capitolo 12

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«Cosa? Assolutamente no!» sento urlare Mirko dentro la stanza.

Probabilmente origliare non è la cosa giusta, ma non m'importa.

«Devi venire, fallo per me. So che non sono stato un buon padre per te, ma dopo che sarai venuto tutto si sistemerà. Fidati» dice una voce cupa.

Ci sono molte cose che non ho capito.
Quella voce, è la voce di suo padre? E dove deve andare?

«Basta papà. Ti ho detto di no, e no resterà» controbatte Mirko.
La stanza rimane silenziosa per qualche minuto, poi sento dei passi venire verso la porta. Faccio un passo indietro per lasciar passare l'uomo col quale parlava Mirko.

È alto, molto magro.
I suoi occhi sono tristi e cupi.

Mi fissa per qualche secondo, poi se ne va. Bo, non ho fatto nulla e la gente mi guarda già male.

Entro nella stanza per vedere come sta Mirko. Da quando m'importa di Mirko?
Appena entro, non so che dire. C'è Mirko che sta mettendo dei vestiti in uno scatolone. Presumo che i vestiti siano suoi. Sposto lo sguardo in basso e ne vedo altri. Non so che dire. Se ne va, tutto così, e nemmeno me lo dice?
Si gira e nota che lo sto guardando male. Finalmente mi ha notata.

«Ti posso spiegare» lascia lo scatolone, per guardarmi. Non dico nulla, resto lì a guardarlo e a pensare a quanto sia stronzo.

«Lo giuro» sembra quasi disperato.
Certo, come no, stronzo per nascondermi una cosa e disperato per spiegarmela.

Mi giro e comincio ad andare verso la porta, ma una mano afferra il mio polso facendomi girare dalla parte opposta. La mano è di Mirko, il quale sta ancora tenendomi il polso.

«Cosa c'è da spiegarmi? Che volevi andartene dall'ospedale, facendo lo stronzo e non dirmi nulla?» gli irlo contro.

«No, fammi spiegare» la sua voce è più calma. Be' non dovrebbe esserlo, perchè io sono troppo arrabbiata con lui.

«Devi andartene anche tu. Io e te, dobbiamo andarcene» mi risponde.
Adesso spara cazzate per inventarsi delle scuse.

«Dobbiamo trasferirci a New York» dice ancora una volta. Ma bene, dopo cosa facciamo? Andiamo sulla statua della libertà a fare i fighi? Ma fammi il piacere.

«Qua non hanno le cure per guarirci, l'unico ospedale che le ha è uno di New York» probabilmente questa non è una scusa. Non so che dire. Io e Mirko che ci trasferiamo in un'ospedale a New York?

«Io non vengo» incrocio le braccia.
«Tu devi venire» dice sottolineando il verbo devi.
«No, non se non voglio» controbatto.
«Bene, allora se vuoi morire resta pure qui» quasi urla.

Io voglio morire? No, no di certo.
Guardo Mirko, poi vado verso il mio letto e mi siedo.
Ma.. mia madre si sposa tra qualche giorno, e se sono a New York non ci andrò di sicuro. Meglio.

«Quando ci trasferiamo?» chiedo.
«Domani» risponde.

****

Sono le nove di mattina e Mirko non è nel suo letto. Devo amdarlo a chiamare perchè oggi dobbiamo trasferirci nell'ospedale di New York.

Non ho molta voglia di andare a cercarlo, perciò decido di chiamarlo.
Lo chiamo, ma non risponde. Arriverà. Fuori dalla finestra si vede il sole e quanto è bello di mattina.

Mi cambio per andare a cercare Mirko, tolgo la maglia e gli shorts, dopodiché li poggio sul comodino vicino alla finestra.
Tiro un cassetto e prendo una maglietta nuova con dei jeans lunghi.
Infilo la maglia e i jeans.

Sento un suono familiare.. il cellulare.
Credo che mi sia arrivato un messaggio. Guardo solo chi me l'ha mandato.. Mirko. Magari mi dice dov'è.

*grazie per lo show, piccola. Magari, la prossima volta che ti cambi, ricordati di chiudere le tende della finestra*

Cosa? Nel senso, lui mi ha vista? Cosa?
Guardo fuori della finestra e vedo che giù, nel campo da basket, c'è Mirko che mi guarda.

Mi saluta con la mano e sorride.
Chiudo con un colpo secco le finestre e mi butto sul letto.
Mi ha chiamato piccola, cosa si è bevuto? Solo a pensarci mi viene da vomitare.

Penso a quando arriverà in stanza, cosa dovrò dirgli, cosa farò. Mi vergognerò un sacco. Ma queste sono cose a cui non pensare ora.



i wanna be your life || Mirko TrovatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora