5. Secrets

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K A T Y


L'odore chimico del lattice mi solleticò le narici, mentre inserivo i guanti. Lasciai scorrere passivamente lo sguardo sul corridoio del reparto, davanti a me.

Quella mattina mi ero svegliata più nervosa del solito, complice l'insonnia della notte precedente.

Capitava spesso che avessi difficoltà a dormire: avevo sviluppato questa tendenza nell'ultimo anno, da quando avevo scoperto della malattia di mio padre.

Nel cuore della notte, gli occhi sbarrati si piantavano sul muro, incastrandosi tra le crepe dell'intonaco illuminate dai timidi raggi lunari.
Il letto diveniva una prigione di lenzuola aggrovigliate e le ore si allungavano come ombre, scandite dal ticchettio di sottofondo della sveglia.

Ogni tanto il mio corpo cedeva, abbandonandosi alla stanchezza, a notte ormai inoltrata.

C'erano giorni, però, in cui il mattino arrivava come un ladro, rubando anche l'ultima possibilità di trovare quiete, e privandomi di ogni speranza di riposo.

Quella notte era stata una di queste.

Strusciai faticosamente i piedi sul pavimento, seguendo la Dottoressa Saller.
Ellen, davanti a me, camminava a passo spedito con un taccuino per gli appunti stretto tra le mani. Potevo vedere la sua lunga coda bionda ondeggiare sul camice, al ritmo costante dei suoi movimenti.

Non era un caso che Elle fosse entrata in modalità prima della classe.

Lei attribuiva la responsabilità al simpatico specializzando che aveva dovuto seguire due giorni prima, durante il primo turno a tirocinio: diceva che era stufa di vedersi ignorata, che voleva dimostrare il suo valore.

La realtà dei fatti, però, era che tendeva a mostrare la sua preparazione in modo un po' più convinto, quando Matt Lewis era nei paraggi.

Non ero riuscita a inquadrarlo bene, ancora, ad essere onesta. Di sicuro la simpatia non rientrava tra le caratteristiche che saltavano all'occhio quando si parlava con lui, il ché lo rendeva un candidato un po' meno ideale per Elle.

D'altronde, Ellen era brillante: aveva la battuta sempre pronta, il sorriso stampato sulle labbra, e un'innata tendenza a mettere del pepe in qualsiasi conversazione portasse avanti.

Matt invece... Era zitto, di base. E discretamente scorbutico.

«Da questa parte»

Seguii le direttive della Dottoressa, intenta a completare il giro visite.

Quando entrammo nell'ultima stanza, il mio cuore risalì nel petto, complice il ricordo della prima e ultima volta che vi avevo messo piede. Fu come se un booster improvviso di energia si fosse espanso nel sangue, oliando gli ingranaggi arrugginiti del mio corpo.

Il mio sguardo ricadde direttamente verso il fondo della camera, nella direzione del panello divisorio.

Ma questa volta incontrò solo il vuoto.

Non c'era più nessuno da quel lato della stanza: qualcuno doveva aver rimosso il pannello divisorio e il ragazzo che appena due giorni prima mi aveva stretto il braccio in una morsa sembrava essere sparito, lasciando vuoto il posto letto.

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