Fidarsi di qualcuno è difficile, ma fidarsi di chi siamo davvero lo è di più.
<<Pensi di poterlo fare meglio?! Fammi vedere allora!>>Spinsi un pennello davanti alla sua faccia e Markus non esitò a prenderlo. Fece una smorfia avvicindandosi al muro parlando con tono al quanto infastidito.
<<Vedrai, trasformerò questa merda in un'opera d'arte.>>
Erano passati quattro giorni dal primo gennaio ed ero riuscito a trovare dei bei posticini per fare qualche murales. Ero salito su un tetto, questa volta il palazzo era piuttosto alto, e posai lo zaino guardando il muro bianco. Era perfetto per un paesaggio innevato. Presi il pennello e non feci nessuno schizzo, comiciai a disegnare direttamente. Feci una base di quelle che sarebbero state le montagne e le colline, poi ci misi un ovale al centro per simulare quello che sarebbe diventato un lago giaccitao e infine una volpe bianca, anche se in quel momento era solo un ammasso di forme geometriche. Mentre scacquavo i pennelli per l'ennesiamo volta sentii qualcuno salire le scale, ma non erano quelle antiincendio, Qualcuno dall'interno stava uscendo sul tetto. Non feci in tempo a togliere tutto che la porta si aprii.
<<Che cazzo ci fai sul mio palazzo?!>>
Rimasi ad occhi spalancati per la paura, ma subito dopo tornai calmo e il mio sguardo si trasformò in freddo e annoiato. Aveva il vizio di arrivare sempre nei momenti meno opportuni, sia se stavo bene sia se stavo male. Per me queste non erano solo coincidenze, sopratutto perchè era sempre una spina nel fianco.
<<E' una tua abitudine rendere tutto ciò che vedi tuo?>>
Chiesi infastidito tornando a lavare i pennelli. Lui si avvicinò col fare minaccioso e si fermò davanti al muro, con le spalle rivolte verso di esso. Mi guardò dall'alto avendo capito , ormai, quanto mi dava fastidio quella cosa.
<<Si da il caso che io ci abito qui.>>
Rispose tra i denti come se volesse rimendiare il tono di voce alto della prima frase. Lasciai un sospiro alzando le spalle e inzuppando il pennello nella vernice azzura ghiaccio. Benché da fuori sembravo menefreggista dell'informazione, ne rimasi alquanto sbalordito.
<<Problemi tuoi non miei.>>
Lui fece per afferrarmi una spalla , ma mi scostai alzandomi in piedi di scatto.
<<Non penso che tu voglia finire come l'ultima volta.>>
Risposi puntandogli il pennello contro. Fece una smorfia di disgusto e rabbia, a quel gesto aggrottai le sopracciglia.
<<Vale lo stesso per te. Sbaglio o oggi sei più pallido del solito? Forse ti sei sbiadito vedendomi arrivare, sei bianco come un chicco di riso.>>
Io sospirai tornando al muro, massaggiandomi le tempie con una mano. Era mia abitudine farlo, quando mi stressavo troppo mi faceva male la testa e quel gesto non aiutava a farlo passare, era solo un avvertimento per chi osservava o parlava.
<<Non vuoi che io faccia battute sui neri, credimi.>>
Dissi rilassando il viso e cominciando a creare il laghetto giacciato. Lui sembrò prendersela e poi mi afferrò il polso per fermarmi. Soprendentemente il tuo tocco era gentile, sebbene fosse deciso. Mi guardò con determinazione e ancora una volta venni risucchiato dai suoi occhi. Rimasi a bocca semiaperta e un'espressione di confusione si diffuse sul mio volto.
<<Smettila di dipingere sul muro del mio palazzo, se devi farlo almeno fa qualcosa di bello.>>
Mi liberai dalla sua presa accigliandomi nuovamente, la mamma aveva ragione che la mia era una brutta mania.
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Il filo del destino
Teen FictionUn ragazzo, Asahi White, è costretto a lasciare il suo Paese natale e arriva a New York con i pensieri più negativi. Subito nota quanto alla "città che non dorme mai" mancano colori soprattutto nei posti più ignoranti e tralasciati, come per esempio...