15 GIORNI PRIMA - CAPITOLO 2

8 2 0
                                    

Monaco di Baviera

2

Margot Labouche si portò la ricetrasmittente alle labbra. «Siete in posizione?» domandò secca.

«Pronti a un suo ordine, capo.»

«Bene, allora procedete.»

Gli agenti sfondarono la porta e fecero irruzione nell'appartamento, muovendosi rapidi e in ordine sparso con le pistole spianate puntate in avanti. Controllarono ogni stanza e ogni armadio, poi, soddisfatti, si radunarono nel salotto. «La tana è vuota» fece una voce all'auricolare «può salire.»

Margot mise via la ricetrasmittente ed entrò rapida nell'edificio. L'appartamento si trovava all'ultimo piano di una vecchia palazzina in Wiener Platz, nell'antico quartiere di Haidausen. Si trattava di una costruzione in stile gotico, con una profusione di finestre sulla facciata centrale, la totale assenza di terrazze e un paio di guglie grigio scuro ai lati del tetto. Era posizionata nella parte retrostante della piazza, quasi a ridosso dell'immensa area verde che confinava poco più a sud con il palazzo del Parlamento bavarese.

Il proprietario, Cornelius Gurlit, figlio del gallerista di Hitler, Hildebrand Gurlit, era un uomo anziano, da molto tempo nel mirino della Horus. Mercante d'arte di facciata, era conosciuto nell'ambiente come l'Aquila Nera, un trafficante sempre pronto a fare da tramite per il riciclaggio delle opere rubate e non solo.

Margot lo conosceva da anni, ma non era mai riuscita a trovare uno straccio di prova per incriminarlo. L'uomo si muoveva come un'ombra, non agiva mai in prima persona, non lasciava tracce e aveva amicizie in ogni angolo di Monaco e dintorni. Così, qualche mese prima, si era decisa a infiltrare uno dei suoi agenti migliori nella rete dei trafficanti d'arte della città, falsificando le sue credenziali per rendere più efficace la sua copertura. L'obiettivo era avvicinare Cornelius il più possibile, lavorando nella cerchia di coloro che godevano della sua fiducia cercando di scoprire se avesse qualche punto debole.

E alla fine uno era stato trovato: il suo appartamento, un luogo di fatto insospettabile per una persona come lui, ma che nascondeva un segreto. Nella soffitta ricavata nell'enorme sottotetto, erano infatti ammassate centinaia di casse di legno contenenti oggetti e opere d'arte rubate dai nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Il suo agente glielo aveva confermato con assoluta certezza appena quattro giorni prima così come le aveva confidato che, per la prima volta, l'anziano mercante sarebbe partito per un viaggio di lavoro di un paio di giorni.

Un'occasione a dir poco ghiotta considerando che Cornelius lasciava di rado la sua città. Così lei ne aveva approfittato.

«Avete controllato le telecamere?» domandò ai suoi uomini guardandosi rapidamente intorno non appena mise piede nel salotto.

«Ne abbiamo trovata solo una e l'abbiamo oscurata. Il campo è libero.»

«Allora non perdiamo altro tempo. Su in soffitta.»

Si portarono a lato del salotto e salirono sulla scala di legno fermandosi in cima, di fronte a una porta d'acciaio.

«Ecco perché non abbiamo notato nessun allarme» commentò il capo della squadra indicandola «è blindata. Mi sa che dovremo usare l'esplosivo.»

«Fai tutto ciò che è necessario» gli ordinò Margot con aria seria «ma buttala giù!»

«Scendete di sotto» ordinò quest'ultimo agli altri agenti mentre si toglieva lo zaino dalle spalle «ci penso io a preparare il necessario.»

Dieci minuti più tardi un'esplosione controllata di C4 fece tremare il pavimento del salotto mentre i cardini saltavano divelti dal muro di pietra. Una nuvola di polvere arrivò fin sotto le scale. L'uomo diede un paio di pedate sull'angolo e la porta si aprì.

«Via libera.»

Margot risalì insieme agli altri tre agenti ed entrò nella soffitta. L'aria era pulita e non c'erano tracce di umidità nonostante le finestre dislocate lungo la parete che dava sul retro dell'edificio fossero chiuse da inferriate e da persiane di legno. Margot accese la luce. Un leggero ronzio le segnalò la presenza di un grosso condizionatore. Si voltò e lo vide, appoggiato alla parete laterale.

Cornelius ha pensato a tutto, pensò, voltando poi lo sguardo intorno. Centinaia di casse erano disseminate nel vano del sottotetto, ammonticchiate le une sulle altre come un deposito. Avanzò con cautela sempre più convinta che là dentro si trovassero le opere d'arte perdute.

«Apriamole sole alcune» ordinò portandosi di fronte a una grossa pila accatastata a ridosso della finestra centrale «controlliamo prima il contenuto, poi decideremo il da farsi.»

Mentre gli agenti si sparpagliavano per la soffitta, lei poggiò lo zaino a terra e ne tirò fuori un'asta di metallo ricurva all'estremità. Con un po' di forza la infilò nell'incavo di una della casse di legno e ne divelse il coperchio. Una nube di polvere si alzò davanti ai suoi occhi. Tossì, poi lasciò il piede di porco a terra e osservò l'interno. La cassa era piena di quelli che parevano quadri, tutti avvolti da un telo bianco. Prese il primo, con delicatezza, e tolse la copertura scoprendo una tela che ben conosceva. Con un sorriso si rimise in piedi osservando il dipinto che teneva fra le mani. Si trattava della Mujer de Blanco, una delle tante opere di Picasso sparita nel 1940 all'inizio dell'occupazione tedesca. Di quel quadro si sapeva solo che era stato realizzato nel 1922, che poi era stato acquistato dall'ebrea tedesca Carlota Landsberg intorno al 1926 per poi scomparire dopo essere stato spedito a Parigi presso un mercante d'arte.

Adesso era chiaro dove fosse finito. Poggiò il quadro sulla cassa e si rivolse ai suoi uomini. «Cosa avete trovato?»

«Manufatti e quadri, a giudicare da una prima occhiata.»

Margot represse a stento una smorfia di soddisfazione. «Chiamate i camion, subito. Dobbiamo portare via tutto, fino all'ultima cassa.»

«Sì, signora.»

Al pensiero di quante opere d'arte sparite potevano essere conservate in quella soffitta Margot fu invasa da una rabbia tremenda. Quel viscido omuncolo di Cornelius aveva conservato tutto per più di cinquant'anni, ma stavolta, quando sarebbe tornato, avrebbe trovato ad aspettarlo un'amara sorpresa. Soddisfatta, si chinò per richiudere la scatola e fu in quel momento che notò una specie di diario incastrato fra un paio di involti. Incuriosita lo prese. Si trattava di un piccolo volume in pelle con stampato al centro della copertina un sinistro logo che ben conosceva. Sentì un brivido salirle lungo la schiena mentre fissava con occhi sgranati il simbolo oscuro dei Cavalieri dell'Ordine Nero.

 Sentì un brivido salirle lungo la schiena mentre fissava con occhi sgranati il simbolo oscuro dei Cavalieri dell'Ordine Nero

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Invasa da una sensazione poco piacevole, decise di aprirlo. Sulla prima pagina c'era scritto un solo nome Die Krähe, il Corvo, e sotto una piccola frase.

«Mia cara Inge, porterò a termine il mio compito, se Iddio vorrà. Alcune operazioni di trasporto hanno già avuto successo. Le restanti casse della Reichsbank le affido a te. Soltanto tu sai dove si trovano. Possa Dio aiutarti a finire quanto io ho iniziato.»

Margot lo strinse forte, cercando di immaginarsi il significato di quelle parole. Sentiva di aver trovato una chiave importante solo che al momento non aveva idea di cosa potesse significare, ma lo avrebbe scoperto presto. Reprimendo a stento un moto di rabbia e disgusto misto a adrenalina, lo nascose nella sua giacca con l'intenzione di approfondire la faccenda una volta tornata in sede urlando al contempo le ultime istruzioni per svuotare una volta per tutte quella soffitta di tutti i suoi tesori.

L'ISOLA DEI MORTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora