Capitolo 57 ~ Coco

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Riesco a mantenere una parvenza di dignitosa impassibilità, almeno esternamente, ma dentro di me vorrei sprofondare. 

Avrei tanto, tanto, tanto voluto trasmettere ai Guardiani un senso di affidabilità e sicurezza. Insomma, siamo alleati, giusto? E io, in un certo qual modo, mi ritrovo in questa inusitata situazione a rappresentare tutti noi Cavalieri. Desidero disperatamente essere all'altezza della situazione, ma con il piccolo incidente verificatosi grazie a Lullaby non riesco a scacciare la sensazione di aver corso il rischio di essere giudicata...che so...ecco, direi frivola. Un aggettivo che nessun guerriero gradirebbe vedere associato alla propria persona. 

Ci tengo davvero a fare loro una buona impressione, e questo è insolito, visto che dell'opinione di chi conosco appena non mi è mai importato granché. Però qui non si tratta di amici appena incontrati con i quali al massimo potrei ritrovarmi a uscire qualche sera, sono persone al fianco delle quali potrei ritrovarmi a combattere, persone che dovranno essere pronte a mettere la loro vita nelle mie mani e a cui io dovrò essere disposta ad affidare la mia. Non penso siano così superficiali da trarre il loro giudizio sulla base di questa inezia, ma mi sento comunque colta in fallo. È terribilmente frustrante.

E poi c'è Cain. Avrei preferito che lui, in particolare, non assistesse alla scena. 

La verità è che indosserei volentieri il corsetto di pelle per lui. Tutto quello che desidero è vedermi riflessa nel suo sguardo e trovarmi bella, desiderabile. Me ne sono resa conto ancora di più: voglio che mi veda come donna, non solo come Cavaliere. Per questo è meglio evitare incidenti del genere, perché non fanno che portarmi a desiderare ancora di più qualcosa che so di non poter avere. Proprio perché già tengo a lui così tanto i nostri ruoli devono essere rispettati.

A parte il piccolo ma discretamente imbarazzante incidente il resto del pomeriggio trascorre tranquillo. Anzi, devo ammettere che trovo la compagnia dei Guardiani sorprendentemente piacevole, una volta fatta l'abitudine alla loro curiosità quasi straripante.

Non sono affatto male. Shiver, Moonshine e Dark mi trasmettono un senso di affidabilità e sicurezza; l'entusiasmo di Lullaby è decisamente contagioso e persino su End non riesco a trovare nulla da ridire. È un po' scontroso, ma nel complesso abbastanza ben educato. Mi sarei aspettata di provare un maggior senso di disagio, di estraneità con loro accanto invece, bizzarro ma vero, sento fiorirmi in petto una inattesa sensazione di fiducia.

La curiosità poi...la curiosità che provo nei loro confronti è grande almeno quanto quella che loro manifestano nei miei confronti. Ci sono così tante cose che non so su di loro... 

Su di loro come persone, ovviamente, ma anche sui Guardiani come popolo.

Ricordo che nella biblioteca del Palazzo ci sono centinaia di testi sulle tecniche di combattimento dei Guardiani e sulle storie delle interminabili guerre combattute tra le nostre genti, ma nulla o quasi sulla loro società e la loro storia come popolo. Avrei talmente tante domande che vorrei fare!

È vero che vivono in una città sotterranea? Questo dicono le storie, ma nessuno dei Cavalieri che l'hanno cercata è mai riuscita a trovarla. Non pretendo che mi rivelino la sua collocazione, questo no, vorrei solo sapere se esiste davvero. Una curiosità puramente scientifica.

Com'è la vita quotidiana nella loro città natale? Quale divinità pregano la sera o prima di una battaglia? A che età divengono capaci di assumere la loro forma felina? Come ci sente a essere gatti? I pensieri sono gli stessi di quelli umani? È vero che iniziano ad addentrarsi al combattimento da bambini? E le voci, quelle voci che da secoli girano sui membri del Gran Consiglio e sul loro modo di governare...

No, sono domande che non posso fare, non ancora. Troppo personali, troppo intime. Non sono cose da rivelare alla leggera a chi, fino a ieri, era tuo nemico mortale, lo capisco.

«Allora, quand'è che si mangia?» chiede Lullaby di punto in bianco. È rimasta sola con me, gli altri hanno unito le forze per finire di svuotare la mia libreria.

Ecco, io me ne stavo qui a riflettere su temi pregni di valore storico e sociale mentre lei pensa a riempirsi la pancia. L'ideale per lasciarsi alle spalle i voli pindarici e tornare a questioni più pratiche.

Non so se ridere o lanciarle un'occhiataccia. Opto per la seconda opzione. 

«Dopo quello che hai fatto meriteresti che ti lasciassi a digiuno» affermo con una severità che, in fin dei conti, sono ben lungi dal provare.

Lullaby sbuffa. «Certo che sei pesante, sai? Come se in realtà tu non volessi che lui ti vedesse con quello addosso».

«Ma certo che no!» mi affretto a negare.

Lei scuote lentamente la testa. «No, no, no. Ti conviene essere sincera con me, sai? Mia mamma era una strega e io ho preso da lei: lo capisco subito quando la gente mi dice bugie».

Io non replico, perché se lo facessi mentirei di nuovo. Il fatto che lei abbia ragione è secondario: nessuno le ha insegnato che certe verità non si possono dire così, a cuor leggero?

A stupirmi più di tutto, più della sua disarmante sincerità, è la rivelazione sulle sue origini. Non saprò molto sulle usanze e le leggi dei Guardiani, ma una cosa la so: le unioni miste sono molto, molto mal viste. Forse appena appena tollerate quelle con gli Umani, ma per quanto riguarda i membri delle altre stirpi fatate...

Non le faccio domande in proposito però. Sono certa che mi risponderebbe, ma un minimo di delicatezza ce l'ho, io.

Mi guarda come si guarderebbe un animale curioso e raro. «Non ti capisco, sai?»

«Cos'è che non capisci?» domando perplessa.

«Tutto» afferma con un gesto vago. «Ma in particolare... beh... tu lo ami il tuo Vampiro, no? Voglio dire, lo ami come una donna può amare un uomo. Perché non glielo dici?»

Non smette mai di fare domande complesse e inopportune? Mi siedo sul letto, di fianco a lei. «Sai, non è facile da spiegare».

«Tu provaci comunque. Io farò del mio meglio per capire» dichiara con serietà.

Ci penso su. Perché dovrei parlarne con lei? Perché non ho nessun altro con cui parlarne, ecco perché, e anche perché c'è qualcosa in lei che ti porta a confidarti, anche se non vorresti. Il suo viso, schietto e curioso, sembra dirti che lei è lì apposta, per ascoltarti, e tu puoi dirle tutto, assolutamente tutto.

 Esitante, comincio: «Ha sofferto molto prima che voi lo imprigionaste, e ha passato cinquant'anni chiuso in un sarcofago con nient'altro da fare se non rivangare i propri ricordi peggiori e credimi, quando hai alle spalle qualche millennio di vita di ricordi orribili ne hai una vasta selezione. Ha bisogno di tempo e pace per guarire, e la pace nella vita di noi Cavalieri e dei nostri protetti è un lusso raro e in genere di breve durata. Non posso rivelargli i miei sentimenti. Se anche per un qualche miracolo li condividesse potrebbe comunque preferire che la nostra relazione resti definita unicamente dai nostri ruoli. Non c'è nulla di peggio, per due che sono legati per la vita, del peso di un sentimento che, per un motivo o per un altro, non può essere condiviso, e io non potrei mai fargli portare questo peso. Averlo accanto sentendo il suo disagio, il suo timore di dire o fare qualcosa che potrebbe ferire i miei sentimenti...no, meglio che le cose restino come sono».

«In poche parole soffri perché sei altruista» riassume con un sorriso.

Che invidiabile capacità di sintesi. «Sì, immagino si possa anche dire così» acconsento, sorridendo a mia volta.

Basta discorsi profondi e dolorosi, è il momento di alleggerire l'atmosfera. Mi alzo in piedi e allegramente le chiedo: «Dunque, che mangiamo per cena? Una pizza?»

Il suo viso si illumina. «Sì! Sapessi, non la mangiamo mai...»

«Che ne dici allora di andare di là a chiedere agli altri come la vogliono e che cosa prendono da bere? Io torno subito, scendo un attimo a chiedere una cosa a mia madre».

«Va bene» afferma, eclissandosi nella stanza accanto.

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