesse alzando. Che la notte stava per inglobare il resto.

Non si mosse quando lo scatto avventò nel silenzio. Non si mosse quando uno scroscio più forte riempì la stanza; portandosi dietro fischi che si infiltravano tra gli oggetti e ombre che sembravano prendere vita. Non si mosse mentre queste riempivano il vuoto creato dalla luna allungandosi e storpiandosi come se volessero afferrare tutto ciò che lo circondava. Le stesse ombre che da piccolo lo portavano a nascondere il viso sotto la coperta, o, quando si sentiva particolarmente coraggioso, ad alzarsi e chiudere la finestra.

No, non si sarebbe alzato, e no, non si sarebbe girato. I suoi occhi erano incollati al soffitto bianco, troppo stanchi per muoversi. Un lieve rossore li contornava; come un trucco che però non aveva scelto lui di indossare. Era causa della luce dello schermo a cui si obbligava a tarda notte; o forse di un pianto silenzioso senza lacrime.
Non era importante.
Aveva smesso di provare a capirsi.

Stava lì, immobile; il fruscio del vento scandiva lo scorrere del tempo. Cullava sguardi vuoti impigliati in quelle ombre storpiate sul soffitto. Sguardi che seguivano passivi e stanchi le immagini che la luna continuava a mutare. Era più facile stare dietro a quelle che ai suoi pensieri.
Era stanco, dannatamente stanco. Non ce la faceva più a rincorrerli. Non trovava più le forze di provare ad afferrarli. Non aveva più voglia di assistere a come questi si scioglievano come creta non appena cercava di dargli una forma.
Era stanco.

Uno fischio più forte gli entrò nelle orecchie.
Avrebbe voluto che il vento irrompesse all'improvviso ed esplodesse nella stanza, che si scatenasse e riempisse quel vuoto che aveva intorno. E perché no, magari anche dentro. Magari gli avrebbe smosso qualcosa. Magari ci si sarebbe riconosciuto, come ora si riconosceva in quello sfrusciare lento e monotono che era sicuro l'avrebbe portato alla pazzia.

Avrebbe voluto anche lui avere la forza del vento.

Spinto da quel soffio particolarmente prorompente, decise di alzarsi. Barcollò lentamente fino allo specchio, poggiò le mani sul comodino. Al suo interno, nel primo cassetto, pezzi del suo cuore che se avesse rivisto, avrebbero spezzato ciò che rimaneva nel petto.

Non lo aprì. Rimase a guardare il suo riflesso.

Ma gli occhi assenti non ripresero vita nemmeno davanti a sé stesso. Scivolarono indifferenti sulla pelle chiara, accarezzarezzarono lenti i suoi lineamenti. Si soffermarono sulle occhiaie marcate dall'ombra, fino ad arrivare agli occhi coperti da una patina lucida.
Occhi negli occhi.
Occhi stanchi.
Occhi vuoti.
Più che sé stesso, gli sembrava di star osservando un manichino spoglio.

Si sentiva come un bambino di quei film sull'adolescenza che a volte la sua famiglia lo aveva costretto a vedere, che non si riesce a riconoscere nel corpo che cambia.
Ma lui la pubertà l'aveva superata.
E allora il pezzo del puzzle che non riusciva a trovare il giusto spazio, non era il suo corpo; ma la sua mente. Si sentiva un pezzettino lasciato alla deriva. Fuori posto ovunque, persino con sé stesso perché se non riusciva a incastrarsi nel quadro la colpa non poteva essere che sua.
C'era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto ciò, ma non aveva voglia di ragionarci.

Seconda stella a destra ✨//One Shot su Mattia e Christian Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora