Capitolo 21. In fiamme.

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Come nel deserto cerchi disperatamente l'acqua. Io nel mio petto ci cerco il cuore.
Ness.

Ombra.


Ma sono gli incubi quelli che ci abbracciano durante la notte, e sono loro che poi non vanno più via.
A i problemi che ho dovuto sopraffare da bambino, quando il pallone rotolava ad ogni mia spinta, e finiva sulla strada. A quando i vicoli bui mi hanno accolto in diverse opportunità, mi hanno visto per terra privo di coscienza, osservato prendere pasticche e aspirato per farmi di rovine già pieno. Correre verso il nulla con una pistola stretta fra le mani. Nascondermi, quando la polizia con le sirene e le luci accese mi cercavano.
Poi mi sono guardato allo specchio, era da tanto che non riuscivo a farlo. Il viso spigoloso era privo di ogni luce, la barba a farmi sembrare più invecchiato, poco curato.
Ed ho capito che i fiori finti non profumano. Tutto quel profumo, tutte quelle docce, tutta quell'acqua non mi avrebbe mai lavato il sangue che mi macchiava.

Il carattere dell'uomo è il suo destino.

Giorno 2.
Ero in astinenza cazzo. Dietro le sbarre non si stava poi tanto male se solo qui dentro non ci fossero uomini che puzzavano più dei barboni che si trovavano per le strade.  Ed io, volevo solo fumare fino a farmi stare male. Eppure, me ne stavo seduto sul mio letto che scricchiolava sotto al mio peso, e nel silenzio di uomini che urlavano e sbattevano le celle mi perdevo nella noia dei miei pensieri. Ma diventa difficile quando nella stessa cella ti ritrovi con un tizio che anche lui se ne sta sdraiato sul suo lettino e mi fissa con uno stuzzicadenti fra i denti. Io, mi corico, sotto il suo sguardo incazzato, e con una gamba accavallata sull'altra e il braccio sulla fronte mi fumo una sigaretta. Una canottiera bianca e dei pantaloni neri mi fasciavano il corpo. Quel uomo non mi intimoriva per niente, ma nei suoi occhi intravedevo una scintilla di dolore e rabbia. Una scostante rabbia da quando ho messo piedi ieri sera tardi in questa cella. Era quadrata e non aveva altro che due letti e un cesso con un lavandino, e nel centro un tavolo senza sedie. Mi domando come cazzo dovrei mangiare. Stronzi. Giuro che quando sarà il momento giusto farò esplodere loro e questo carcere di merda. Sbuffo. <<se continuerai a fissarmi così, alla fine penserò che vorrai scoparmi.>> gli dico guardando il tetto mentre il fumo evapora nella stanza oscura. Solo una piccola finestrella in alto ci donava un po' di luce, che anche se non esisteva quella finestra faceva lo stesso. <<zitto.>> disse borbottando con la sua voce rauca e impastata, e lo stuzzicadenti che picchiettava sui suoi denti come per frenesia. <<anche a me piace dirlo spesso. Ma poi finisce che mi eccita di più.>> gli sorrido, sotto una sigaretta che sprigionava odore di nicotina. Avrei solo voluto fumarmi una cazzo di canna ed invece mi ritrovo a maledire questo vizio che mi manca, mi manca, mi manca di più lei. Dopo lo schiaffo non credo che sarei stato più affamato di così. Ed invece eccomi qui, con solo averla in mente mi viene voglia di segarmi anche davanti a questo sconosciuto che non so come cazzo si chiama. Il rumore delle celle che si aprono mi fanno tirare su dal letto e sedermi. <<é arrivato il pranzo bastardi.>> si sente udire la voce dell'uomo che ci porta i vassoi stracolmi di merda. Mi alzo di scatto e prima che l'uomo potesse comparire nella mia visuale mi ritrovo già davanti la cella con le sbarre fra le mani a individuare quel "bastardo". Non ci mette molto a occuparmi la visuale, con un carellino che si trascina dietro si ferma davanti alla mia cella, con solo delle sbarre a dividerci. Afferra due vassoi che suppongo sia per me e il mio compagno di cella. << questo è per te>> disse porgendomi il vassoio. Il suo sguardo emanava prese per il culo, ed io intravedevo il futuro, e giuro non era per niente divertente. Non gli diedi retta, rimasi con le mani strette alle sbarre e le nocche bianche dalla forza che stavo mettendo. Ciò non gli sfugge, e una risata divertita gli dipingeva le labbra, mentre nelle mie un ghigno si faceva più duro. <<prendi questo vassoio. >> disse cercando nel suo respiro la calma che io gli stavo facendo fuggire. Ma non feci nulla, se non respirare e fissarlo con insistenza. <<io, questa merda, non la mangio. >> lo dissi lentamente,  con la calma più totale, ma dentro, la calma veniva sbranata dalla rabbia. <<il principino non vuole mangiare, "questa merda"?>> sorrideva, e più sorrideva più mi faceva incazzare, e più mi incazzavo,  più non reagivo alle mie azioni. Ma tanto cosa avevo da perdere? Se non l'aria che respiro?
Ma l'azione che compie l'uomo mi fa uscire di testa. Con sorriso beffardo, si abbassa il capo sul "mio vassoio" e ci sputa dentro. <<credo che adesso sia di tuo gradimento >> mormora prima di gettarmi il vassoio ai miei piedi. <<mangia. Adesso.>> non ha il tempo di agire, perché lo afferro per il collo e gli schianto il viso nelle sbarre che ci dividono, lui aggancia le sue mani nel mio polso dove stringe forte per rallentare la presa. Gli avvicino il viso al mio. <<mangia. Adesso. >> gli sussurro.
<<cazzo. Lasciami andare bastardo>> cerca di vicolarsi dalla mia presa, con scarsi risultati.

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