Nel mondo in cui cadono le lucciole

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"Ama,
ama follemente,
ama più che puoi
e se ti dicono che è peccato
ama il tuo peccato
e sarai innocente."
W.S
~

"Ti posso fare una domanda?"

"Tutto quello che vuoi"

"Che cos'è l'amore?"

Una risatina sommessa, uno sguardo malinconico.
"L'amore?"

"Si, l'amore"

"Non sei un po' piccolo per queste domande?
Queste sono cose da grandi"

"Ma io voglio sapere!"

La risata si sciolse in un sorriso.
"E va bene. Allora lascia che ti racconti una storia"

"Una storia? Evviva! Io amo le storie"

"Lo so bene.
Mettiti comodo, questa è una storia che parte da tanto tempo fa..."

~

Christian si era sempre chiesto cose fosse l'amore. Contro ogni aspettativa, contro la sua natura che in quanto maschio pretendeva lui si tenesse distante da pensieri così sentimentali; lui, di questo amore, non poteva che esserne curioso.
E non poteva farci niente, era fatto così: un bambino sensibile. E al diavolo se gli altri di questa sensibilità ridevano, al diavolo se si divertivano a pestare le formiche o a fare dispetti ai più piccoli. Lui non era così, non lo sarebbe mai stato. Era una piccola lucciola in mezzo a un bosco senza luce; un piccolo gigante con un cervello pieno di domande, che ha bisogno di illuminarsi la strada per percorrere la sua verità. Ma che al contempo, lo fa in silenzio. Una lucciola che agisce lontano da occhi indiscreti perché incompresa. Una lucciola che ha paura di illuminare, ma nonostante ciò non può farne a meno. Una lucciola sola.

A 3 anni, già aveva cercato di far luce al mistero dell'amore. In particolare, aveva capito che riguardava mamma e papà. L'amore era un qualcosa di astratto -non che sapesse cosa volesse dire-, e che semplicemente si poteva ricondurre a ciò che univa i suoi genitori. Anzi: l'amore erano loro. Non era difficile, non era complicato; era la cosa più evidente e lampante del mondo. E lui se ne stava fuori, limitandosi a osservare quella bolla che, da quando aveva memoria, era sempre stata lì: a fargli compagnia e a riservargli altrettanto amore.

A 5 anni aveva capito che qualcosa non andasse. Quell'amore, iniziava a inquadrarlo meglio. Amore erano le urla in casa. Amore erano oggetti sbattuti. Era sua mamma che piangeva per colpa di suo papà e suo papà che si chiudeva in camera perché aveva litigato con la mamma. Amore era starsene chiusi in una camera quando dalla cucina sentiva urlare; e i suoi genitori che poi lo andavano a riprendere con gli occhi lucidi, ma sorridenti, come se non volessero far capire che avessero appena pianto. Amore erano i suoi genitori arrabbiati; erano i no quando durante i litigi chiedeva di non finire le verdure nel piatto e le alzate di voce quando chiedeva cose innocenti ma non era il momento.
Non era sicuro gli piacesse, quell'amore.

A 7 anni, si rese conto di tre cose: la prima, era che l'amore non era solo ciò che univa i suoi genitori, ma accumunava bensì tutti quelli dei suoi amici, una cosa a cui non aveva mai pensato ma che avrebbe studiato in seguito; la seconda, era che le persone per dimostrarlo facevano una cosa piuttosto inusuale, che consisteva nel baciarsi le rispettive bocche. E questo no, non sapeva decisamente come prenderlo. E la terza, era che amore era sì ciò che faceva piangere i suoi genitori, ma anche ciò che poi gli riportava il sorriso.
Si rese presto conto che dopo ogni litigio, suo padre forse proprio perché amava sua madre le portava dei fiori che lei sorridendo apprezzava imbarazzata. E lei, forse proprio perché l'amava aveva gli occhi che brillavano, tornava di buon umore e sembrava lasciarsi alle spalle qualunque screzio. Diceva di sì quando gli chiedeva delle pizzette in più e gli accarezzava il viso mentre guardava papà.
Era strano, quell'amore. Non riusciva a inquadrarlo. Però, anche senza capirlo, più volte si era trovato a ringraziarlo.

Seconda stella a destra ✨//One Shot su Mattia e ChristianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora