2. Il murales

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Gli artisti, spesso, sono i loro più grandi critici.
Trovano i difetti nei propri lavori, ma probabilmente non hanno visto la perfezione che c'è già.


Cosa cazzo ci facevo lì su...
Avevo veramente speso cinquanta euro per pennelli e vernice?! Non potevo credere di essere salito su quel palazzo e aver comprato tutto quel materiale solo perché un muro mi sembra triste. Ero quasi certamente impazzito. Quello era un atto di vandalismo? Stavo migliorando la città, non la scarabocchiavo come facevano quei teppisti nei vicoli. Quindi non mi sarei potuto mettere nei guai...giusto? Posai lo zaino a terra e aprii la cerniera tirando fuori vernici di colori brillanti e pennelli di ogni dimensione. Presi lo sketchbook e iniziai a fare qualche bozza a matita. Cosa avrei potuto disegnare? Questo mi girava in testa da quando ero in cerca di un negozio di cartoleria o d'arte tra le strade della città e il pensiero ha continuato a martellarmi anche durante il tragitto di ritorno, in cui ho approfittato per prendere anche un stuzzichino, un donut glassato con un giallo dorato decorato con palline di zucchero colorate. Alzai di nuovo lo sguardo e guardai il muro grigio e rovinato, perché nessuno aveva fatto nulla per ravvivarlo? Spalancai gli occhi e qualcosa nella mia mente si accese.
I

niziai a fare piccoli schizzi sullo sketchbook e poi guardai la piccola bozza che avevo creato. Era una montagna innevata dove si intravedeva uno splendido santuario shintoista. Non avevo mai creduto nelle religioni giapponesi, mia madre non mi aveva affatto parlato di esse come un qualcosa da seguire, ma nemmeno come qualcosa a cui non credere. Insomma mi aveva dato libera scelta di crederci o meno. Avevo sempre visto in quei santuari qualcosa di affascinante, di storico e spirituale. Tant'è che ci andavo spesso, per fare una passeggiata o qualche disegno rimanendo, però, rispettoso per quell'ambiente. Mi rimboccai le maniche e aprii un piccolo barattolo di vernice, mescolai per bene e feci così con tutti gli altri. Afferai un penello sottile, per modo di dire, e lo immersi nella vernice cominciando a riempire quel muro con molta cura ed attenzione. Le pennelatte diventavano precise ogni secondo e colori più vividi cominciavano a dar forma al dipinto. Non avevo mai fatto un dipinto così grande e non avevo mai disegnato sul muro. Venivano chiamati murales ed erano disegni su pareti molto vaste, la mamma mi aveva parlato anche di questi e ne sembrava ammaliata, nella città ce ne dovevano essere molti. Pensare che il mio primo "murales" era visto come vandalismo...scossi la testa, non lo stavo imbrattando, al contrario lo stavo migliorando lo rendevo più colorato, meno triste, più vivo.  La mia mano si bloccò e sospirai.  L'ansia mi avvolse e si attorcigliò al mio collo salutandomi come una cara amica. Posai il pennelo su un tappo dei barattoli e guardai il muro allontanandomi di qualche passo.  Non stava venendo male, anzi, sembrava prendere una bella piega. Presi il telefono e d'istinto cliccai su un preciso contatto. Ichiro, gli avevo inviato cinque messaggi ieri e non mi aveva nemmeno risposto. Guardai meglio e i miei occhi si sbarrarono. Aveva letto, aveva letto ma non si era degnato di dirmi nulla. Ichiro era un ragazzo dalla pelle chiara, il corpo muscolo e dei bellissimi occhi color caffè. Eravamo migliori amici e ci eravamo conosciuti a scuola, forse fu l'unico a parlarmi in quell' edificio e da lì mi affezionai a lui così tanto che gli avevo addirittura promesso delle chiamate ogni sera, vista la nostra lontananza Nonostante ciò, però, prima di lasciare il giappone ebbimo una litigata, non ricordavo da cosa era stata scaturita, ma non avevamo risolto. Assottigliai gli occhi e spensi lo schermo del telefono, dicendomi internamente che probabilmente lo sapevo sin dall'inizio.

Alla fine nessuno era davvero rimasto sempre al mio fianco, a parte mia madre che forse era l'unica piccola luce che mi era rimasta. Lo squillo del telefono mi fece sussultare riportando la mia testa alla realtà, allontanando quei pensieri buii e infelici. La mamma mi stava chiamando e non mi accorsi nemmeno che, sotto sotto, speravo in qualche segno di vita da Ichiro. Risposi tirando su l'icona della cornetta.

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