X: Di figure rosse e incubi infernali.

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«Perfetto! Penso che ora sia tutto chiaro.»

Questa era stata la stupida battuta di Jace, dopo la profezia di Rachel.
A quel punto, Magnus lo aveva colpito dietro la testa con una mano e Percy non poté far altro che trattenere una risata, anche perché la sua amica era appena svenuta a terra e lo spirito dell'Oracolo era volato via.
Dopo quel momento, per il semidio era stato chiaro che lo Stregone avesse un'ottima memoria, almeno quando si trattava di ricordare profezie, anche perché, Percy era abbastanza sicuro che Magnus avesse chiamato Simon una volta "Seamus" ed un'altra "Sam".
Sicuramente lo Stregone avrebbe fatto concorrenza ad un certo Dioniso, in fatto di nomi.

Un'ora dopo, i due semidei, Jace, Magnus e Chirone erano seduti intorno al tavolo da ping-pong della Casa Grande e si guardavano negli occhi, confusi.
Magnus aveva trascritto la profezia su un pezzo di carta apparso magicamente dalla sua mano e continuava a leggere.
«Sicuramente i primi versi sono molto chiari: la Profezia parla dell'incontro tra semidei e Shadowhunters.»
«Genio» commentò Jace, ma stranamente Magnus non disse nulla, forse non aveva udito la voce del cacciatore.
«Il resto è abbastanza confuso...»
«Lo penso anche io» aggiunse Annabeth mestamente.
«Ma quando io e te, Percy, abbiamo fatto troppo affidamento alle profezie?» chiese la semidea, improvvisamente piena di positività.
«Noi, beh...»
«Abbiamo o non abbiamo sempre superato ogni difficoltà, anche la più complessa?»
«Certam-»
«E abbiamo sempre vinto, alla fine?»
«Sì!» riuscì ad esclamare Percy, alla fine, non interrotto dalle altre frasi della ragazza.
Era fin troppo euforica in quel momento, forse cercava di compensare, a causa della sparizione di Nico.
Anche Percy si sentiva incredibilmente in colpa, ma nonostante ciò, avrebbe fatto di tutto per salvarlo.
«Una cosa mi è poco chiara e mi disturba» disse Chirone, rimasto in silenzio fino a quel momento. A Percy non piacque il suo tono, era quello che riservava ai suoi alunni quando doveva punirli, oppure quando doveva avvisare qualche semidio (Percy la maggior parte dei casi) a proposito d'imprese suicide o cose del genere.
«"E chi dello Stregone alla fine avrà chiesto,
Tornar non potrà, se non mesto"» citò Chirone e gli occhi furono puntati su Magnus.
«Non so a cosa si riferisca, ma io faccio parte del team dei buoni!» disse Magnus ed un sorrisino furbo si dipinse sul suo volto giovane.
«Non siamo ridicoli!
Magnus non punisce neanche il suo grasso gatto» aggiunse Jace. «Non è grasso, è solo-»
«Basta.» Il tono di voce di Chirone era serio e abbastanza spaventoso.
«Qui non accusiamo nessuno, la mia era solo un'osservazione. Ad ogni modo, la Profezia non è abbastanza chiara» disse il Centauro.
«Le profezie non sono mai chiare» commentò Annabeth.
«Io propongo di lasciar perdere questa profezia e di concentrarci, invece, sulla ricerca di Isabelle e Alec. Mi sembra che anche uno dei vostri sia scomparso, quindi» disse Jace e si alzò dalla sedia. Fece un cenno con la mano a Magnus e poi salutò gli altri.
Percy continuava ad osservare i suoi movimenti felini. Il semidio posò poi lo sguardo su Magnus e scorse in quei suoi occhi strani qualcosa di nuovo, ma che non riuscì a spiegare.
«Noi andiamo, le ricerche ci aspettano.»
Ora anche lo Stregone era in piedi e stava facendo un cenno di rispettoso saluto a Chirone. Il maestro ricambiò.
«Sarà lo stesso anche per noi, a breve» disse Annabeth.
Poco dopo, Jace e Magnus erano andati via, diretti fuori dal Campo Mezzosangue e la figlia di Atena stava facendo loro strada.
Anche Percy stava per lasciare la Casa, quando la voce di Chirone lo chiamò.
Il Centauro aveva uno sguardo grave sul volto.
«Percy, stai attento.»
Il ragazzo sorrise ed annuì.
«Intendo, stai attento a loro, ragazzo mio. Non sai quanto ancora possiamo fidarci.
È stato il loro mondo a cominciare questa guerra silenziosa. È stata la sete di potere, la superbia.
Stai attento.»

*~*~*

"Sii coraggioso, Alec" aveva sussurrato una volta lo Stregone, allo Shadowhunter e lui non fece altro che annuire.
Lui doveva essere sempre coraggioso: affrontava demoni, mostri, difficoltà.
Eppure, ora, Alexander era abbastanza sicuro che il fidanzato non si riferisse a quello.
A lui serviva il coraggio per affrontare la realtà, gli altri e specialmente se stesso.
"Sii coraggioso, Alec" ripeté il ragazzo nella mente, sperando di esserlo davvero, in quella situazione.
Non ricordava neanche quanti giorni fossero ormai passati da quando si era ritrovato chiuso in quel luogo.
L'unica cosa che lo tratteneva dall'impazzire o dal lasciarsi andare era la presenza di Isabelle, poco lontana da lui.
Il resto era una lenta e dolorosa agonia.
Da un tempo indefinito, non lontano dal luogo in cui erano prigionieri, Alec aveva cominciato ad udire strane voci e lamenti.
Sembravano echi lontani di ricordi tristi e dimenticati, come se qualcuno avesse raccolto tutto il dolore delle persone e lo avesse portato in quel luogo.
Intanto, Alec stava attento anche al piccolo semidio, Nico, che se ne stava accasciato al terreno e sembrava dormire.
«Ma quando smetteranno?» chiese Isabelle, ad un tratto.
Al suono della sua voce, Nico sembrò destarsi dal torpore momentaneo: allungò le braccia e poi spostò i capelli scuri dagli occhi.
«Non smetteranno mai» rispose tetro, ma Alec avrebbe tanto preferito che continuasse il suo sonno.
«Dove siamo?» chiese Alec; oramai era l'unica domanda che rivolgeva a Nico e il semidio, puntualmente, non rispondeva.
Il tempo avrebbe continuato a scorrere allo stesso modo, in quelle ore, ma, ad un tratto, i ragazzi furono accecati da una luce rossa, proveniente da un punto indefinito della caverna.
«Alec» sussurrò Izzy e il fratello raccolse dalla tasca la sua pietra di stregaluce, più per abitudine che per un vero e proprio bisogno di luminosità.
«Salve, miei cari ospiti
Anche ad una certa distanza, Alec poté scorgere sul viso di Nico uno sguardo misto tra disgusto e confusione.
«Chi sei?» domandò Alec, coprendosi in parte gli occhi, a causa della troppa luce emessa dallo sconosciuto.
«Sono solo qualcuno di passaggio» rispose la figura.
«Oh, scusate» sussurrò quasi, pochi secondi dopo, forse accortosi della troppa luce prodotta dal suo corpo.
Solo dopo aver battuto un paio di volte le ciglia scure, Alec poté mettere a fuoco la figura che aveva di fronte.
Il corpo era umano, ma aveva la pelle di uno strano colorito (rosso scuro tendente al viola) e i capelli lunghi erano biondi, quasi bianchi.
«Per l'Angelo» esclamò Isabelle «ma tu chi sei?» disse, nonostante la domanda fosse stata già formulata.
«Non vi dirò il mio nome, non ora» rispose e non sembrò cattivo o pericoloso, solo buffo.
Nico di Angelo era rimasto immobile a fissare lo sconosciuto, come se lo avesse già visto da qualche parte.
«Nico» bisbigliò Alec, ma il figlio di Ade non si mosse.
Fu invece il nuovo arrivato a parlare: «Vi ho portato dell'acqua, miei cari.»
Alec vide una bottiglia d'acqua apparire davanti a lui e desiderò tanto poterla bere. Lo stesso accade davanti ad Isabelle e Nico.
«Bene, è stato un piacere fare la vostra conoscenza. A presto, piccoli
E subito ci fu uno scoppio di luce rossa-viola, che fece svenire i due cacciatori e il semidio.
Alec, successivamente, credette che quello appena vissuto fosse stato unicamente un sogno, ma quando si svegliò diverse ore più tardi, vide la semplice bottiglia d'acqua e si dovette ricredere.
A quel punto, si sentì ancora più confuso.
"Sii coraggioso, Alec" si disse e si lasciò cullare dal suono lontano della voce di Magnus.

*~*~*

Era solo l'ennesimo incubo su qualche evento passato accaduto agli Shadowhunters, oppure era qualcosa di più?
Percy non seppe rispondere a quella domanda, finché la nebbia presente nel suo sogno non sfumò.
Il figlio di Poseidone si ritrovò circondato da persone che parlavano, tanto che, per pochi secondi, tutto sembrò fin troppo normale.
L'illusione della normalità durò poco, in quanto, subito dopo essersi reso reso conto del luogo, Percy desiderò nuovamente la nebbia.
Le persone si trasformarono in corpi trasparenti e smunti, le parole in lamenti e singhiozzi.
Ovunque guardasse, Percy non scorgeva nulla che non fosse dolore, disperazione o rimpianto.
Fortunatamente non c'erano molti luoghi del genere al mondo, quindi identificare il posto fu fin troppo facile: si trattava della Prateria degli Asfodeli.
Il regno del suo grande amico Ade, benissimo.
Il semidio cominciò a camminare velocemente tra le anime, ma essendo un sogno, non riusciva a muoversi molto bene.
Improvvisamente, il suo sguardo fu catturato da una luce rossa proveniente dall'alto. Davanti a sé, ora, Percy scorgeva una parete rocciosa molto ripida.
Ma non la scalò, poiché, socchiusi gli occhi si trovò direttamente in cima e davanti a sé scorse una caverna senza fondo.
Non avvertiva la stessa potenza e cattiveria, ma quella sembrò un'entrata che lo avrebbe portato direttamente verso l'Abisso.
Scacciò via il pensiero e prese a camminare velocemente verso la caverna.
La figura rossa gli era appena passata accanto correndo velocemente e Percy si sentì improvvisamente assonnato, nonostante nella realtà stesse dormendo.
Fece qualche altro passo verso la caverna e notò tre corpi poggiati a terra.
Camminò ancora, finché non riconobbe nel primo corpo avvistato una ragazza alta, magra e dai lunghi capelli corvini. Isabelle?
Era davvero Isabelle?
Allungò lo sguardo a destra e vide accasciato al muro Nico di Angelo.
Si ritrovò al suo fianco e gli accarezzò una guancia candida. Era pallido, ma ancora vivo. Ed era ancora il bambino a cui avrebbe dovuto salvare la sorella.
«CHI È?» Una voce spaventosa tuonò alle spalle del semidio ed egli fu risucchiato via dal suo sogno.

«Annabeth! Annabeth!»
Percy bussò freneticamente alla porte della Cabina sei.
«Annabeth!» urlò ancora e dopo, aperta la porta dalla ragazza, si ritrovò sulla faccia un libro lanciato da un altro figlio di Atena.
Percy non ci fece molto caso.
«Testa d'Alghe, sai che ore sono? Che sta succedendo?»
«Annabeth, so dove si trovano Nico, Isabelle e probabilmente anche Alec.»
«Come fai... Oh» sussurrò la ragazza, avendo compreso poco dopo.
«Dove si trovano, Percy?»
«All'Inferno

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