Alcune volte basta far parlare il cuore, poi la bocca si muoverà da sola.
<<Aspetta cosa?!>>
James rise così tanto da fargli male la pancia.
<<Te lo giuro! Si era messo in mutande davanti a tutti dicendo di essere Superman!>>
Stavamo facendo obbligo o verità, ma ormai si era trasformato in "racconta le tue verità (e quelle altrui) più imbarazzanti". La vittima questa volta fu Eike che, da piccolo, fece un strana scenata in classe perché il giorno prima aveva visto il film di Superman al cinema. Più che divertito rimasi sorpreso, non perché non mi aspettassi che lo avrebbe fatto, ma perché James conosceva i gemelli e Cady da molto più tempo di ciò che pensavo.
<<Okay okay basta ridere. Tocca a me fare una domanda.>>
<<Stai facendo tutto tu.>>
Cominciò a canticchiare per pensare a qualcosa. Poi tornò a me.
<<Una cosa che doveva essere un segreto, ma poi lo scoprirono tutti.>>
Ci pensai per un po', cercando qualcosa di non troppo imbarazzante ma comunque interessante.
<<Cominciai a farmi i capelli rasati perché una volta me li tagliai da solo e mi feci la testa a chiazze... inutile dire che in poco tempo cominciarono a chiamarmi dalmata.>>
Risi al pensiero del mio aspetto e ricordai che la mamma dovette aiutarmi a rasarmi per risolvere la situazione. Adesso mi piace farli così corti quando mi stanco di quelli lunghi, fastidiosi e da acconciature.
<<Mi piacciono i dalmata.>>
Rispose ridacchiando sotto sotto, probabilmente non voleva farmi sentire a disagio. Poi pensai un po' e distolsi lo sguardo. Dopo qualche secondo tornai a lui.
<<So che non è una cosa in imbarazzante, ma cos'è successo in questi giorni che ti ha fatto diventare giù di morale?>>
Chiesi a voce ferma e calma, non volendo costringerlo a parlare però volendo anche farlo sentire libero di dire ciò che voleva. James distolse lo sguardo poi sospirò rumorosamente.
<<Si vede così tanto?>>
Chiese con una risatina, anche se il suo volto diceva tutt'altro che divertimento. Io annuii e non dissi nulla, lasciandogli il tempo di pensare ad una risposta o semplicemente di non rispondere. Ci mise un pò prima di rispondermi, continuava a guardarsi intorno e a prendere fiato senza però far uscire nessuno suono simile ad una parola dalla sua bocca. Ebbi pazienza e non gli misi fretta.
<<Mio padre non sta bene, è in ospedale da una settimana e non sembra migliorare...>>
Disse tutto d'un fiato e lasciando un sospiro di solievo per poi inspirare profondamente per buttare fuori altri dei suoi pensieri.
<<Non so che fare. La mamma è stanca e triste, ho paura che possa ammalarsi anche lei...ed io mi sento inutile in questa situazione.>>
Sussurrò premendo i palmi delle mani sui suoi occhi. Io allungai un braccio poggiandolo sulla sua spalla. Non ero mai stato bravo a consolare, i miei consigli veniani ripudiati come scadenti, senza calcolare del mio utilizzo della grammatica inglese. Rimisi in ordine i miei pensieri e riflettei sulle sue parole. Feci un piccolo sospiro guardando avavnti a me.
<<Non puoi fare molto per la malattia di tuo padre, non sei ancora laureato in nulla da quel che so...ma potresti stare tanto tempo con entrambi, so che sicuramente lo fai già e tutto quello che stai facendo è abbastanza. Sono sicuro che andrà bene.>>
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Il filo del destino
Teen FictionUn ragazzo, Asahi White, è costretto a lasciare il suo Paese natale e arriva a New York con i pensieri più negativi. Subito nota quanto alla "città che non dorme mai" mancano colori soprattutto nei posti più ignoranti e tralasciati, come per esempio...