10. Melted ice-cream

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K A T Y

«Oggi grande festa!»

Assottigliai gli occhi, improvvisamente avvolta da una nube di profumo maschile.

Fragranza troppo intensa e piacevole per non riconoscerla.

Jace

La sua voce rimbalzò contro le mie orecchie, decisamente più vicina del dovuto. Avanzai di un passo nel corridoio del reparto, stralunata.

Erano le otto del mattino, avevo dormito un numero di ore troppo esiguo per definirlo un sonno rigenerante e l'odore di disinfettante di cui era pregno l'ambiente circostante mi dava il voltastomaco.

Jace era in piedi alle mie spalle, stretto nella sua solita divisa verde acqua.

«Buongiorno anche a te» borbottai, incrociando le braccia al petto.

«Sono ancora un po' troppo assonnata per cogliere il senso delle tue parole enigmatiche»

«Il tuo cervello è perennemente assonnato, Miller»

Sollevai il dito medio.
Jace ghignò.

Mi raggiunse con un paio di passi prima di fare un cenno con la testa nella direzione di Elle e Matt, poco distanti da noi. Sembrava che stessero battibeccando.

Come al solito

«Non c'è oggi il terzo incomodo?»

Sgranai gli occhi, voltandomi allibita nella sua direzione.

«Thomas!»

«Dio, Miller, lo pensi anche tu. Se solo non facessi la perbenista in continuazione...»

«Sono solo educata, a differenza tua» sbottai, rivolgendogli un'occhiataccia.

«E comunque Mike ha la febbre oggi» precisai.

Jace mi sfilò davanti, per poi voltarsi nella mia direzione.

«Allora oggi grande festa» sillabò, ricalcando nuovamente le sue stesse parole.

Gli allungai un colpo sul braccio e Jace arricciò le labbra in una smorfia.

«A che ore stacchi?» domandò poi, scartando una barretta al cioccolato.

Il mio stomaco brontolò.
Lo guardai confusa.

«Alle sedici, credo»

Scrollò le spalle.

«Sedici e trenta in piscina»


* * *

La giornata trascorse estremamente a rilento, tra i mille impegni che fui costretta ad ottemperare, spedita da una parte all'altra dell'ospedale da Marshall, lo specializzando a cui ero stata assegnata.

Non ci provava nemmeno a fingere di non avercela con me.

Dopo quanto successo in sala operatoria il giorno in cui Jace aveva deciso di fargli fare una colossale figura di merda di fronte a tutta l'equipe, Marshall sembrava aver sviluppato un occhio di riguardo nei miei confronti.

Peccato non fosse in senso positivo.

«Per questi risultati informi il dottor Heinz che arriveranno tra minimo ventiquattro ore... abbiamo già avviato i macchinari per oggi»

Annuii, lasciando le provette sul bancone asettico del laboratorio di analisi.

Quel decerebrato di Marshall mi aveva spedito per la quinta volta consecutiva a consegnare i campioni dei prelievi di sangue dei pazienti.

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