desideri e psicofarmaci

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Quella mattina Arabella era a lezione. Si stava quasi per addormentare dalla stanchezza: la sera prima aveva dormito poco e niente. Aveva pensato tutta la notte ad Arthur.

"pronto? Terra chiama Arabella!" le disse , strattonandola leggermente.

"uhm, si, si, sono sveglia...non ti preoccupare, Harriet"disse sbadigliando, con un palmo della mano sulla guancia, sorreggendola "vado a prendermi un caffè alle macchinette"

si alzò dalla sedia per poi dirigersi verso la piccola zona ristoro.

"è rotta" disse il tecnico, che, evidentemente la stava aggiustando.

Perfetto, quale modo migliore per iniziare la giornata, pensò la ragazza, tornando in classe. Era così immersa nei suoi pensieri che non aveva notato una figura maschile venire contro di lei: stava guardando il cellulare. Entrambi camminarono in direzione opposta finché Arabella non inciampò: i tacchi che portava non la stavano aiutando minimamente.

Scivolò all'indietro ma l'uomo le impedì di cadere, prendendola per i fianchi. Arabella guardò in alto e potè riconoscere quegli occhi cerulei tra migliaia di persone: era Arthur.

"mi scusi, dottor Morgan...io-io non avevo intenzione di-"

"chiamami Arthur...non c'è nessun problema, piuttosto, cosa ci fai qui?"

"frequento il terzo anno di psicologia, l'anno prossimo mi laureo" disse con un sorriso imbarazzato sul volto.

Arthur sorrise, la prese per i fianchi e la mise in piedi. Quel gesto apparentemente così banale e innocuo le aveva fatto venire la pelle d'oca. I suoi occhi castano scuro erano incastonati in quelli blu cobalto dell'uomo le cui grandi mani sorreggevano il corpo della ragazza, così esile ma al contempo sinuoso.

"torno a lezione, ci vediamo questo pomeriggio"

"a questo pomeriggio, Arabella" le sorrise calorosamente.

La ragazza tornò in classe e si sedette vicino ad Harriet che le stava tenendo il posto, per poi iniziare a seguire la lezione. Il professor Brown entrò in classe, accompagnato da quella figura mascolina che ormai conosceva troppo bene. Ecco che cosa ci faceva in università.

"buongiorno a tutti, per la lezione di oggi ci sarà anche il più famoso psichiatra di New York, il signor Morgan" annunciò agli studenti.

"quanto vorrei un uomo come lui, Bels" le sussurrò Harriet, con un sorriso gagliardo, all'orecchio, facendola ridere.

"anch'io...non sai quanto" disse. Era la pura verità, dopotutto.

"nella lezione di oggi parleremo della Depressione Maggiore" disse Arthur con la sua voce gutturale.

"La depressione maggiore è un disturbo dell'umore caratterizzato da sintomi come: profonda tristezza, calo della spinta vitale, perdita di interesse verso le normali attività, pensieri negativi e pessimistici, disturbi nelle funzioni cognitive e sintomi vegetativi come alterazione del sonno e dell'appetito"

"essa è causa dal deficit dell'ormone della serotonina, detto anche 'ormone della felicità' ed è per questo che i pazienti hanno un umore basso che sfocia nell'apatia, anedonia e abulia o inerzia. Nei casi più gravi puo portare al suicidio" aggiunse il professor Brown.

Arabella non riusciva a trattenere le lacrime. Quelle parole la avevano descritta perfettamente. Si alzò in fretta dalla sedia per poi uscire dall'aula e Arthur la notò al che si grattò la nuca dall'imbarazzo. La ragazza venne seguita da Harriet, la quale le corse dietro.

Raggiunsero i bagni e Arabella si chiuse in uno degli scomparti, piangente come un cielo in tempesta.

"hey, tutto bene?" le chiese Harriet, visibilmente preoccupata, tentando di porgerle un fazzoletto.

"per niente" disse fra i singhiozzi.

"perché, che è successo? Hanno detto qualcosa che ti ha ferito?"

"esattamente...sai, anni fa mi è stata diagnosticata la depressione maggiore e sentirne parlare in questo modo non è il massimo, insomma" rise tra le lacrime.

"oh... ma quindi il dottor Morgan è il tuo medico"

"tu-tu come fai a saperlo?"Aprì la porta dello scomparto rivelando il suo viso cosparso di trucco colato.

"ho visto il modo in cui lo guardavi, come se lo stessi mangiando con gli occhi" sorrise.

"già, mi sono presa una bella cotta" rise insieme a lei, abbracciandola poco dopo.

La lezione finì poco dopo, dando modo agli studenti di fare l pausa pranzo. Arabella prese un panino alla svelta per poi salutare Harriet e salie sulla sua fidata moto. Si immerse completamente nel traffico della città, gremito di clacson,gli inimitabili taxi gialli e persone che passeggiavano per la strada.

Arrivò allo studio in fretta, era in ritardo, come sempre.

"scusami per il ritardo io non-"

"non importa, sei la mia ultima paziente per oggi" la rassicurò. Entrarono nello studio, pronti per il colloquio.

"non per farmi i fatti tuoi ma... ti ho visto uscire dall'aula oggi, è tutto a posto ora?" le chiese con un tono premuroso.

"sì, è solo che mi fa un po' effetto parlare della mia malattia in questo modo" rispose in modo diretto, senza troppi fronzoli. Intanto pensò al suo piano diabolico: quello di sedurre Arthur. Non aveva niente da perdere, in fondo.

Si iniziò a chiedere il motivo di quella bizzarra e non molto etica azione ma non le importava più di tanto. Arabella era una ragazza testarda che e se avesse avuto un obiettivo in testa lo avrebbe perseguito, a costo di tutto. Era tremendamente attratta da Arthur e non riusciva a contenere l'eccitazione. Sapeva benissimo in che guaio si sarebbe cacciata se avesse dato adito al piano ma quello era l'ultimo nella scala di priorità dei suoi problemi.

Lo voleva e questo era certo.

Non mi importa più di niente ormai. Cosa ho da perdere? Pensò.

Ma perché esattamente Arabella era così determinata a sedurre il suo psichiatra? forse noia? forse lussuria? probabilmente entrambe. L'attrazione che provava verso Arthur trascendeva ogni forma corporea, seppure si basasse proprio sulla fisicità.

Iniziò a tracciare la coscia coperta solo dalla calzamaglia nera.

"uhm...la-la terapia come sta andando?" Arthur deglutì, strabuzzando gli occhi.

"bene" disse prima di mordersi il labbro inferiore, di un colore rosso fragola "non mi vedi meglio?". Era riuscita a farlo agitare, eppure con così poco. Ma del resto Arabella era una ragazza molto bella, poteva permettersi di conquistare chiunque, se lo avesse voluto.

" si, ti vedo molto più...sicura, ecco" rispose con un sorriso imbarazzato. Non sapeva in che guaio si era cacciato. Arabella si sporse sulla poltrona, al che la scollatura si abbassò, lasciando intravedere leggermente i suoi seni formosi. Arthur, deglutì, ancora.

"ho l'impressione che tu voglia dirmi qualcosa, signorina Arabella" sussurrò.

"ah sì...io in realtà non sto dicendo nulla, dottor Morgan" rispose con uno sguardo sfacciato sul volto.

"Arabella, il tempo del colloquio è giunto a termine" disse per tentare di salvarsi da quella situazione che era diventata imbarazzante ma al contempo stuzzicante per ciascuno dei due. Arthur dovette ammettere che la ragazza lo attraeva, molto, ciononostante non poteva permettersi di fare una cosa del genere...non era etico, non era professionale. Non avrebbe mai lasciato che la sua fiorente carriera venisse distrutta perché non era in grado di controllare i suoi impulsi primordiali. Però dovette anche riconoscere che lo stava facendo impazzire. Per la prima volta dopo tanti anni si sentiva attratto da una donna e non gli importava che fosse più giovane di lui.

Arabella prese il suo fidato zaino, piegandosi lasciando le gambe tese di modo che il suo di dietro, leggermente esposto potesse essere visto dall'uomo.

Cazzo, pensò Arthur, mentre una scia di brividi gli pervasero il corpo, accendendolo come il fuoco ardente.

La accompagnò alla porta per poi salutarla nel modo più distaccato possibile. Chiuse la porta alle sue spalle e sospirò.

Diamine, ragazza.

LOVE ON THE BRAIN - arthur morgan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora