CAPITOLO 12

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Aumühle

Villa di Ernst Dönitz

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Bernard Blanchard parcheggiò la macchina a fianco della staccionata in legno che delimitava l'accesso a una vecchia casa di legno abbandonata. Erano circa le undici di mattina, ma non faceva per niente caldo, anzi. Una brezza umida soffiava serpeggiando fra gli alberi del vicino bosco, facendo ondeggiare le cime frondose in una danza quasi ipnotica.

Aumühle era un piccolo comune situato a circa venti chilometri a est di Amburgo in mezzo alla Sachsenwald, la più grande area forestale della Germania orientale, cosa che sperava potesse servigli per passare inosservato.

Spense il motore e scese dall'auto lasciando che il vento gli scompigliasse i capelli. Si guardò intorno. Lungo la strada sembrava per il momento non transitare nessuno a parte un paio di biciclette che avanzavano veloci nella sua direzione. Le osservò per un breve istante finché non le vide scomparire come inghiottite dai sentieri sterrati che conducevano nel bosco oltre la villa.

A quel punto fissò lo sguardo sulla grande casa di mattoni scuri che sorgeva dalla parte opposta della carreggiata, proprio a ridosso della vegetazione, ed ebbe la netta sensazione che qualcosa si trovasse fuori posto.

Poi capì.

Si trattava di una Mercedes nera dai vetri fumé parcheggiata proprio di fronte all'ingresso del cottage di Dönitz, un elemento del tutto insolito in un ambiente prettamente rurale. La sola vista di quella macchina gli mise addosso un gran brutto presentimento. Sentì come un leggero brivido corrergli lungo la schiena, un freddo avvertimento che sarebbe stato meglio non ignorare. Tirò fuori la pistola in dotazione agli agenti della Horus e si avvicinò con circospezione all'ingresso.

Nell'aria c'era un vago odore di legna bruciata e intorno regnava uno strano silenzio. Bernard osservò con attenzione la villa, constatando che si trattava di una vecchia costruzione in pietra a un solo piano, con un grande tetto spiovente in ardesia scura e una consunta scalinata in legno che sembrava condurre diritta al portone principale. Sotto le finestre, racchiuso da una specie di arco in mattoni, si apriva un vano seminterrato, una sorta di rientranza all'interno della quale si trovavano un paio di garage.

Gettò un rapido sguardo in quella direzione notando che uno dei due era chiuso mentre l'altro era aperto, ma vuoto. Insolito, eppure non sospetto, se non fosse stato ancora una volta per quella Mercedes nera che adesso si trovava a pochi passi da lui, parcheggiata sul vialetto a ridosso del giardino alberato che degradava dolcemente verso la statale. Poco più in là notò una grossa catasta ben allineata di tronchi di legno tagliati di fresco.

Si avvicinò alla macchina e con la mano toccò delicatamente il tubo di scappamento. Caldo. I suoi sensi si misero all'erta. Chiunque ne fosse il proprietario non doveva essere lì da molto e questo significava che forse era arrivato appena in tempo.

Si mosse in avanti attento a ogni dettaglio imboccando le scale di legno che portavano all'ingresso. Le salì cercando di fare il meno rumore possibile, finché non arrivò a pochi centimetri dal grosso portone di legno massello. Con la coda dell'occhio notò che era appena socchiuso. Usando la punta del piede lo smosse leggermente in avanti sbirciando all'interno. Non vide nessuno, però udì distintamente delle voci, basse e roche provenire dal fondo della casa.

A giudicare dai toni potevano essere benissimo di un paio di persone e senza dubbio non stavano intrattenendo una conversazione amichevole. Entrò, tenendo la pistola puntata in avanti e attraversò il lungo corridoio seguendo le voci.

«Questa è la sua ultima occasione, Herr Dönitz» sentì dire da uno dei due con un forte accento tedesco. «Poi passeremo alle maniere forti. Allora? Dove si trova il quadro?»

Nessuna risposta.

Bernard continuò ad avanzare fino a portarsi appena dietro l'arco al di là del quale si apriva la sala. Gettò un'occhiata all'interno giusto per studiare l'ambiente, ma non gli sembrò che ci fosse un gran che da vedere. Arredata con poco mobilio, le uniche cose degne di nota erano un grande camino sulla parete di destra e quattro enormi finestre sul lato lungo, quello di fronte a lui, dalle quali si poteva vedere una parte del bosco retrostante. Al centro, accanto a un massiccio tavolo di legno, si trovava un vecchio dall'aria impaurita legato a una sedia con le mani dietro la schiena.

Ernst Dönitz.

Il volto dell'uomo era pallido e provato, la barba lunga incrostata di sangue e i capelli bianchi strappati in più punti. Solo i due piccoli occhi infossati sul viso rugoso sembravano dimostrare l'enorme forza ancora all'interno di quel corpo martoriato. Un rivolo di sangue gli scorreva dalla tempia fin sopra la guancia.

«E se iniziassimo con il tagliargli un dito alla volta?» fece il secondo uomo rivolto al compagno con un ghigno di soddisfazione sulle labbra. «Magari gli si scioglierà la lingua, al vecchietto.»

Pareva divertirsi.

Bernard non aveva una conoscenza della lingua tedesca tale da permettergli di sostenere a lungo una conversazione, ma ne masticava comunque abbastanza da capire ciò che quei due avevano intenzione di fare.

Continuò comunque a osservare, cercando di elaborare un piano. I due uomini erano vestiti in modo identico, quasi come se portassero un'uniforme. Completi neri, berretti dello stesso colore e, almeno uno, alle mani, spessi guanti di pelle scura. Si trattava del più smilzo, quello che aveva parlato per ultimo, perché l'altro, decisamente ben più piazzato del collega, non li portava.

Bernard notò che alla mano sinistra, quella che impugnava la pistola puntata contro Dönitz, spiccava un grosso anello, ma non riuscì a distinguerne i particolari. Si annotò che quell'uomo doveva essere mancino.

«Il vecchio è più coriaceo del previsto, prendi il coltello, vediamo quanto resisterà» ghignò l'uomo con la pistola rivolto al compagno.

La situazione stava precipitando rapidamente, doveva escogitare qualcosa. Margot aveva ragione. I Cavalieri Neri non si erano estinti. Qualcuno li aveva riesumati e quei due ne erano la riprova. Alzò la pistola pronto a far fuoco, ma in quel momento il telefono di casa iniziò a squillare.

Si bloccò subito e quando vide uno dei due uomini voltarsi nella sua direzione si affrettò a ritirarsi verso la parete accostandosi al muro per non farsi scorgere. Nel farlo però urtò con la spalla un piccolo quadro appeso alla parete del corridoio.

Imprecò tra i denti sperando che non accedesse nulla, ma dopo pochi secondi il tonfo del vetro sul pavimento si propagò nel silenzio del cottage come un'onda d'urto. Senza pensarci troppo si voltò e corse indietro, gettandosi rapidamente all'interno della prima stanza che trovò aperta, giusto un attimo prima che uno dei due uomini facesse il suo ingresso nel corridoio.

L'ISOLA DEI MORTIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora