il senso della vita

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Quella mattina Arabella si svegliò con un gran mal di testa, la quale non ne voleva proprio sapere di stare meglio . Essa vagava libera tra i ricordi della giornata prima: Lo sguardo triste di Shaila, il freddo dell'acqua, il grigio delle lamette. Realizzò solo in quel momento che aveva provato a suicidarsi.

Pianse. Fu un pianto liberatorio in cui sprigionò il turbine di emozioni negative che la avevano attanagliata. Si lasciò andare completamente alla liberazione dei sensi. Non poteva continuare così, pensò, ma infondo, dov'era quel tanto agognato punto di svolta? Dov'è che sarebbe cambiato tutto? Non lo sapeva. Molto spesso si chiedeva quale fosse lo scopo della vita, a sua vita e sempre arrivava alla conclusione che la vita fosse qualcosa di estremamente semplicistico e banale.

Qual è lo scopo della vita? Continuava a chiedersi e la risposta era sempre la medesima: arrivare a fine mese, fare un po' di soldi e morire. Sì, era questa la visione di Arabella, prettamente realista e dal sapore agrodolce. D'altronde, pensava che la vita non fosse altro che una serie di ineluttabili fatiche che si susseguono una dopo l'altra  senza lasciare pace. È un susseguirsi di volti, di scritte, di parole che sfumeranno via.

'tutto passa' dicevano gli antichi, eppure perché ad Arabella sembrava che il mondo ce l'avesse con lei? Ogni suo dolore durava all'infinito e la felicità si restringeva ad essere quella frazione di momento in cui davvero si sentiva libera ma, d'altronde, come tutte le cose belle, durava poco, molto poco.

Si sedette sul letto e osservò la stanza, stropicciandosi gli occhi: era un completo disastro. C'erano vestiti ovunque, cartoni di pizza sulla scrivania assieme a fazzoletti, penne, libri...di tutto e di più.

Non oggi, pensò. Sapeva che non avrebbe mai messo in ordine, almeno per i seguenti tre mesi. Prese uno dei vestiti da quella disordinata accozzaglia: dei pantaloni cargo in pelle e un top corto bordeaux sarebbero andati più che bene, assieme a degli anelli dorati, che si abbinavano perfettamente alla sua pelle.

Uscì dalla camera, inserì la chiave nel nottolino e chiuse la porta con svariati giri. Aveva preso tutto: lo zaino, rigorosamente nero, era stracolmo di libri e quaderni. Si si diresse nell'aula magna, dove aveva la maggior parte delle lezioni e prese posto tra la miriade di gente. Ad un certo punto vide Harriet: aveva alzato un braccio per farsi vedere da lei.

"Arabella, vieni qui!" le intimò e la ragazza la raggiunse. Lo stomaco le brontolava dalla fame, non aveva ancora fatto colazione. Si ricordò di avere delle chewing gum nello zaino e così ne prese una, sperando che avrebbe placato la fame. Purtroppo non ebbe l'effetto desiderato.

"allora, come stai?" disse per iniziare la conversazione.

"ad essere sincera, una merda... la mia ragazza mi ha lasciata in malo modo"

"oh, mi dispiace, posso fare qualcosa per aiutarti?" le disse con tono premuroso.

"no, non ti preoccupare, passerà" la rassicurò.

Durante tutta la lezione Arabella mostrò attenzione e partecipazione: si trattava della lezione di psichiatria, la sua preferita. Si stava parlando della schizofrenia, la regina delle malattie mentali. Dopo circa due lunghe ore la lezione terminò. Le ragazze erano distrutte, sfinite.

"che fai a pranzo?" chiese Harriet "io vado in un ristorantino qui vicino con il mio ragazzo, vuoi unirti?"

"se non è un problema, volentieri"

"ma no che non è un problema, dai vieni!"

uscirono dall'università per poi dirigersi al ristorante. La città le accolse in tuttaìo il suo movimento e slancio vitale: un misto di volti, profumi e lingue diverse. Dopo poco arrivarono al ristorante, era piccolo e accogliente.

"piacere, io sono Peter" la salutò il ragazzo, che sembrava essere suo coetaneo.

"piacere mio, Arabella"

mangiarono con gusto, dopo di che Peter le lasciò sole le due ragazze, le quali decisero di andare a fare shopping. Si recarono nelle vie più frequentate e vivaci per poi entrare in un negozio con la targa dorata. Furono accolte da un profumo di acqua di rose: dolce ma non stucchevole. Harriet raggiunse un manichino che esponeva una minigonna di Jeans nera ed un corsetto.

"li voglio. Ora" disse, indicandoli.

Arabella notò una giaccia morbida maculata. Era perfetta per il suo stile'. La provò insieme a un tubino nero degli stivali fino al ginocchio. Era semplicemente divina.

"wow, Arabella, sei mozzafiato!" le disse Harriet con un sorriso a trentadue denti.

Era deciso. Arabella comprò quei vestiti, di certo avrebbe trovato l'occasione giusta per indossarli.

Le ragazze tornarono al campus, ormai era quasi sera. Arabella decise che era ora di mettere a posto la camera, non poteva sguazzare ancora in quel luridume. Iniziò a buttare tutta la spazzatura in un grande sacchetto nero, per poi passare ai vestiti, la cui metà la dovette portare in lavanderia. Dopo un'ora, era sfinita e si accasciò sul letto quando ricevette una mail: era il dottor Morgan.

Buonasera, signorina Arabella,
mi chiedevo come stessero andando le nuove cure e se avesse avuto degli effetti collaterali. Nel caso, non esiti a contattarmi. Le volevo anche chiedere se fosse disponibile per un altro appuntamento domani pomeriggio.

Le auguro una buona serata,

Dottor Arthur Morgan

La ragazza rispose subito. Non sapeva perché ma aveva trovato la ragione per andare in terapia ed essa risiedeva in quegli occhi oceanici che Arthur si ritrovava. Le stava iniziando a piacere ma si sentiva tremendamente in colpa per averlo solo pensato.

Ma sei pazza? È il tuo terapista, si rimproverò. D'altronde aveva ragione ma, come si dice, al cuor non si comanda. Non sapeva bene cosa fosse ma era una delle prime volte che provava attrazione per un uomo, specie non della sua età. La aveva rapita con il suo sguardo magnetico ed il suo volto segnato dal tempo.

Non poteva fare a meno di pensarci. Pensava al modo in cui i suoi occhi castani scurissimi si incastonavano con quelli azzurri dell'uomo. Pensava alle sue grandi mani, al suo corpo muscoloso che si intravedeva dal maglioncino che portava...Era l'uomo più bello che avesse ma visto.

LOVE ON THE BRAIN - arthur morgan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora