Capitolo 12 Nadine

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Capitolo 12
NADINE

«Aspettavate qualcun altro?», domando sorpresa, non appena, mezz'ora dopo l'arrivo di Remo, sento suonare di nuovo al citofono.

La mamma mi guarda e scuote la testa perplessa, seguita da papà e Luca.

Ci siamo riuniti intorno al tavolo di legno, posto in giardino, sotto l'ombra di un grande albero di tiglio che emana un buon odore. Abbiamo iniziato a mangiare, stuzzicando un po' l'appetito con affettati di tacchino. I miei genitori sono fissati con la dieta salutare, ma io e Luca sgarriamo ogni volta che ne abbiamo la possibilità.

«Sarà Marina!», esclamo, sollevandomi in piedi.

La signora Manuela mi lancia un'occhiata basita, poi scuote la testa contrariata.

«Le ho detto di non uscire, ma come al solito fa come le pare», dichiara affranta.

Non sapendo come replicare, mi stringo nelle spalle. «Con permesso». Trascino la sedia indietro e vado rapida dentro casa.

Sono curiosa di scoprire cos'abbia fatto la mia amica per tutta la notte, perché si è cacciata nei guai preferendo restare fuori casa, per cui apro il portone senza nemmeno guardare lo schermo del citofono.

Spalanco la porta principale e corro sul vialetto, ma raggelo nello stesso momento in cui vedo avanzare nella mia direzione nientedimeno che Jacob, con addosso una canottiera nera che lascia scoperte le sue braccia tatuate e un paio di pantaloncini sportivi del medesimo colore.

La sua mise mi ricorda molto quella che, disinteressato, ha scelto di indossare al matrimonio di sua madre con Pietro, facendosi additare da tutti gli invitati.

Dietro l'orecchio sinistro, la solita sigaretta. Tra le labbra, un'altra accesa.

I suoi occhi sono nascosti dietro le lenti di un paio d'occhiali da sole a specchio.

Il mio respiro si accorcia. Le mani mi tremano. Il cuore mi riecheggia nel petto. Le labbra si muovono a vuoto, nulla fuoriesce dalla mia bocca.

Lui sembra del tutto a suo agio mentre mi raggiunge a passo blando e sicuro e un po' lo odio per questo. Una volta di fronte a me, solleva gli occhiali sulla testa e si toglie la sigaretta dalla bocca.

Il segno violaceo contorna ancora il suo occhio destro.

«Ehi! È qui la festa?», mi chiede spavaldo, fissandomi dritto in faccia.

Mi guarda come se non fosse successo nulla tra di noi e la cosa mi ferisce perché, a differenza sua, io non riesco a fare a meno di pensarci.

Il sogno di stamattina ritorna con prepotenza nella mia mente, facendomi avvampare. Tuttavia, tento di scacciarlo via. Mi mordo un labbro, concentrandomi su Jacob.

«C-che ci fai qui?», farfuglio, sentendo uno sciame di farfalle battere le ali come impazzite nel mio stomaco. Mi basta vederlo per diventare un fascio di nervi. Mio malgrado.

«Mi hanno detto che c'è da mangiare gratis», scrolla una spalla con fare annoiato.

«Vattene via!», gli ordino, ritrovando un po' di autocontrollo e serrando le mani a pugno lungo i fianchi.

L'ultima cosa che voglio è assistere al modo in cui confessa a tutti la verità. Ne uscirei a pezzi e lui lo sa.

Come risposta, Jacob mi sbuffa in faccia il fumo della sua dannata sigaretta. «Bell'accoglienza, non c'è che dire», brontola, passandomi accanto. Non gli importa niente dei miei occhi supplichevoli.

«Jacob Sava, non sei il benvenuto in questa casa!», lo rincorro e mi piazzo davanti a lui. Per più di una ragione, non lo voglio qui.

«Lo so. Ma indovina? Non me ne frega un cazzo. Ora levati dalle palle, sto morendo di fame!»

Proprio come ieri notte all'interno del Covo, mi guarda come se fossi una sua nemica, qualcuno che non vorrebbe avere intorno, e ancora una volta non riesco a non restarci male.

Non lo faccio passare e lo afferro per un polso. Il mio palmo si riempie di dolcissimi brividi che si diramano lungo tutto il braccio.

A lui non piace il mio comportamento e me lo fa capire: fissa in cagnesco prima la mia mano, poi me. Schiarendomi la gola, decido di abbassare il braccio.

«Mi hai lasciato un succhiotto sul collo... Per favore, nessuno sa che ieri notte sono uscita di nascosto e non mi sento a mio agio con te nei paraggi. Vattene!», lo supplico, sperando di riuscire a fargli cambiare idea.

Temo tantissimo che la sua presenza mi metterà nei guai. D'altronde, perché dovrei aspettarmi qualcosa di diverso da lui?

Jacob sospira pesantemente e, per un attimo, ingenuamente, penso che farà ciò che gli ho chiesto, ma, quando si abbassa su di me e mi sussurra nell'orecchio: «Sai che avevo intuito che ti agiti parecchio in mia presenza? Per il succhiotto non ti preoccupare, andrà via in un paio di giorni», capisco che non mi libererò di lui tanto facilmente.

Siamo vicinissimi, riesco a sentire il suo fiato caldo sulla pelle. Vorrei potergli dire ancora qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riesco più a muovermi. La sua vicinanza mi destabilizza, mandandomi il cervello in un limbo.

Il colpo di grazia me lo dà quando, dal nulla, appoggia le labbra sulla mia guancia e le tiene lì, incollate, per un paio di secondi che sembrano eterni.

Il mio cuore parte come un razzo spaziale, accompagnato da quei piacevolissimi brividi che solo lui è in grado di farmi provare.

Ancora una volta, le immagini del sogno ballano davanti ai miei occhi. Il mio corpo s'infiamma, lo desidera, acclama a gran voce le attenzioni che mi ha riservato nella fantasia, diversamente dalla mia testa che mi ordina di allontanare i pensieri impuri dalla mente.

So bene che dovrei andarmene, ma quando ci separa soltanto un soffio d'aria, il maledetto desiderio di baciarlo prende sempre il sopravvento su di me.

Abbasso le palpebre e muovo di poco la testa. Le nostre labbra finiscono per sfiorarsi e sento la terra tremare. Ma non mi stacco da lui. Resto così, inerme, in attesa della sua prossima mossa, consapevole di starmi per inoltrare in una via senza ritorno.

IL MIO RAGAZZO IMPERFETTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora