~ Prologo parte 1 Jacob ~

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Prologo
JACOB

«Ti vuoi dare una mossa?»

Infastidito, inarco un sopracciglio, mi caccio una sigaretta in bocca e lancio un'occhiataccia al coglione che ho davanti.

«Jacob, dai cazzo, muoviti, che siamo già in ritardo!» Mio "fratello", che ha più o meno la mia stessa età, mi viene incontro.

Sorvolo sulle sue parole, ma poi lui ha la brillante idea di afferrarmi per un gomito.

Mi sciolgo in fretta dalla sua presa e lo guardo in cagnesco, evitando di tirargli un pugno in faccia.

«Dă-te dracu'!», lo spintono, facendolo indietreggiare di qualche passo.

*Vai al diavolo!

Vorrei rispondergli per le rime, ma non parlo ancora la sua lingua.

Capisco qualcosa d'italiano, per lo più le parolacce, ma non sono in grado di esprimermi a dovere e l'ultima cosa che voglio è rendermi ridicolo davanti a lui.

«Cosa stai dicendo?», assume un'espressione confusa.

Mi limito a fissarlo e a serrare di più la mascella.

«Senti, mi spieghi perché ti sei fermato? Già cammini come mia nonna e, credimi, lei è veramente lenta. Che bisogno avevi di fermarti?»

Ignorandolo, mi accendo la sigaretta senza preoccuparmi che rischio di restare senza. Qui non mi manca niente, i giorni in cui ero senza un soldo in tasca sono finiti.

Remo continua a blaterare e, per l'esasperazione, mi stacco dal muro, lo sorpasso con una spallata e riprendo a camminare.

«Finalmente!», mi affianca. «Senti, voglio darti un consiglio: quando arriviamo alla festa non avvicinarti a Nadine, la sorella di Luca! Lei è mia. Intesi?»

Quanto cazzo parla?

Afferro le cuffiette nere che penzolano sul mio petto e infilo gli auricolari nelle orecchie. Remo finalmente capisce che non sarà mai degno delle mie attenzioni e mi lascia stare.

Telefono alla mano, faccio partire ad alto volume una canzone di B.U.G. MAFIA.

Mi perdo tra le parole piene di odio rivolte ai grandi della società fino a quando non arriviamo di fronte a un recinto di ferro battuto dietro al quale si erge una villa su due piani dalle linee moderne, il che mi riporta alla mente che la topaia del ghetto in cui ho vissuto per tutta la vita resterà soltanto un ricordo, chiuso in qualche angolo della mia testa.

Il padre di Remo, l'uomo per cui Luminița ha deciso di trasferirsi per sempre in Italia, è un dentista e non se la passa male. Casa sua non ha buchi sul tetto ed è grande e spaziosa.

Ora ho una camera tutta mia e dormo su un letto vero, non su un divano recuperato in una merdosa discarica, insieme ad altre tre persone.

Nonostante ciò, se avessi potuto scegliere, non sarei mai andato via dalla Romania. Ma quella stronza di mia zia è finita in carcere per aver tentato di ammazzare il fidanzato di turno, i suoi figli in orfanatrofio e io non avevo più un posto dove stare.

Odio questa città e odio ancora di più Remo, una specie di Ken incazzato che in questo momento mi sta intimando di togliermi le cuffie dalle orecchie.

Non gli do retta; comincio invece a muovere la testa a ritmo di musica e fisso lo sguardo davanti a me.

L'ho seguito solo perché mi sono rotto il cazzo delle lacrime che Luminița versa continuamente per colpa mia.

Questo pomeriggio ha insistito affinché uscissi fino a sfinirmi e alla fine ho acconsentito solo per togliermela dalle palle.

Io e Remo oltrepassiamo il portone.

Nonostante la musica degli auricolari, le mie orecchie si riempiono con le note di una canzone commerciale che mi fa schifo.

Invece che entrare in casa, ci rechiamo sul retro della villa dove ci imbattiamo in una ventina di persone, per lo più minorenni. Alcune ballano intorno a un'enorme piscina fuori terra, altre fanno il bagno nella vasca. Vista l'abbondanza di ragazze in bikini, forse non è stata un'idea del cazzo venire qui.

Remo mi lascia da solo per andare dal tizio dai capelli scuri e ondulati, lunghi fino alle spalle, che agita una mano nella sua direzione.

Quello sfigato è Luca, il suo migliore amico, anche lui diciassettenne. Negli ultimi giorni è venuto spesso nella casa in cui vivo per giocare con Remo alla Playstation.

Scocciato, prendo posto sull'unica sedia in vimini abbandonata accanto al muro e mi accendo un'altra sigaretta. Non sono certo che si possa fumare, ma me ne sbatto e faccio velocemente un paio di tiri.

Un gruppo di ragazzine, poco lontane da me, mi salutano con la mano. Sono carine e hanno delle belle tette.

Probabilmente sono attratte dal mio bel faccino. O forse dagli scarabocchi che ho sulle braccia, tatuaggi che ho iniziato a farmi fare quando avevo tredici anni, lo stesso periodo in cui ho anche smesso di andare a scuola.

Sono stato la cavia di Miruna per un po' di tempo. Io le permettevo di pungermi, lei in cambio mi faceva dei pompini da sballo. A volte si prendeva cura di me, cucinandomi e permettendomi di dormire con lei.

Vuole diventare una tatuatrice di successo un giorno, ma dubito che ce la farà. Noi siamo quelli marci, lo scarto della società. Quelli come noi sono destinati già dalla nascita a non fare nulla di buono nella vita. L'ambiente in cui viviamo non ce lo permette.

Luminița dice che l'Italia offre più speranze ai giovani.

Scuoto la testa. Scaccio via quelle stronzate dalla mente e mi concentro sul gruppo di ragazzine. La tipa bionda mi sorride e mi fa segno con un dito di andare da lei.

Inarco un sopracciglio. Potrei prenderla, portarla in qualche stanza e scaparla. Normalmente funziona così alle feste, no? Almeno avrò un bel ricordo alla fine di questa giornata di merda.

Con l'intento di fare proprio questo, tolgo gli auricolari dalle orecchie, lasciandoli penzolare sul petto.

Porto di nuovo gli occhi sulla bionda giusto in tempo per vedere una quarta ragazza aggiungersi al gruppo.

***

Buongiorno. Diversamente da Amazon, qui troverete la storia raccontata al presente anziché al passato, e con qualche modifica. Buona lettura🖤

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