Capitolo 14. La bella e la bestia.

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«Ci sono molti uomini», disse la Bella, «Che si rivelano mostri peggiori di te.
Ed io ti preferisco a loro, nonostante il tuo aspetto...»
da La Bella e la Bestia


Ava

C'era una volta una bambina, era cresciuta nell'affetto della sua cara madre e tra le braccia troppo strette del padre, troppo geloso e spaventato per riuscire a lasciarla andare.
Poi era successo, ha dovuto lasciarla andare, non potevano rimanere insieme questo l'aveva già accettato la bambina, e se ci era riuscita lei poteva anche riuscirci un uomo giusto?
Un uomo grande e grosso come lui, lei lo vedeva come il principe azzurro che ha salvato sua madre, e chissà, se lei ci sarebbe riuscita a trovarne uno come esso.
Gentile, almeno appariva.
Geloso, ne voleva dimostrare.
Affettivo, ci aveva provato.
Cattivo, era riuscito ad essere.
Aveva capito che ci sono due tipi di principi, quelli che vivono in un vero e proprio castello, in un mondo fatato dove l'affetto di certo non sarebbe mai mancato, e poi c'era lui, quello che aveva rubato il trono, per essere più forte e potente di tutti, ci era riuscito, eh si.
Era davvero cattivo e malvagio come egli, aveva provato a tenere nascosto.
Ma si sa, le bugie hanno le gambe corte.
Troppo corte.
E chissà, poi, quante storie vivranno su di lui.
Tante, troppe, per sentire ad ascoltare, perché li, c'è ne sarebbero state in eterno.
Non era il brav'uomo che la bambina aveva conosciuto, e ci sperava, ci aveva sperato che quelle erano solo delle brutte fantasie inventati da uomini malvagi come di egli ne raccontavano.
La bambina andò via, e si chiedeva se sarebbe tornata, ma forse non le importava più di tanto, perché alla fine ci tornò, e aveva conosciuto il mostro che ne viveva dentro, quello che entrava nella sua stanza e si toglieva la cravatta, le si metteva accanto seduto sul letto, e da lì, era malvagio come aveva sentito.
Poi ne terminò con una melodia fragile e ferita.
Quanto le sue dolci e buie ferite.
L'inizio di una carezza, quella che non ebbe mai da lui.
Non più.
Perché lei ormai era troppo grande per averle.

*

Non ero pronta a vederlo, non ancora. Non sapevo cosa dirgli, forse il silenzio ne sarebbe rimasto solo un alternativa. Così spengo il telefono e lo riposo sul tavolo, giusto in tempo dell'arrivo della nonna, che mi chiede di andare con lei, e mi porta nella sua stanza da letto, dove un letto grande ne sovrana la stanza quasi del tutto scura, di un legno noce.
Solo una finestra da far luce in quel buio, perché le serrande, troppo basse non facevano entrare nessun raggio, se non uno che illuminava un gran tappeto ai piedi del letto.
Si incammina verso il grande armadio, e lo apre, cerca tra giacche del nonno e camicie eleganti, ma purtroppo, quello che cercava non era lì, lo richiude e ne apre quello che ne viene a seguire, dei vestiti della nonna eleganti, nero, bianco, e rosso, e chissà di quali altri colori!
Ed ecco, credo di aver capito cosa cercava fin quando non lo noto stretto fra le sue mani, dove ci passa una mano per levare la polvere superficiale.
Un album da foto.
Si avvicina ai piedi del letto e si accomoda, poi con la mano mi fa segno di sedermi anch'io accanto a lei. Così faccio come mi ha chiesto.
La morbidezza di quel letto era molto simile a quello dove dormivo prima, come mi accomodo ne esegue un dolce rimbalzo.
Guarda la copertina bianca di velluto, poi lo sfoglia, come prima fotografia spunta una bambina dolce e dal viso paffutello con le guance tinte di rosso. Dei capelli ricciolini e biondi le incorniciavano il viso bello.
Quello sguardo, l'avrei riconosciuto tra altri mille sguardi o fotografie. Le sfioro il volto con il polpastrello. <<é la mamma.>> le dico alla nonna. La nonna annuisce, così io levo il dito e lei scosta su un'altra pagina.
Un uomo giovane, elegante accanto ad una bambina seduta su una sedia antica con i piedini lavorati e i rilievi, con una ricopertura bianca, la bambina sé ne stava lì seduta, con il viso sorridente, la boccuccia aperta, e gli occhi chiusi dal sorriso, le fossette le regalavano un viso dolce, col dito che puntava proprio sull'obiettivo, l'uomo se ne stava fermo accanto a lei, serio, molto serio. <<era un uomo privato. Un sorriso lo regalava solo a noi. Non di certo ad una stupida fotografia!>> ride, amareggiata dai vecchi ricordi. Chissà cosa ci passa davanti i suoi occhi, troppo corrotti in questo momento trai film vecchi già registrati.
Io poso dolcemente la testa sulla sua spalla, e la nonna si rilassa.
Sfoglia un'altra pagina.
In questa fotografia alla nonna gli sfugge un sorriso, quello che cercavo.
Era il ritratto di una giovane nonna, con i capelli lunghi e castani che gli ricadevano sul petto, e una ciocca stretta fra la mano della mamma da piccolina, con adesso un vestitino da sposa in miniatura bianco. Il nonno le circondava la vita, esso finalmente con un lieve sorriso, ed i capelli tirati indietro con chissà quanto gel, e uno smoking a renderlo più elegante.
<<era il giorno del battessimo di mamma?>> le domando alla nonna, alzando di poco il viso e cercando il suo sguardo perso, ma felice sulla foto.
Lei annuisce, e così sono in questa volta che cambio la pagina.
La nonna questa volta è molto più giovane, con indosso un abito bianco che le ricadeva sulle sue curve gentili, i capelli legati in una acconciatura, e due boccoli cascavano sul suo volto, rosso sulle sue guance.
Ma i suoi occhi, erano così seri, da far paura.
La malinconia.
Rimpianti.
Accanto a lei il nonno, sempre con lo stesso viso serio, è perfetto come nelle foto precedenti.
<<sai piccola. Io non ero affatto innamorata di lui...>> si blocca per un po' e aspira profondamente. <<c'era un uomo, affascinante, abitava proprio accanto a me, ogni tanto ci vedevamo, io dalla finestra, e lui dalla sua terrazza, era un professore molto elegante.>> aspira ancora, io poso di nuovo la testa sulla sua spalla e prendo l'album delle fotografie, e mentre lei cerca di raccontarmi la sua storia breve, io mi dedico sulle fotografie. <<mia madre, era ossessionata dai soldi, prima di farmi sposare il nonno lei gli ha controllato il suo conto. Che dire? Di soldi ne aveva. Quel giorno del matrimonio, anche se in effetti io ancora ventenne non volevo sposarmi, ma purtroppo, il giorno stesso, mentre scendevo con l'abito da sposa in una discesa, con dei bambini che mi rincorrevano dietro ed io che mi dirigevo verso la chiesa l'ho incontrato.>> amareggiata, sospira.
<<il mio professore si blocca nell'istante, i suoi occhi fissi nei miei. Deluso, era molto deluso. Ma sapeva che la colpa di certo non era la mia. Che se avessi avuto la possibilità di scegliere, io avrei sposato lui, che chissà quante volte la madre venne dalla mia per chiedere la mia mano, che mia madre non ne volle proprio sapere.>> termina di dire, e si volta verso le foto sulle mie gambe. Con un dolce e timido sorriso.
<<nonna, mi dispiace.>> cambio pagina dell'album, <<sei mai riuscita ad amarlo al nonno?>> lo notavo come si guardavano, che i suoi occhi erano immersi nell'oceano del nonno.
<<tesoro, fin poi l'ho accettato, eh si, mi sono innamorata. Anche se prima ho passato tutte le pene della morte.>> si passa le mani sulle gambe e poi le posa ai lati del suo corpo sul letto e si aiuta ad alzarsi.
Non si sentiva ancora pronta a raccontare altro ed io ho accettato il suo silenzio.
Per un attimo mi ha fatto pensare a così tante cose, ed ebbi paura, se anch'io avessi dovuto sposare un uomo che io non volevo?
La mia mente vaga sull'ombra.
E poso l'album di foto sul letto e lo richiudo, passandoci una mano sopra.
Mi volto verso la nonna, intenda a cercare ancora nell'armadio chissà cos'altro, e quando la trova me la passa.
Una sciarpa.
Me la gira attorno al collo, ed io la sfioro con le mani, un verde gentile e dalla morbidezza che si perde fra le mie dita.
La stringo a me, poi mi alzo e abbraccio la nonna.
Un gesto piccolo eppure per me ha contato. Tanto.
Mi prende per mano e mi porta in cucina, dove ancora il nonno e il ragazzo parlavano, ma quando noi facciamo intrusione nella stanza i loro occhi si alzano sui nostri corpi.
Daniel posa gli occhi sui miei, poi si sofferma sulla sciarpa che mi nasconde il collo, e abbassa lo sguardo sul tavolo.
Il nonno mi fa segno di avvicinarci a lui, così faccio come mi chiede. Indietreggia con la sedia e mi fa cenno di sedermi sulle sue gambe.
Troppo, il profumo di sudore e tabacco, insieme mi fanno prudere il naso.
Sono vicino a lui, e l'ansia mi sovrana, fino a farmi stringere il nodo in gola. <<questa è la mia nipotina. L'hai vista che bella caro?>> gli chiede il nonno a Daniel. Giuro che sto andando a fuoco. Si, brucerò nelle fiamme, ma mai cosi calde come le iridi che poi si posano su di me.
Daniel annuisce, quasi infastidito da questa domanda. E da un viso beffardo. La nonna ho notato che stava iniziando a cucinare, così mi alzo e la vado ad aiutare, dopo aver levato la sciarpa e appesa sulla sedia.
Abbiamo mangiato tutti insieme, anche se Daniel è stato la maggior parte del tempo ad annuire al nonno che gli parlava, ed io ad ascoltare la nonna che mi chiedeva come me la passavo in questi giorni, poi iniziò a parlarmi di Mirko. <<é un bravo ragazzo. Me lo ricordo quando ti venivo a trovare a casa di Tony come giocavate!>> ride poi mangia un pezzo della sua carne sul piatto.
Io le sorrido. Ma noto il pugno di Daniel che si stringe così forte da far diventare le nocche bianche.
Lo irrita così tanto solo al sentirlo nominare?
La cosa che mi chiedo è perché, lo odia così tanto?
Ebbi un po' di timore.
Verso le due del pomeriggio Daniel e il nonno, vanno di nuovo in barca, il nonno bacia sia me che la nonna sulla guancia.
Daniel alza il mento solo alla nonna in segno di saluto, e ci da le spalle e va via.
É un gran maleducato.
E la cosa che mi irrita di più è perché gli devo dare tutta questa importanza? E perché lo devo vedere spesso? E sento che lo dovrò accettare, perché lo vedrò molto, ma molto spesso.
Dovrò convivere con la sua antipatia, e la sua voglia di farmi scomparire dalla faccia della terra.
Mi odia quasi quanto odia Mirko.
E per me va bene.
Tanto non mi è mai sembrato un tipo affidabile, e come fa il nonno ad avere così tanta pazienza a stare con lui? Quel tipo sembra fatto solo per la malvagità, perché è solo quello, quello che gli occupa nelle sue iridi.
E quel sorriso sfacciato impresso su quelle labbra, che se un giorno morirà, gli resterà per sempre.
Ma che vada a fottersi. Stronzo.
Continuo ad asciugare i piatti, e poi insieme terminano di pulire la cucina.
Nel pomeriggio entrambe ci rilassiamo su due poltrone affiancate, nel salotto, a guardarci le telenovele.
Senza rendermene conto si erano già fatte le 8 e mezza.
La nonna si era addormentata.
Mi alzo e cerco di svegliarla. <<nonna.>>
<<nonna. Svegliati, é tardi. Io devo andare.>> le sussurro piano per non farla spaventare.
Lei apre gli occhi e annuisce. <<si vai tesoro, la mamma sarà preoccupata.>> la saluto e mi precipito nella cucina a prendere il telefono abbandonato sul tavolo e la sciarpa sulla sedia.
Prima di chiudere la porta nelle mie spalle urlo. <<ciao nonna.>> lei ricambia il mio saluto ed esco via.
Un leggero venticello mi schiaffeggia il viso, ma quello che mi schiaffeggia di più sono le chiamate perse della mamma.
Sarà arrabbiata molto con me. È preoccupata.
Passo vicino al porto, e con pieni polmoni ne respiro l'aria.
Il buio aveva già abbracciato il cielo, e le stelle timide stavano iniziando a fare da modelle, timide.
La luna sul cielo guardava me, e mi chiedevo se in questo momento anche il nonno e Daniel la potessero guardare.
O la mia ombra, visto che vive sempre rifugiata nel buio, forse la luna é la sua migliore amica.
Ma lei era buona. E lui? Com'era?

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