Capitolo 7. Appuntamento al buio.

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No. Io sono nato per l'inferno.
Ness.


Ombra.


Avrei voluto raccontarvi la mia storia fin dall'inizio, quando solo un bambino innocente tra le fasce cullato da una donna, che ben presto diventò troppo giovane, una madre e da una madre alla mia lieve rovina, eppure, in un certo senso lei aveva delle colpe dolci, sottili come un filo, ma spinato da dolere.
La mia peggior rovina è stato l'uomo che l'ha messa al mondo, troppo grande per distruggerlo, troppo grosso almeno per provarci, il suo sguardo era come un fottuto animale pronto a sbranare la sua preda in un solo morso ferreo.
La cattura, ma no, non si faceva vedere il cattivo all'inizio, lui era l'uomo più dolce e protettivo a fingere, l'avevo guardato, e giuro, il suo sguardo era lo stesso del diavolo, ma il suo colore d'occhi era come il mio.
Ecco perché ho odiato i miei occhi, sono gli stessi del mostro che mi ha ucciso, guardandomi dritto negli occhi.
Mi aveva promesso un futuro, forse migliore di quello che mi aspettava, ed io, povero scemo, c'ho creduto, ho creduto di poter avere un futuro migliore, io, proprio io.
Che di migliore mi avrebbe solo aspettato un cibo da dietro le sbarre.
Alla mia età, dovevo solo divertirmi, alla fine ho solo finto di divertirmi, e schiavo delle mie virtù ero diventato esattamente quello che esso si aspettava da me, un animale feroce pronto a divorare chi lo stesse circondando.
Ero fuggito dalla mia casa in cerca di salvezza, quella che lui nel suo sguardo dimostrava di essere, la mia salvezza.
Volevo avere un qualcosa di certo sulle mie spalle, e lui sembrava possedere quello che cercavo, senza troppi scrupoli entrambi eravamo diventati affiatati, da subito, prima però avrei dovuto fare ciò che mi chiedeva, dovevo dimostrare a lui, che io ero ciò che lui esattamente stava cercando, fiducia, un figlio che non ha mai avuto, e poi un qualcuno dove avrebbe lasciato il suo impero.
Ero entrato nella sua dimora, un castello con delle fortezze, gioielli preziosi, e oro, statue e quadri di immenso valore, lo guardavo manovrare le sue pedine come un gioco, era facile, ma non facile come mi aspettavo, quando mi ritrovai a giocare all'interno del suo gioco preferito.
Dentro il suo impero, dove il sangue mi faceva annegare, e proiettili morire.
Poi diventando una droga.

Ricordo ancora adesso la prima volta che mi chiese di fare una cosa per lui.
Mi aveva riempito di droga addosso. Un corpo di un bambino, che al posto di proteggerlo lo mandava a fare le spedizioni come un fottuto corriere della cocaina.
Ero andato a bussare alla porta di un uomo, gli arrivavo a stendo al petto, mi guardava come guardava una formica, ma non poteva calpestarmi, perché con me avevo ciò che più bramava.
Eppure, quella volta é stata poi la mia punizione per non aver consegnato tutto, ero finito in un quartiere, c'era puzza, una puzza di merda, muffa e umidità.
Degli uomini mi avevano accerchiato, i loro occhi come cecchini puntati addosso a me.
"Giuro, non mi ero cacato addosso!" Sapevano cosa portavo o per chi la portavo.
A quell'età non ero ancora bravo a identificare bene la gente.
Mi avevo lasciato atterra privo di senso, e vuoto di cocaina.
Ho avuto pure le palle di ritornare da mio nonno, e seduto sul divano in pelle nera del suo ufficio davanti un camino che bruciava lento la legna, gli avevo raccontato tutto.
Che pessimo tempismo.
Mi aveva picchiato come piaceva a lui.
Sul mio corpo bruciature e cicatrici di un inferno vissuto in pieno.
Non gli ho mai detto fermati o basta.
Non gli ho nemmeno detto ti prego, mi fai male, non cadevano nemmeno lacrime dai miei occhi.
Guardavo il pavimento, e non guardavo il tetto, avrei potuto pregare a un Dio, se solo dannazione, ci avessi creduto almeno un po'.
Mi ritrovai a volerne di più, di quel dolore, che mi dicevo che me lo meritavo, che ero solo un fallimento, e da come fallimento meritavo di essere cancellato dalla faccia della terra.
L'avevo guardato negli occhi, erano così vuoti, e mi chiesi come potesse, fare una cosa del genere a suo nipote, sangue del suo stesso sangue, come poteva fare una cosa del genere ad un bambino, che per quando fosse stato esiliato meritava almeno un po' di essere curato.
Quel giorno non avevo chiuso occhio, forse perché erano troppo gonfi dal dolore, e troppo neri per far fare compagnia ad altro buio.
Mi faceva male dappertutto, le ossa, e sopratutto le braccia, quelle dove erano piene di ustioni.
Non l'avevo curate.
Perché il dolore non si cura, ma ci si deve imparare a convivere.

La serata era passata in fretta, e dopo aver vinto la scommessa, ci voleva solo un po' di divertimento e giuro, volevo solo dimenticarmi della persona con cui ho gareggiato.
Quel ragazzino aveva ancora gli occhi delle stesso colore, ma aveva anche un'altro effetto su di me.
Ma quando avevo aperto lo sportello mi ritrovai due occhi celesti come il mare d'estate, il cielo calmo e privo di nuvole.
Non credevo che avrei avuto la possibilità di incontrarla, almeno non così.
E dovevo ammetterlo, per la prima volta, ho avuto paura.
Davvero paura.
Tanta.
Non volevo che mi vedesse così, con questi occhi pieni di rabbia, e lussuria.
Quando gareggio e come se in me, si calasse un'altra anima, quella oscura, quella che compare solo quando prendo a cazzotti qualcuno, quello che esce con la rabbia.
Sapevo che era solo frutto di un adrenalina, e che mi piaceva sentirla scorrere così veloce dalla mie vene fino a far pulsare il cervello.
Era un po' quando mi chiedeva mio nonno di prendere i soldi da qualcuno che non gli e l'ha più ridati.
E Dio. Quello era solo puro divertimento.
Ma lei.
Mi ha fatto cadere tutte le barriere.
Lei era solo un ossigeno.
Una droga.
Tutto ciò che tu non puoi farne più a meno.
E in questo momento lo erano i suoi occhi.
Agganciati ai miei con tale forza da spaccare le ossa, ma in me stava spaccando l'anima.
Avevo visto la sua amica sussurrargli qualcosa all'orecchio mentre fissavano me entrambe.
Oh Laura. Laura e Laura.
Come devo fare con te?
Tuo fratello non permetterebbe di parlare così di me. Con quel viso innocente, ma accanto alla mia bambina lei era solo una vipera.
L'ho sentito ciò che gli sussurrò.
Mai prendere per il culo me.
E bene.
Sa.
Il.
Mio.
Nome.

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