<<Amo il cielo stellato, è calmo e luminoso. Trasmette interesse, ma allo stesso tempo può incutere timore.>>
La città non è stata più bella di quella sera. Mia mamma non sarebbe tornata prima delle due o anche dopo, a causa di un problema che stava riscontrando la zia Laila con il piccolo Lucas che sembrava avere un forte mal di pancia. Io mi ritrovai fuori di casa alle undici di sera, con le strade ancora piene di gente. Avevo mangiato qualcosa di veloce mettendomi a dosso un giubbotto pesante, visto che l'inverno si faceva sentire. In realtà ero uscito con un solo intento. Vedere il mio murales. Sentivo che Markus lo avesse rovinato di nuovo, ma più che altro volevo riempire un altro muro lì vicino. Non capivo come mai una città così grande e affascinante avesse degli angoli così vuoti, spogli e tristi. Pensavo che avrei trovato luci anche nei vicoli un altro pò prima di trasferirmi, ma quella era un esagerazione. Mi ritrovai davanti a quelle scale ormai conosciute e salii fino al tetto. Tirai un sospiro di solievo quando vidi che il disegno era ancora intatto, probabilmente anche Markus aveva capito quanto fosse stupida l'idea di scriverci di nuovo sopra. Rimasi ad osservarlo e poi alzai gli occhi al cielo. Il cielo era sereno, ma le stelle non si potevano ammirare per la troppa illuminazione proveniente dalla città. In Giappone, in quel momento, sarei stato sdraito sull'erba del piccolo giardino che avevamo, con il naso rivolto all'insù e gli occhi spalancati e concentrati solo sul cielo. Cercavo ci captare ogni stella, ogni luce artificiale o qualche costellazione, se riuscivo a riconoscerla. Lo facevo soprattutto perchè non riuscivo a dormire e volevo far passare il tempo.*
<<Cosa stai facendo?>>
Mi chiese Ichiro alzando la testa e voltandola verso di me, per osservare meglio i miei occhi che saettavano da una parte all'altra.
<<Conto le stelle, magari mi addormento.>>
Risposi, ora con l'attenzione rivolta verso di lui. Ichiro si accigliò incrociando le braccia al petto e tornando a guardare il cielo stellato.
<<Guarda che porta sfortuna.>>
I miei occhi non abbandonarono la sua figura, mentre la mia espressione si trasformò in una divertita.
<<Credi in queste cose? Non esiste la fortuna o la sfortuna, sono solo coincidenze.>>
Lo sentii sbuffare e i miei occhi tornarono ai puntini luminosi che costellavano il manto blu notte, ricominciando a contare da zero.
<<Non esistono le coincidenze, è il destino che porta in certe strade invece che altre.>>
<<A volte non riesco a capire come siamo diventati amici, io e te. Siamo gli opposti.>>
Risposi ridacchiando e lui tornò a guardarmi. Sentivo che ogni volta che ci stendevamo per guardare le stelle, lui, osservava più me che il mondo circostante.
<<Gli opposti si attragono, Asahi. Non lo sapevi?>>
Io in risposta sorrisi e lui fece lo stesso con gli occhi rivolti verso di me con la sua solita spensieratezza che io amavo.
*
Non so come mi sia venuto in mente questo ricordo, ma mi fece piacere ripensare al Giappone e ad Ichiro. Mi mancavano entrambi da morire e non volevo nemmeno ammetterlo a me stesso. Era quasi imbarazzante tutto ciò. Intanto, perso nei miei pensieri, ero sceso dal tetto e mi stavo dirigendo verso un altro edificio più grande e alto del primo. Anche lì c'era un muro molto triste, sta volta era marrone quindi avrei dovuto usare colori più scuri, anche perché non mi sarei messo a tinteggiare un muro così grande di bianco. Una delle altre cose che non mi piacevano di New York, erano i vicoli. Questi infatti erano soprattutto piccoli e bui, pieni di spazzatura e graffiti disegnati uno sopra l'altro sulle pareti cadenti. Non mi lamentavo troppo però, anche perché mi ci addentravo poco spesso. Salii sulle scale antincendio dell'edificio, sta volta con più fatica, posai lo zaino a terra e presi lo sketchbook, come avevo fatto la prima volta. Era mezzanotte meno un quarto, non sarei rimasto per molto, nonostante la bellezza della città durante la notte, preferivo non essere preso di mira da qualche ubriaco, sta volta per davvero. Sentivo che il buio aumenta su quel tetto, era lontano dalla strada principale ed era abbastanza in alto. Odiavo il buio, era come se mi inghiottisse. Continuai a fare lo sketch, cercando di non pensare a tutto ciò. Finì circa venti minuti dopo e fui fiero dell'idea che mi era venuta in mente. Era uno squalo balena immerso nell'oceano con qualche pesciolino attaccato al suo muso. Ora che lo guardavo bene, era molto complicato rispetto al primo disegno che feci, ma la vidi come una sfida. Mentre tornavo a casa, stavo pensando a quali colori sarebbero andati bene. Sicuramente avrei usato un blu scuro per lo sfondo, così quel marrone sporco sotto non si sarebbe neanche intravisto. Quella volta non pensai che potessero vedermi con un vandalo, ma come qualcuno che voleva fare del bene o almeno migliore la giornata alle persone che abitavano sul palazzo. Tornai nell'appartamento e chiamai subito la mamma, volevo sembrare almeno un po' preoccupato o che avevo pensato al mio cuginetto. Dopo diversi squilli la mamma rispose.
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Il filo del destino
Teen FictionUn ragazzo, Asahi White, è costretto a lasciare il suo Paese natale e arriva a New York con i pensieri più negativi. Subito nota quanto alla "città che non dorme mai" mancano colori soprattutto nei posti più ignoranti e tralasciati, come per esempio...