Capitolo 26 Emma

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Entro in classe, ancora indecisa su come comportarmi riguardo a Samuele. Forse dovrei raccontare tutto a Matilde; un loro avvicinamento sarebbe utile a dissipare la tensione tra noi e probabilmente poi mi sentirei meno in colpa nel caso in cui volessi approfondire un'amicizia con Marco.

Appena varco la porta, Matilde mi attacca verbalmente con un tono acido, urlando: "Sei così disperata da provarci con tutti i ragazzi della scuola, o ci provi solo con quelli che piacciono a me? Ho saputo che adesso esci anche con Samuele!"

Sono sbalordita, delusa. Era una mia amica, come può anche solo pensare certe cose di me?
Guardo Angelo, e chiedo con voce tremante: "Glielo hai riferito tu?" 

Lui si limita ad annuire, evitando il mio sguardo e sento gli altri ragazzi ridacchiare.
"Gattamorta," mi sembra di sentire una voce in fondo all'aula.
Ci resto male e proprio in quel momento, arriva Marco. 

Fa il suo ingresso plateale con il suo solito sorriso sornione, si avvicina e dice: "Allora svampita, facciamo da me o te?"
La sua battuta mi fa esplodere. Sono sopraffatta dall'umiliazione e dalla confusione. 

Le lacrime iniziano a scorrere lungo il mio viso, non riesco a trattenerle, aumento l'intensità della voce per farmi sentire: "Basta, cosa vi ho fatto, perché ce l'avete tutti con me?"

La stanza si riempie di silenzio mentre tutti gli sguardi sono puntati su di me. Matilde mi ignora e Marco, forse rendendosi conto dell'effetto delle sue parole, resta fisso a guardarmi.

Qualche attimo dopo aggiunge: "Non esagerare, sono certo che nessuno ce l'ha con te. Di sicuro non io."

Non gli rispondo, non ho voglia di parlare; lui mi coglie di sorpresa e mi abbraccia. 

"Non piangere," dice.
Mi passa una mano lungo la schiena e io da prima rigida, mi calmo sotto il suo tocco delicato. Mi piace stare tra le sue braccia, mi fa impazzire il suo profumo, ma sono un po' imbarazzata dalla situazione e credo che se ne sia reso conto.

Mi lascia, prende il suo fazzoletto dalla tasca dei pantaloni e mi asciuga le lacrime.

"Ho ancora a casa l'altro e la tua maglietta," gli faccio notare e lui sorride.

"Non preoccuparti."

Con quel gesto gentile mi ha fatto dimenticare tutto il resto...

"Ma non ti ha detto niente la Prof. Evans?," mi chiede.

"NO." Non capisco di cosa stia parlando.

"Ok, ok. Io non ti ho detto niente. Ti parlerà lei." Sorride.

"Mi devo preoccupare?" Chiedo.

"Ma, no. Dammi il diario che ti scrivo il mio numero, chiamami quando ti ha spiegato."

"Spiegato cosa?"

Non aggiunge altro e sembra divertito. Prende il mio diario dal banco, glielo strappo via dalle mani senza dargli il tempo di aprirlo e lo metto in cartella.

"Puoi scrivere qui," gli passo un foglio dal raccoglitore a d'anelli.

"OK", mi osserva con espressione confusa. 

"Posso usare questa penna?" Chiede, io annuisco.

Scrive il suo numero, mi fa l'occhiolino, "vado, ci vediamo svampita."
Ci scambiamo un ultima occhiata, se ne va, un attimo dopo entra in aula la Prof. Evans e inizia la lezione.

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