il folle gesto

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TW: in questo capitolo sarà presente un tentativo di suicidio. metterò degli asterischi nel caso non vogliate leggere la parte. <3

Le grandi finestre lasciavano trapelare il tramonto in tutta la sua maestosità. La luce aranciata si faceva spazio nella casa dell'uomo, che sembrava avere sui quarant'anni, forse meno. Arabella si rilassò alla vista di Central Park, prima di salutare il dottore educatamente.

"buonasera, sono Arabella Perez, la sua nuova paziente" gli rispose.

"questo lo avevo intuito" rise leggermente, guardandola in quegli occhi contornati da folte ciglia nere. La ragazza rabbrividì alla vista di quegli oceani sul suo corpo. La squadrò da cima a fondo, gli piaceva analizzare le persone.

"prego, mi segua, la porto nel mio studio" e così fece. La portò nella stanza deputata alla visita. Anch'essa era dotata di un'ampia finestra, una scrivania in legno di ciliegio molto raffinata e una comoda poltrona in cui erano soliti sedersi i pazienti. Le pareti erano di un delicato color pesca che sembrava brillare con la luce del tramonto.

Si sedette sulla sedia, con le gambe accavallate. Era nervosa e Arthur lo poté intuire dalla gamba destra che tremava e dal respiro affannato.

"allora, mi parli un po' di lei" disse l'uomo appoggiandosi allo schienale della sedia girevole.

"sono qui perché mi serviva uno psichiatra a New York, tutto qui" rispose fredda.

"non credo sia 'tutto qui', signorina...i suoi genitori non le avrebbero prenotato il colloquio"

"d'accordo...beh, mi è stata diagnosticata la depressione ansiosa qualche anno fa. Ho pensieri suicidi da circa due anni, anche ora se vuole saperlo"

"okay...che farmaci prende?"

"due compresse di escitalopram la sera" disse in modo distaccato. Erano solo delle semplici informazioni, in fondo.

"d'accordo...se ha pensieri suicidi, però, è meglio se cambia l'escitalopram con la mirtazapina e aggiungere una compressa di benzodiazepine al bisogno. Le invierò la prescrizione via mail in serata"

il colloquio andò avanti per un'ora. Si erano fatte le sette ormai. Per tutta la seduta gli occhi castani della ragazza erano fissi sul corpo dell'uomo: indossava un maglioncino beige e dei pantaloni neri con una cintura dello stesso colore. I capelli erano corti, di un castano chiaro tendente al dorato mentre la barba era corta e curata. Non sapeva che cosa provasse per lui, in fondo lo conosceva da a malapena un'ora ma doveva proprio ammettere che era l'uomo più attraente che avesse mai visto.

"bene...sono centocinquanta dollari" disse secco, interrompendo il suo flusso di pensieri che la aveva catturata come un tornado.

"d'accordo, ecco a lei" disse per poi dirigersi verso la porta d'ingresso.

"aspetti" la prese per un polso, facendola rabbrividire "la ricevuta" la ragazza lo ringraziò, prima di uscire dal portone, realizzato in legno. Quella sera aveva appuntamento con Shaila. Sarebbero andate da Vito's, un ristorante italiano nella Little Italy, il quartiere italiano della Grande Mela.

Il locale era accogliente: lo stile era quello di una tipica trattoria italiana. I tavoli erano coperti da tovaglie a quadretti bianchi e rossi con al di sopra ceste di pane appena sfornato, il cui odore si fece strada nelle narici di Arabella. Era un ambiente così casalingo e familiare...

Vide Shaila. Era bellissima: i pantaloni a zampa a vita bassa e il top corto le stavano da Dio, i capelli neri afro erano sciolti.

La baciò teneramente, anche se la ragazza non ricambiò il bacio con lo stesso ardore. Sembrava distaccata, come se non fosse lì.

"Shaila, cos'hai" le chiese con fare preoccupato, mentre si sedeva al tavolo.

"niente...è solo che...niente" si morse l'interno della guancia dal nervosismo.

"avanti, dimmelo" disse seria. Il cuore le batteva all'impazzata, così forte che temeva le sarebbe uscito dal petto il quale nel frattempo si era chiuso in una morsa, non permettendole di respirare. Temeva che qualcosa di tremendo le sarebbe successo.

"okay. Sarò sincera, non mi sta bene che tu stia a galla solo per me, Arabella"

Non la aveva mai chiamata per il suo nome intero. La ragazza strabuzzò gli occhi, confusa.

"in che senso? E poi guarda che non sto affatto bene" le rispose a tono.

"appunto...questa cosa mi sta iniziando a pesare, sai"

"e cosa vorresti fare? Lasciarmi nel periodo più brutto della mia vita?" ringhiò.

"è un peso troppo grande da sopportare per me...sei sempre così giù di corda" disse ticchettando le unghie lunghe sul tavolo.

"si chiama depressione...non ti facevo così stronza e senza cuore, sai?" disse acida.

"penso sia meglio lasciarci...per il bene di entrambe"

"no, cazzate! Per il tuo di bene, Shaila!" disse prima di alzarsi dal tavolo, senza nemmeno ordinare, per poi uscire e salire sulla sua fidata moto. Si addentrò nel solito traffico di New York. Le luci erano più vivide che mai, i rumori della strada la rendevano più confusa e spaesata di quanto già fosse. Si diresse al campus per poi fiondarsi nella sua stanza.

Lanciò lo zaino e si tolse in fretta e furia le scarpe, prima di eliminare definitivamente il contatto di Shaila dalla sua rubrica, era come morta per lei. Si dice che non si possano tagliare le persone fuori dalla propria vita di punto in bianco, ma quel detto non era calzante per Arabella. Lei vedeva tutto o bianco o nero. Ma in quel caso, non avrebbe avuto motivo di farla rimanere nella sua vita dopo che le aveva spezzato il cuore senza pietà né ritegno.

*
Si fiondò in bagno, nella vasca, dopo averla riempita d'acqua, fredda o calda non importava. Prese due lamette in ferro nella sua candida mano, prima di immergersi fino al collo. Pensò che ormai era rimasta sola, che non aveva speranza. Le cure non stavano funzionando, anzi, la avevano addirittura fatta stare peggio. Aveva perso l'unica persona di cui si fidava. Come aveva potuto dopo lunghi anni, lasciarla in malo modo nel suo periodo più fragile e delicato? Si sentiva mancare il respiro, come un pesce fuor d'acqua.

Si sentiva vuota, isterica e inutile, massacrata come il suo giovane cuore in quel momento straziante. le mani candide tremavano, la fronte sudava, le pupille si erano ristrette. Pianse. Doveva rilasciare fisicamente tutto il dolore provato nelle ultime ore, un dolore inaspettato, un dolore straziante. Prese in mano la lametta e la diresse verso il suo braccio sinistro, sfiorandolo appena.

Più a fondo. Di cosa hai paura? Avanti. Tanto cos'hai da perdere? sei rimasta sola. Sei solo una puttana depressa. Fallo, Fallo!

La sua coscienza le suggeriva, in modo sempre più aggressivo.

"no, ti prego, non farmi questo" pianse ancora, così tanto che non riusciva a respirare dai singhiozzi. si sentiva vuota, risucchiata dal più oscuro dei buchi.

Fallo, ora!

il suo cervello malato voleva liberarsi del corpo, che in quel momento sembrava inutile. solo un semplice pezzo di carne che la teneva in vita. ma per cosa esattamente? per continuare a far finta di essere felice?
*

Non fece in tempo a ultimare la sua missione che il telefono vibrò, costringendola a posare le lamette sul water. Era il dottor Morgan, che le aveva inviato la prescrizione.

Un po' tardi, pensò. Guardò il file con scritta la prescrizione e ripensò al suo folle gesto. Per cosa lo stava facendo esattamente? Per una stupida ragazza senza cuore? Per la sua depressione? Non voleva che i suoi sentimenti, seppur potenti, prendessero il sopravvento su di lei. Non se lo meritava, l'avrebbe considerata una sconfitta contro se stessa.

Rinsavì da quei pensieri nefasti e uscì dalla vasca. I ricci corvini grondavano e il corpo sinuoso tremava dal freddo. Arthur, seppur con un gesto così banale e involontario, le aveva appena salvato la vita. Si asciugò, dopo di che si mise il pigiama e si sdraiò sul letto. Non passò molto tempo prima che cadesse nelle braccia di Morfeo.

LOVE ON THE BRAIN - arthur morgan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora