CAPITOLO 48

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Margot e Bonnet atterrarono all'aeroporto di Breslavia a metà mattinata. L'auto-noleggio si trovava a qualche decina di metri all'esterno del terminal per cui impiegarono ben poco tempo per raggiungerlo. La prenotazione era già stata fatta e non dovettero attendere a lungo. Meno di venti minuti più tardi stavano già sfrecciando lungo la statale diretti al palazzo Minkowskie.

Un'ora dopo parcheggiarono la macchina nello sterrato di fronte ai capannoni in disuso.

«Prendi la pistola» ordinò Margot chiudendo la portiera. «Coprimi le spalle.»

Bonnet annuì.

In silenzio attraversarono la statale e si portarono a fianco di ciò che restava del muricciolo di cinta del palazzo.

Intorno a loro regnava il silenzio.

Margot si avvicinò con cautela al cancello di ferro e subito notò che era aperto. Lo spinse con la punta del piede e si portò sul prato con i sensi all'erta, seguita da Bonnet. Dette una rapida occhiata intorno, ma non notò nulla di strano.

Fece un cenno a Francois, quindi, avanzò rapida nella sterpaglia fermandosi a ridosso del muro scrostato e invaso dall'edera. Il cuore le sobbalzava nel petto. Respirò a fondo cercando di calmarsi, ma l'atmosfera tetra di quel rudere abbandonato acuiva la sensazione di trovarsi in una specie di trappola.

«Da quel che vedo sembra che dovremo guardarci dai topi piuttosto che da qualche intruso» le sorrise Bonnet quasi intuendo i suoi turbamenti.

La sua voce ebbe l'effetto di calmarla. «Forse hai ragione» gli fece un leggero sorriso. «Dai andiamo a dare un'occhiata dentro.»

Si mossero rapidi rasentando il muro fino alla scalinata di sinistra, poi salirono e si fermarono di fronte al massiccio portone d'ingresso. Anche questo non era chiuso. Margot tirò fuori la pistola, si mise un dito sulla bocca volgendosi verso Bonnet come a comunicargli il massimo silenzio, poi dette un calcio alla porta spalancandola quel tanto che bastava per entrare. Un forte odore di umido e di muffa le fece arricciare le narici. Si coprì il naso con il braccio avanzando veloce verso l'atrio centrale.

***

Hans aveva seguito tutta la scena nascosto nella camera sotterranea. Dopo aver piazzato le cariche esplosive era risalito di un livello quando era stato attratto da un rumore di passi all'esterno. L'unica finestra dalla stanza aveva il vetro spezzato per cui dalle sbarre di ferro gli era possibile udire qualsiasi cosa. Si era perciò accostato al muro osservando dalla sua postazione ciò che avveniva all'esterno. Il pavimento si trovava diversi metri sottoterra per cui era stato costretto a mettersi in punta di piedi per arrivare all'altezza della base della finestra che, vista da fuori, risultava quasi appoggiata sull'erba del parco.

Nessuno avrebbe potuto scorgerlo, mentre lui era in grado di ascoltare e vedere ogni cosa. E non si era sbagliato. Pochi istanti dopo aveva scorto due figure appoggiarsi al muro.

«Da quel che vedo sembra che dovremo guardarci dai topi piuttosto che da qualche intruso» aveva detto la prima voce, quella di un uomo.

«Forse hai ragione. Dai andiamo a dare un'occhiata dentro» aveva replicato la seconda, di una donna.

Hans aveva sorriso.

Sapeva che i tizi della Horus sarebbero dovuti arrivati di lì a poco, ma non avrebbe creduto così presto. Fortuna che aveva già predisposto ogni cosa e individuato pure l'ingresso dei cunicoli, altrimenti sarebbe stato un grosso problema. Non appena li aveva sentiti muoversi, aveva fatto altrettanto anche lui dirigendosi verso il vano del sottoscala, in attesa di studiare le mosse dei suoi avversari. Wagner gli aveva detto che ci sarebbero state più persone di quelle che aveva visto per cui si era immaginato che quella dovesse essere una sorta di avanguardia arrivata sul posto per studiare la situazione e predisporre un piano d'attacco. Un po' come aveva fatto lui.

Poco male. Aveva estratto il cellulare e mandato un breve messaggio a Karl, poi si era messo in allerta appiattendosi contro il muro, in attesa degli eventi.

***

L'occhiata di Margot non lasciò adito a dubbi. Entrambi si mossero in direzione della scalinata di marmo che portava ai piani inferiori immaginando che l'ingresso ai cunicoli dovesse trovarsi il più in basso possibile.

Intorno a loro le pareti scrostate erano annerite dalla muffa, enormi sacchi del sudicio, alcuni aperti, erano accatastati lungo i muri mentre parte del loro contenuto sparsa sul pavimento. Un puzzo nauseabondo unito al pungente odore d'umido rendeva l'aria irrespirabile, ma per fortuna il vento che spirava dai vetri rotti delle finestre dava loro un leggero sollievo.

Imboccarono la prima svolta scendendo di un livello.

La penombra si trasformò presto in semioscurità e Margot accese la torcia del cellulare.

Scesero fino in fondo sbucando infine in una grande sala dal soffitto basso con una enorme colonna di pietra al centro.

«Sembra una cripta» ruppe il silenzio Margot tenendo la testa bassa. Poi si guardò intorno scrutando ogni anfratto, ma non vide nessuno.

«Non mi piace» le fece eco Bonnet. «Meglio imboccare quel corridoio e vedere dove porta.»

Lei annuì e si mosse in avanti. Camminarono ancora, leggermente in discesa, per una decina di minuti, avvolti dal silenzio, sicuri di essere da soli. Alla fine, si ritrovarono in un'altra sala, molto più grande della prima. Stavolta erano tre le colonne di pietra che sorreggevano un soffitto alto.

«Guarda» fece Margot indicando con la luce della torcia una scaletta di pietra alla sua destra. «Laggiù. Sembra che si possa scendere ancora.»

«Vai a dare un'occhiata tu, io aspetterò qui, all'imbocco del tunnel, per sicurezza.»

«Sai» fece Margot stirandosi un attimo la schiena indolenzita «forse Payne aveva ragione. Tutta questa desolazione potrebbe farci sperare davvero che qualunque cosa ci sia nelle viscere della terra, forse si trova ancora là.»

«Vorrei che tu avessi ragione» replicò lui voltando la testa a destra e a sinistra agitato. «Perché, se devo essere sincero, questo palazzo mi mette i brividi.»

«Anche a me. Comunque cercherò di fare il prima possibile. Tu rimani a un tiro di schioppo, se mai ti dovessi chiamare» quindi si mosse veloce verso la scala di pietra e sparì inghiottita dall'oscurità.

***

Hans non si era mosso. Li aveva visti passare davanti a sé e dirigersi verso la prima sala e sapeva bene che da lì il percorso era quasi obbligato: seconda sala, scala di pietra, cancello di ferro.

Sarebbe stato abbastanza inutile seguirli, visto anche che loro non avevano la più pallida idea che lui fosse lì. Che scoprissero pure l'accesso ai cunicoli, tanto meglio. Karl sarebbe stato euforico se, una volta arrivato, le ricerche fossero state già a buon punto.

E poi c'era anche un'altra ragione se aveva preferito rimanere nell'ombra. Una volta entrati nei corridoi scavati nella roccia, in che modo sarebbe stato possibile rintracciare le casse? Per quel che ne sapeva lui si trattava di chilometri di gallerie. Quindi?

Su quella domanda ci aveva riflettuto a lungo soprattutto durante il volo verso la Slesia ed era giunto all'unica conclusione possibile: se la Horus era così certa di poter mettere le mani sopra il tesoro del Reich, allora voleva dire che era in possesso di una mappa, o di qualsiasi altra cosa, in grado di guidarla verso i cunicoli corretti.

Chiunque avesse messo a punto quel piano segreto doveva aver pensato a un'eventualità del genere e con ogni probabilità disseminato i sotterranei di corridoi fittizi magari addirittura con trappole.

Non sarebbe stato poi così impensabile.

Era certo che anche Karl la pensasse allo stesso modo, quindi, aveva deciso di non fare nulla, per il momento.

Il tempo era a suo favore, non era necessario anticipare le mosse. Perciò aveva atteso una decina di minuti, giusto per essere sicuro che nessuno udisse i suoi passi, poi era risalito rapido fino all'atrio centrale, era uscito all'aperto e aveva trovato rifugio fra gli alberi del parco, lungo il perimetro.

In tasca il dispositivo per far detonare le cariche pronto per essere usato.

L'ISOLA DEI MORTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora