fiume in piena

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TW: ideazioni suicide

Quelle parole colsero Arthur come un fiume in piena. Non se lo aspettava, per niente. I suoi occhi blu oceano si spalancarono dalla sorpresa, la cartella gli cadde dalle mani.

"Morgan, lo sai quali sono le regole: non intrattenere relazioni con i propri pazienti. Lo sai che rischi il licenziamento? Ora, io non voglio fare la spia ma devi tagliare i ponti se non vuoi che questa cosa giunga alle orecchie di tutti"

"d'accordo" fu tutto quello che riuscì a dire. Aveva lo sguardo di un cane bastonato. Non aveva ancora realizzato il pericolo della situazione. La luce fredda della clinica lo faceva passare ancora di più per colpevole. Era fredda, come la sua anima in quell'esatto momento.

Arthur finì il suo lavoro controvoglia. Non era dell'umore, specialmente in quell'esatto momento in cui gli era caduto il mondo addosso insieme a quelle poche certezze che aveva racimolato nella vita. Arabella era diventata in solo un mese una parte fondamentale della sua vita, la sua ragione di andare avanti. Voleva proteggerla, voleva amarla fino ai confini del possibile. Aveva immaginato addirittura di mettere su famiglia con lei.

Si diresse fuori da quell'asettico posto per poi entrare nella sua vettura. Si sedette al posto del guidatore e urlò con tutta la forza che aveva in corpo. Doveva essere un urlo liberatorio anche se, di fatto, di liberatorio non aveva nulla. Si sentiva in una prigione, l'ennesima che il suo lavoro gli aveva costruito attorno. Così come per Eliza, anche Arabella rischiava di essergli portata via per la stessa ragione.

Scrisse un messaggio ad Arabella, uno di quelli chiari e concisi che recitava:

ci vediamo tra cinque minuti fuori dal campus. È importante.

Ad Arthur doleva il cuore a scriverlo ma sapeva che no c'era scelta. Si sentiva sconfitto. Sconfitto perchè aveva scelto di nuovo il suo lavoro come priorità, lasciando naufragare tutte le cose positive che aveva intorno.

Raggiunse il campus e vide quei quei ricci corvini che tanto gli piacevano. Stava tremando dal freddo. Il giaccone nero che indossava non era sufficiente a riscaldare il suo esile corpo. Le fece cenno di salire in macchina che fu poi seguito da un sospiro, un tentativo vano di rilasciare la tensione accumulata. Premette il pedale dell'acceleratore e la macchina partì.

"allora, che devi dirmi?" chiese Arabella con un'espressione angosciata sul volto, pallido dall'ansia. Sapeva che quando Arthur scriveva messaggi del genere non c'era niente di buono da aspettarsi. Le mani tremavano, un po' per il freddo, un po' per la preoccupazione.

"Arabella, l'altra sera a cena...un mio collega ci ha visti" disse con lo sguardo fisso sulla strada. New York innevata era uno spettacolo anche se non se lo poteva permettere in quel momento. Si sentiva come se avesse avuto un masso sulle spalle che non sarebbe andato via, mai. Il peso più grande che il lavoro potesse infliggere era la responsabilità e Arthur sapeva benissimo, in cuor suo, che aveva infranto questo precetto. Si sentiva in colpa, tremendamente in colpa.

"che cosa?" esordì la ragazza incredula. Gli occhi castani si spalancarono dalla sorpresa.

"già, è stata la mia stessa reazione poco fa"

"che intendi fare? Non mi lascerai, vero?" disse con gli occhi lucidi. Era ad un passo dal piangere.

"non è così semplice" esordì Arthur, in tono dispiaciuto.

"possiamo andare in un'altra città. Io mi laureerò lì e tu potrai trovare lavoro" disse con la positività tipica della giovinezza che si contrapponeva al realismo dell'età adulta e del carattere pragmatico di Arthur.

"Arabella, mi piacerebbe ma non posso. Io ho la mia vita qui, tu hai l'università. Entrambi non possiamo permettercelo e lo sai bene"

"allora vuoi buttare via tutto quello che abbiamo passato?" gli chiese con un tono di voce che lasciava trasparire una leggera rabbia mista a risentimento.

"credimi, non voglio ma non ho scelta"

Arabella iniziò a piangere a dirotto. Aveva appena sentito le parole che non si sarebbe mai sognata di sentire. Però, nell'anticamera del cervello sapeva che questo evento prima o poi sarebbe successo. Si sentiva come un agnellino indifeso in preda al lupo che incarnava il suo futuro, vuoto e triste quanto feroce e spietato.

"ferma l'auto!" esordì di colpo.

"Arabella, aspetta!"

"mi hai sentito? Ferma la cazzo di auto!"

E così fece. Erano arrivati al campus. Arabella scese dalla vettura senza neanche guardarlo negli occhi. Il suo profumo era rimasto imprigionato all'interno della carrozzeria, inebriando le narici dell'uomo per quello che temeva sarebbe stata l'ultima volta.

*
La ragazza si fiondò in camera, buttando la borsa in terra con disprezzo. Si levò gli stivali ed il giaccone con una certa fretta. Doveva farlo, doveva liberarsi della sua vita prima che quest'ultima la avrebbe mangiata viva. Aprì il rubinetto della vasca e dopo alcuni minuti si immerse, tremando dal freddo. Prese una confezione di paracetamolo, comprata prima in farmacia ed ingerì una grande quantità di pillole, abbastanza da renderla debole.

Iniziò a ripensare a tutta la sua vita a rallentatore come se fosse stato il suo ultimo giorno sulla terra. Le immagini correvano forte, offuscando la sua vista assieme alle lacrime. Tremava, ancora e ancora. Non poteva sopportare il peso del rifiuto.

Hai perso tutto! Sei una perdente, una schifosa perdente. Ti ha lasciato perché non gli importa di te, a nessuno importa niente di te! Sei inutile, un fallimento!

La coscienza le suggeriva, in modo sempre più prepotente, non frenata più dai farmaci che, all'insaputa di Arthur, aveva smesso di prendere da due settimane, pensando di non averne più bisogno. Solo in quel momento si rese conto dell'errore madornale che aveva fatto, ma ormai non poteva più tirarsi indietro.

Avanti, che aspetti? Fallo, ora! Liberati dal peso della vita, è la tua occasione!

"ma io sono ancora giovane, devo almeno laurearmi" pianse, chiedendo pietà alla sua parte più giudicante e spietata.

Lo devi fare, me lo devi... hai per caso paura?

"mai" mormorò con uno sguardo deciso sul volto, pronta a immergersi nella vasca. Si sentiva ibernata, sentiva come una strana sensazione di sicurezza che la avvolgeva in un tenero abbraccio. La morte non le faceva più paura, tanto non aveva più scampo. Vivere o morire aveva lo stesso peso per Arabella.

La vista era offuscata, come i suoi pensieri in quel momento. Si sentiva come se avesse avuto di nuovo tre anni e stesse facendo il bagno nella vasca di casa sua con le paperelle. L'acqua aveva un effetto calmante su di lei.

Era diretta proprio al posto in cui voleva stare di più.

LOVE ON THE BRAIN - arthur morgan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora