7. Wounds

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J A D E N



C'è una regola non scritta su ogni festa: se non sei tu quello che si diverte, stai facendo qualcosa di sbagliato.

Avrebbero potuto inciderla sulla mia lapide.

Per quanto fossi incline a fare cazzate su cazzate nella vita, ero sempre stato bravo a gestire gli eventi sociali. Al liceo ero il re della festa.

Qualunque fosse l'atmosfera, qualunque fosse la compagnia, sapevo che c'era sempre un modo per rendere la serata interessante e trasformare una serata spenta in una storia da raccontare.

Dopotutto, se non ti diverti, è colpa tua, no?

Non avevo mai sopportato la gente che viveva le serate in perenne attesa di qualcosa di meglio, o di una svolta. Ero sempre stato dell'idea che la festa sei tu a farla, non il contrario.

Se l'atmosfera non è giusta, la cambi.
Se le persone sono noiose, le coinvolgi.

Le luci pulsavano al ritmo della musica e l'aria era carica della classica tensione che promette serate indimenticabili. E ne ebbi la conferma non appena misi piede nella villa, ritrovandomi catapultato in una festa da film.

Luci soffuse, musica alta, persone accerchiate in piccoli gruppi che parlavano come se fossero impegnati in conversazioni cruciali per il destino dell'umanità.

E infine la ciliegina sulla torta... Meravigliose ragazze strette in vestitini da urlo.

Mi guardai intorno, con un sorriso gigantesco stampato in faccia.

Era arrivato il momento di trasformare la serata da carina a epica.

Incontrai con lo sguardo Logan, il coinquilino di mio fratello, intento a sfregarsi le mani. Mi scappò una risata.

Quella era l'attitudine giusta. Possibile che una matricola dovesse insegnare ai veterani a far festa?

«Okay gente, vediamo chi è il primo a pentirsi domani» buttai lì, sollevando il bicchiere ancora vuoto verso il gruppo davanti a me.

Non avevo ancora trovato nulla di decente da bere.

La mia mano rimase abbandonata a mezz'aria, e in tutta risposta ricevetti il grugnito infastidito di mio fratello, Jace.

Se ne stava in piedi davanti a me con l'aria di chi avrebbe preferito fare qualsiasi altra cosa pur di non essere lì.

Tipo accompagnare Stacy Hermann a fare shopping.

Okay no, forse quello no.

Posai gli occhi sulle sue sopracciglia scure, aggrottate in una smorfia contrariata. Gli occhi grigi erano velati dall'incazzatura.

Guardarlo era come vedere mio padre. Mio padre da sobrio. Lo immaginavo così.

Non che comunque ne avessi ricordo.

Si voltò, inclinando i tratti spigolosi del volto verso l'alto, e assunse un'aura di altezzosità.

Per chiunque, guardandolo, Jace sarebbe apparso irraggiungibile.

Non era una mera questione estetica, era l'aria che gravitava intorno a lui, in qualsiasi smorfia o movimento facesse. Qualsiasi frase la sua voce profonda formulasse lo caricava di autorità, rendendolo intoccabile.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 17 ⏰

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