l'esordio

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Settembre 2016

qual è il senso della scuola? Si chiedeva Arabella Perez, seppur adolescente. Essere buttati in delle stanze piccole e asfissianti accanto a persone la cui maggior parte non si vedrà più. Un'accozzaglia di verifiche e interrogazioni che non misureranno mai la vera intelligenza di ciascuno. È solo una prigione, un'orrenda e schifosa prigione.

La ragazza era solita vedere il mondo come un posto grigio, senza luce né speranza. Veniva risucchiata ogni volta in un buco nero dai suoi stessi pensieri cupi, intrisi di melanconia. Non ne poteva fare a meno. Tanto tutti dicevano che era fatta così e che non sarebbe mai potuta cambiare perché troppo cocciuta e svogliata.

Svogliata. Cosa esattamente intendevano dire con quella futile parola? Che non era in grado di cambiare la sua vita in quanto troppo pigra. In effetti avevano ragione: la ragazza era pigra ma per ben altri motivi. Non sapevano che la maggior parte dei giorni si sentiva incollata al letto, paralizzata mentre la testa vagava libera, così velocemente che le sembrò quasi avrebbe abbandonato il corpo.

Pensava. A tutto, a niente. La mente vagava libera tra i ricordi in modo stacanovista. Pensava a quanto volesse che il mondo si fermasse solo per concederle di respirare ma al contempo di lasciarsi cullare da quella frenesia. Si sentiva triste, melanconica, spenta. Vuota e piena nello stesso momento. Un sovraccarico di emozioni la travolgeva, lasciandola immobile. Il corpo e la mente si erano disgiunti, non collaboravano più, sembravano una macchina senza motore, così bella all'apparenza seppur dannatamente inutile. Arabella si sentiva dannatamente inutile, una foglia precaria che di lì a poco sarebbe caduta dall'albero per poi essere sgualcita, pestata, rovinata.

La vita non aveva senso, nulla aveva senso per lei, da qualche anno ormai.

L'ansia colse alla sprovvista la ragazza dai capelli ricci e neri come la pece. Le mani tremavano, il respiro diveniva sempre più affannoso e pesante, la vista sfocata.

Cadde dalla sedia e si sentì un tonfo. La ragazza stava per perdere i sensi.

"qualcuno chiami un'ambulanza!" disse l'insegnante, accovacciandosi a terra, incitando gli altri ragazzini che intanto si erano divertiti a riprendere la scena con il cellulare. Che idioti, pensò quest'ultima.

I soccorsi arrivarono subito e portarono via la ragazza in un batter d'occhio. Arrivarono il più in fretta possibile all'ospedale.

"datemi 2 milligrammi di lorazepam!" disse il dottore, in preda al panico.

"starai bene ora, prendi queste pillole" la rassicurò, accarezzandole la guancia rossa.

Dopo tutto il trambusto dell'ultima ora, Arabella si trovò sotto le bianche coperte che la tenevano al caldo. Guardò il soffitto, anch'esso bianco dopo di che si girò e vide che nel suo braccio era infilato un ago da cui entrava nutrimento. Era debole e stanca di tutto. Arabella aveva esperienza con gli attacchi di panico ma mai le era capitato di dover essere portata all'ospedale per questo. Si sentiva imbarazzata, si sentiva sconfitta, a terra.

"maledetta me" mormorò tra i singhiozzi mentre le lacrime iniziarono a fuoriuscire dai suoi occhi così scuri che sembravano un buco nero. Erano capaci di risucchiare qualunque sguardo si presentasse loro.

"vedo che ti sei svegliata, piccola mia" le dissero i suoi genitori Diego e Anne, abbracciandola calorosamente.

"non so per quanto potrò continuare così" la ragazza disse loro con fare serio, seppur sconfitto.
"perché non ho più voglia di vivere, mi sento in una prigione"

"andiamo, mia cara, tutto si aggiusterà, noi ci siamo e lo sai..." disse la madre mentre una lacrima salata le solcò il volto. "so che ce la puoi fare"

la loro conversazione fu interrotta dal medico di turno, il quale non si curò nemmeno di aver disturbato la loro privacy. Il corpo era avvolto da un lungo camice bianco.

"signori, abbiamo la diagnosi: vostra figlia soffre di depressione ansiosa"

a quelle parole la madre scoppiò a piangere ed il padre la avvolse in un abbraccio che voleva essere rassicurante. La ragazza rimase impassibile. Non era di certo il tipo di notizia che poteva scalfirla, poteva solo che essere la ciliegina sulla torta. Non disse niente e fissò il pavimento. Voleva solo tornare a casa anche se nulla le dava più conforto ormai. Non stava bene nella sua stessa testa, non si sentiva al sicuro ma, anzi, perennemente sotto qualche brutto scherzo ordito dalla sua perfida mente.

La giornata passò in fretta ed il mattino seguente la ragazza, accompagnata dai suoi amorevoli genitori, fece ritorno a casa, senza sorridere nemmeno. Sapeva le sarebbe ricapitato ancora e ancora. Quell'accaduto era un mostro imprevedibile, inafferrabile.

Entrò in casa per poi fiondarsi in camera sua, sbattendo la porta. Si stese sul letto supina e fissò il soffitto. Fece partire la sua canzone preferita Bulletproof...I wish I was dei Radiohead. Incapsulava perfettamente il suo stato d'animo. Era caduta in un baratro fatto di incubi e strade percorse fin troppe volte. Erano consumate, i passi avevano solcato il terreno. Il volto della ragazza era così triste, affranto, spento.

Era così bella ma voleva solo morire.

Il suo flusso di coscienza venne interrotto dalla voce della madre che le comunicò che la cena era in tavola. Fermò la musica, si tolse gli auricolari e si alzò per andare a mangiare, nonostante non avesse per niente fame.

"tesoro, ho fatto la pizza, la tua preferita...stasera c'è anche la tua migliore amica Shaila.

Shaila era una ragazza allegra, il sole rispetto al cielo impetuoso di Arabella. La pelle color cioccolato ed i capelli neri erano di una bellezza divina. Si era trasferita in quella piccola città pochi anni prima e divenne subito una parte della famiglia della ragazza, per cui provava una certa simpatia, ovviamente ricambiata.

"oh...ciao Shaila" le fece un sorriso timido, nascondendo le mani nella felpa oversize che portava.

"i tuoi mi hanno detto quello che è successo...mi dispiace molto, Bel" la abbracciò calorosamente dandole un bacio sul collo, il che la fece rabbrividire.

"forza, a tavola! Queste delizie non si mangiano da sole" intimò loro la madre che si sedette sulla sedia di legno e gli altri fecero lo stesso. Era tutto squisito e preparato con amore.

Le ragazze si recarono in camera di Arabella, la moquette color panna era torreggiata da un comodo letto dalle lenzuola azzurre di fronte ad una spaziosa scrivania, perennemente in disordine. L'ampia finestra faceva trapelare la luce della luna all'interno della stanza, illuminata artificialmente.

"allora, lo guardiamo oggi il film che mi hai promesso?" chiese Shaila, facendole gli occhi dolci.

"d'accordo, d'accordo" abbozzò un sorriso.

Fece per inserire il disco all'interno del lettore quando Shaila la prese per mano e la portò verso di sé.

"Shaila...che stai...che stai facendo"

"non posso più trattenermi, Bel, devo dirtelo...tu mi piaci e molto. Mi sei piaciuta dal primo momento in cui ti ho vista". A quelle parole Arabella arrossì. Sapeva che ci fosse qualcosa tra loro ma non credeva che la ragazza sarebbe stata tanto audace da confessarglielo.

In un attimo le sue labbra rosee combaciarono con quelle color cioccolato di Shaila, in un dolce e tenero bacio. Le mani di Arabella erano sui fianchi di Shaila, la quale la prese per le spalle e fece pressare i loro corpi.

"cazzo, Shaila...è stato perfetto"
"Lo so" rispose colta da un alone di sicurezza in se stessa.

Le ragazze si salutarono e Arabella si fiondò nuovamente sul letto, disfatto da chissà quanti giorni, per poi cadere in un sonno profondo.

LOVE ON THE BRAIN - arthur morgan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora