Capitolo 8. Affogato nel mio tesoro.

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Come la vita di una farfalla.
Ness.



Ombra.



Mi passo una mano sul viso.
<<cazzo, cazzo, cazzo...>> ero così nervoso che presi a pugni lo specchietto che mi ritrovai davanti, di un auto che non so di chi cazzo sia.
Nel parcheggio non c'era nessuno, erano tutti affollati ancora nella pista.
Ho solo avuto tanta, tanta resistenza, per non avvicinarmi a lei, prenderla per il braccio e tirarla fuori da quel bordello.
Perché era così che si chiamava.
E lei non doveva essere li, con quelle persone, accanto a lui, e la cosa peggiore è che è stata gettata in un mare di squali pronti a mangiarla.
Il suo odore di frutti di bosco mi era arrivato sotto al naso, e chissà a chi altro.
Non potevo lasciarla lì da sola. Dovevo fare in modo che Mirko l'ha portasse via di qui.
É con lui che è venuta no?
E chi se no.
Entro in auto, e con furia ritorno in pista, sbandato come un cazzo di animale, quando entro, tutti si voltano verso di me, o meglio, verso la vettura dorata.
E freno a pochi centimetri da Mirko.
Stava chiacchierando con Leo, appoggiato sulla sua Porsche.
Lui appena nota la mia frenata pericolosa di scansa per evitare che gli calpesti i piedi e si mette sull'attenti.
Lascio la macchina accesa e scendo dall'auto, con grandi falcate lo raggiungo e mi pongo davanti a se, lo prendo dalla maglietta e lo strattono all'indietro fin quando non va a sbattere con le spalle nella sua auto.
Riconosceva questo sguardo che aveva difronte a se, sapeva cosa era in grado, e cosa era pronto a fare.
Ma pur sempre parte di me, avevo dei limiti con lui, che per quando l'odiassi e mi facesse incazzare, io le mani addosso a lui non gli e ne avrei mai messe, anche se forse, lui pensava il contrario di me.
Mi avvicino al suo viso <<devi. Portarla. Via. Di. Qui.>> gli dico a un soffio dalle sue labbra. <<subito.>> lo strattono, il suo petto tocca il mio.
Il suo sguardo non diceva nulla.
Eravamo così simili. Ecco perché ci odiavamo.
Ma io almeno, l'odiavo per tenerlo lontano da me. Per paura di rovinarlo.
Io non ero in grado di prendermi cura delle cose belle.
<<altrimenti che fai?>> mi sputa con disprezzo, il suo viso una smorfia di disgusto. <<non giocare con me.>> é l'unica cosa che gli dico prima di lasciarlo andare. <<te lo ripeto un ultima volta. Portala fuori di qui. Non è posto adatto a lei. E lo sai bene pure tu. E poi, fai lo stesso con te. Non ti voglio vedere mai più qui. Questo é posto mio. Non tuo.>> mi volto dandogli le spalle, e raggiungendo l'auto.
<<Sei sempre stato invidioso cazzo!>> dice, io resto immobile, sta giocando col fuoco. Sa che odio questo atteggiamento. <<ammettilo. Che quando io la toccavo, volevi che fossero le tue mani. Che quando mi prendevo cura delle sue ferite, volevi che fossi tu a farlo. Che quando rideva, volevi che fossi tu la causa di quel sorriso. Che quando cenavamo, volevi esserci tu accanto a lei. Che prima di andare a letto, volevi darglielo tu l'ultimo bacio della buona notte. Che quando sognava, volevi essere tu il suo sogno.>> disse tutto ad un fiato. Che per quando facesse male sentirsi dire questa cosa, mi faceva ritornare con i piedi per terra. Che per quando avesse ragione, che per quando avessi voluto esserci io al suo fianco, lei é sempre stata distante. Non perché non volesse, ma perché non poteva. Io non potevo.
Lei era l'unica creatura in grado di distruggermi.
Lei era l'unica creatura in grado di farmi provare l'amore.
L'amore.
Se dovessi descriverlo, racconterei dei suoi occhi, del suo sorriso e del suo respiro.
Senza aggiungere altro mi volto, salgo sull'auto e vado via.
Che se per scappare via si volesse dire non avere coraggio, allora era vero.
Ero proprio uno stupido.
Perché era lei, quella che mi faceva paura.
Era lei, quella che dovevo salvare.
Era lei, quella che dovevo proteggere.
Distante.
Ma sempre con me.
Nel mio cuore.
Nei miei sogni.
Nella notte, quando sono solo, e penso a lei.
E questo forse, dovrebbe bastarmi.
Perché lei, dalla mia mente non fuggirà mai.
Mia piccola e dolce Aphrodite.

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