1. Unlucky

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K A T Y


Anche sott'acqua, il trillo acuto del fischietto risuonò per tutta la corsia.

L'umidità mi avvolse in un abbraccio tiepido, mentre inspiravo profondamente quell'aria profumata di cloro.

Le gocce di condensa fredda aderirono immediatamente alla mia pelle, provocandomi un leggero brivido, che risalì rapido lungo la colonna vertebrale, fino a posarsi alla base della nuca.

La sensazione di fresco che mi pervase, unita al rumore sordo dell'emersione, mi richiamarono immediatamente alla realtà, lasciando presto spazio ai mormorii sonori dell'ambiente intorno a me, che tornarono a farsi vividi.

Presi a giocherellare distrattamente con la superficie dell'acqua, e mi persi ad osservare le mie dita risalire lentamente. La pelle era lucida, investita dalla luce a neon che scintillava riflessa sulla superficie. Il contorno della mano, avvolta in un abbraccio liquido, era leggermente sfocato: i bordi si confondevano in una danza di luce e ombra, distorti dalla trasparenza fluttuante dell'acqua.

Il mio indice affiorò in superficie e l'illusione scomparì, restituendomi l'immagine proporzionata del mio dito smaltato di blu.

L'atmosfera della piscina, per quanto adorassi il mare, mi era sempre piaciuta particolarmente: a fine giornata adoravo rilassarmi sulla schiena, sospesa, ad ascoltare l'eco delle voci rimbalzanti sulle pareti piastrellate.

Strilli di piccoli che non volevano entrare in acqua, schiamazzi di casalinghe che spettegolavano facendo aquagym e borbottii incazzati di istruttori che cercavano di domare i ragazzi erano da sempre stati lo scenario ideale del mio relax...

Per quanto assurdo suonasse, nell'aria umida e caotica di quell'ambiente, c'era qualcosa di estremamente confortevole. I ricordi.

La nostalgia è sempre stata il mio sentimento preferito.

Probabilmente, se davvero dentro la mia mente ci fosse stata la squadra di inside-out, l'amabile vecchietta avrebbe preso le redini del mio pannello di controllo.

Per me la nostalgia non aveva nulla di negativo come emozione: mi ritrovavo spesso, forse più di quanto volessi ammettere, a far vagare la mia mente nel passato, aggrappandomi a sentimenti ormai sbiaditi.
Non riuscivo proprio a reprimere il desiderio di toccare, ancora una volta, ciò che il tempo aveva soffiato via dalle mie dita come sabbia al vento, lasciandomi a mani vuote.

E così i momenti salienti della mia esistenza si dipingevano sulle piastrelle del fondale della piscina, prendevano vita e scorrevano velocemente, sotto di me, ad ogni bracciata, seguendo il ritmo incalzante della mia mente.

Dicono che la nostalgia abbracci l'anima come una coperta di ricordi: perciò io, quando sentivo freddo, mi lasciavo semplicemente avvolgere.

Mi interrogavo spesso sul perché non riuscissi mai a tagliare quel filo sottile che mi collegava a ciò che ero stata in passato, e poi mi rispondevo che forse, la mia nostalgia, era solo il riflesso di un'anima che aveva amato, desiderato, vissuto con leggerezza, e che si rifugiava nel passato con il solo scopo di ritrovare quella parte di sé.

L'ennesimo suono strillante del fischietto mi riscosse, richiamando la mia attenzione sull'ambiente circostante.

Sospirai pesantemente, alla ricerca della minuta figura di Margareth, la mia allenatrice.

Il suo corto caschetto nero, da donna di mezza età, combinato agli occhi più scuri e dolci che avessi mai visto, la rendevano immediatamente riconoscibile in mezzo a un branco di giovani studenti, continuamente accelerati nei movimenti dalla frenesia dei ritmi universitari.

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