3. Sangue e vernice

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<<Ciò che è mio è mio e ciò che è tuo è mio. Non è così che funziona?>>


Riuscii a non fare ritardo a scuola per un pelo. Ero zuppo dalla testa ai piedi, puzzavo di cane bagnato e avevo i capelli gonfi. Persino il correttore era colato mettendo in mostra le grandi occhiaie viola sotto i miei occhi ambrati, che ora sembravano stanchi oltre che sconvolti. Altro che pioggia gentile. Questa ti travolgeva peggio di un tornado.
Gli studenti entravano frettolosamente nell'istituto tra risate e bisbigli, creando un'atmosfera di baccano. Non ricordavo nemmeno in che classe dovevo andare. La mia mente era focalizzata solo sul mio murales. Era incompleto e qualcuno me lo aveva comunque rovinato sostenendo che quella era la sua zona. La città si divideva per caso in zone di teppisti e vandali? Non credo propio, questo "Marcus" ha fatto il suo cazzo graffito sul mio cazzo di disegno e questa propio non me la sarei mandata giù facilmente. La sua "autorità", creatasi da se stesso, su quell'area poteva anche andare a farsi fottere. Avevo buttato tutta la mia paghetta per dipingere quel muro spoglio e lo avrei fatto, costava ciò che costava. Se gli fosse interressato davvero non avrebbe lasciato quello spazio vuoto. Intanto camminavo per i corridoi a pugni stretti e sopracciglia aggrottate. I miei occhi scrutavano l'ambiente da sotto i capelli ancora umidi. Cercavo la segreteria, sicuramente lì avrei avuto almeno le chiavi dell'armadietto. Il pavimento era bagnato e pieno di fango. In Giappone ci si toglievano le scarpe mettendo quelle dell'istituto, così da non sporcare il pavimento. Qui invece, oltre alla sporcizia portata da fuori, gli studenti lasciavano anche le cartacce in giro, nonostante ci fossero tutti quei secchi dell'immondizia in giro per i larghi corridoi. Sospirai guardando avanti ed evitando la gente che mi veniva incontro, senza preoccuparsi di dare spintoni e spallate agli altri. Era un immenso disordine. Girando per l'ennesimo corridoio mi scontrai con un ragazzo. Per poco non caddi a terra, ma riuscii a rimanere in piedi e a non scivolare all'ulimo minuto.

<<Non sai stare attento?>>

Il ragazzo parlò con voce ostile e sentivo il suo sguardo bruciarmi addosso.
Alzai gli occhi e osservai quella figura. Era forse del mio stesso anno, palestrato alto poco meno di me, aveva dei capelli ricci dorati che gli ricadevano sugli occhi color ciel sereno e la a sua pelle un pò abbronzata, nonostante il periodo dell'anno, gli faceva spiccare quelle perle chiare ancor di più. Mi rimisi dritto e pensai...o adesso o mai più.

<<Sai per caso,dove si trova la segreteria? E l'aula di fisica...>>

Ignorai la sua provocazione rendendomi totalmente indifferente, senza scomodarmi a rispondere o a sembrare irritato dal commento. Gli chiesi direttamente quello a cui ero interessato. Il ragazzo alzò un sopracciglio, mi guardò dall'alto in basso come per analizzarmi e poi sembrò realizzare qualcosa.

<<Aaah, tu devi essere il ragazzo nuovo. Il coreano!>>

Feci per replicare, ma lui mi diede una pacca sulla spalla continuando a parlare, nei suoi occhi vidi qualcosa di del tutto diverso dalla durezza di prima.

<<Abbiamo qualche classe insieme, ti posso accompagnare a fisica. Invece in segreteria ti consiglio di andare durante il pranzo, così non ti salti le ore di lezione...Sai non sembri per nulla coreano, non hai nemmeno gli occhi a mandorla. La tua pelle però è chiarissima.>>

Continuò a conversare a macchinetta mentre ci incamminavamo verso l'aula di fisica, ma ormai avevo perso il filo del discorso da un bel po'. Era molto più estroverso di quello che sembrava nel primo momento, molto più loquace.
Pensavo che sarebbe stato molto più scortese e maleducato.

<<Sono James comunque, tu invece? Mi ricordo qualcosa con la A, mmh ce l'ho sulla punta della lingua...>>

<<Asahi e vengo dal Giappone, non dalla Corea. In più i miei genitori sono Americani, quindi è ovvio che non ho gli occhi a mandorla o che non somiglio agli asiatici.>>

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