Autocommiserazione

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C'è un motivo preciso se ci preoccupiamo della famiglia e dei nostri amici, e c'è un motivo preciso se non ce ne frega niente di tutti gli altri: amare tutti indiscriminatamente è troppo faticoso. 

(Dr. House)


Per la prima volta in tutta la sua carriera, Columbine Willowitch non aveva saputo cosa dire. Quando lei e Draco erano stati violentemente scagliati fuori dal Pensatoio, aveva dovuto farsi coraggio prima di guardarlo negli occhi.

Fortunatamente, le pastiglie calmanti che gli aveva somministrato prima dell' "esposizione" (com'era chiamata nel gergo medico) avevano un pò attutito le emozioni di Draco, che altrimenti sarebbero state amplificate e lo avrebbero travolto, forse annichilendolo. 

Si era pentita di avergli fatto quella richiesta non appena si erano immersi tra le cortine di fumo del ricordo. Aveva stupidamente pensato che fosse pronto ad affrontare quel dolore, ma evidentemente non lo era. Perlomeno non ancora. Idiota, idiota, idiota continuava a ripetersi, cercando di trovare le parole giuste per mitigare la sofferenza del suo paziente, incapace tuttavia di trovarne di adeguate. Che cosa si può dire ad un diciottenne che , volente o nolente, aveva combattuto al fianco di Voldemort? 


"Sono un mostro, non è vero? Sono un mostro" mormorò Draco, la voce leggermente impastata per i medicinali, i movimenti intorpiditi, come se si fosse appena svegliato. Ed in un certo senso, era vero. Si era appena destato dal mondo dei ricordi, per rientrare dolorante e sconfitto nel presente. Non si era seduto, e Columbine non gli aveva chiesto di farlo. Il ragazzo si aggirava per la stanza, barcollando leggermente. La guaritrice conosceva bene gli effetti di quelle pillole: anestetizzavano i tumulti interiori, dando alla persona il tempo di riprendere fiato dai propri incubi e dai propri timori. Ma non li cancellavano mai del tutto: sebbene la coscienza ed i sensi potessero essere annebbiati, rimaneva sempre e comunque un minimo di lucidità. Ed era proprio quella a far parlare Malfoy in quel preciso istante. 

Columbine provò compassione pura nei suoi confronti. Dopotutto, sebbene avesse combattuto per l'esercito sbagliato, era pur sempre un ragazzino. Reduce dalla guerra, dilaniato da sensi di colpa, in conflitto con se stesso e la propria famiglia, incapace di accettare la propria sessualità. Ed innamorato, perdutamente innamorato, della sua nemesi. Ovvero, il suo nemico più acerrimo durante il conflitto bellico. 

Un bel quadretto, insomma. Anzi, c'era quasi da stupirsi che Draco non avesse sviluppato altri disturbi, oltre agli incubi ricorrenti. 


"Non sei un mostro Draco. Secondo me sei stato molto coraggioso"

Una risata senza allegria distorse il viso affilato del giovane, che la fissò come se fosse pazza. 

"Io non so neanche che cosa sia ... il coraggio. So come serpeggiarmi tra i problemi e le responsabilità, come manovrare le persone a mio piacimento, come raggiungere il mio rendiconto personale. Io non sono coraggioso, Willowitch" Una pausa, vibrante di aspettativa, si espanse per la stanza surriscaldata "Io sono solo un povero vigliacco"

"Ok. Il momento di autocommiserazione è finito ... Io continuo a pensare che tu sia stato coraggioso. E sai perchè? Perchè non ti sei arreso di fronte ad una battiglia persa in partenza. E lo hai fatto perchè sapevi che da questo sarebbe dipeso non solo la tua stessa vita, ma anche quella della tua famiglia. Pochi combatterebbero contro i propri cari in nome degli ideali, non credi? Anzi, praticamente nessuno.  Come puoi biasimare te stesso per aver avuto ... paura? Ma siamo tutti spinti dal terrore, Draco. E' un istinto di sopravvivenza, è insito nella specie umana. Agiamo per proteggere e preservare noi stessi e le persone più importanti. Anche a costo di calpestare tutti gli altri"

"Potter non l'avrebbe mai fatto. Combattere per il Signore Oscuro... intendo. Si sarebbe sacrificato in nome della fottuta comunità. Quel ragazzo dimentica sempre se stesso, è come se il pericolo non gli importasse. Lui si che è coraggioso" Ringhiò Draco, con amarezza e sdegno. 

"Ed ecco il prode Harry Potter entrare in scena. Incominciavo a preoccuparmi ... Draco, capisco che oggi tu sia in vena di schifarti, però vorrei farti notare una cosa. Harry Potter non ha avuto scelta" Sillabò, accentuando parola per parola, come se – così facendo – il messaggio potesse imprimersi meglio nel cervello del ragazzo. "Esattamente come te"

Si godette l'espressione interdetta che si era dipinta sul volto di Malfoy. Aveva colpito nel segno. 

"E' ora di andare, Draco. Ne parleremo presto"

Prima di congedarlo, però, gli mise una mano sulla spalla e gli sussurrò "E poi, detto tra noi ... Io preferisco te a Potter. Lui è così ... eroico e perfetto, sempre pronto a fare la cosa giusta. Però anche banalmente scontato. Tu, invece, sei ... umano. Racchiudi in te luci ed ombre ed una personalità niente male, sfaccettata, imponderabile. Non sai mai quale sorpresa potresti riservare. Incomincia ad apprezzare te stesso, Draco. Non metterti in competizione con Potter o con chiunque altro. Non ti serve e non ne vale la pena"  Per una frazione di secondo Draco ebbe proprio l'impressione che la Willowitch gli avesse fatto un occhiolino, prima di chiudere la porta. 


Per quanto malvolentieri, Malfoy dovette constatare - per l'ennesima volta- le grandi qualità della guaritrice. Riusciva a leggergli dentro con  abilità e competenza, portando a galla emozioni ed episodi che erano rimasti sotterrate troppo a lungo nella sua psiche. 

C'erano ancora tante questioni in sospeso nella sua vita. Columbine ed i suoi genitori avevano ragione: doveva superare tutto ciò che di irrisolto aleggiava come un fantasma nella sua mente e nei suoi sogni, per poter ricominciare ad essere se stesso.

Quella notte, per la prima volta, Draco dormì placidamente. Narcissa, quasi preoccupata per quell'inusuale silenzio, si era precipitata in camera sua a controllare. Si trovò di fronte ad un bellissimo ragazzo addormentato, i lineamenti illuminati di sbieco da un raggio di luna. 

La madre gli accarezzò teneramente la pelle glabra della guancia, poi in punta di piedi lasciò suo figlio tra le braccia di Morfeo.

Se solo fosse rimasta un attimo in più, avrebbe visto quel viso affilato distendersi in un sorriso.


Potter gli stava porgendo la mano. 


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