occhi cerulei

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Rispondi, ti prego, rispondi, pensò Arthur, implorando la ragazza mentalmente. Erano ormai passati tre giorni dal loro incontro imbarazzante e l'uomo non aveva avuto modo di parlare ad Arabella , in nessun modo. Il respiro era affannato, gli occhi fissi sul cellulare come se di lì fosse potuta uscire la ragazza che in poche settimane aveva sconvolto la sua vita.

"maledizione!" urlò prima di gettare con forza il dispositivo sul divano, sfogando su di esso tutta la sua frustrazione.

Non dovevo farlo, non dovevo accettare. Sono nella merda ora.

Rimuginò a lungo sulle sue azioni e le analizzò a fondo, pezzo per pezzo. Non aveva fatto nulla di male, infondo, era solamente andato prendere una cioccolata con una donna, da cui peraltro non era attratto. I suoi modi erano così volgari, così ostentati e pieni di sé. Arthur voleva una ragazza semplice che, però, sapesse tenergli testa, elegante e sensuale ma mai in modo esibizionista. Arabella era perfetta.

"cosa c'è papà?" gli domandò Isaac.

"niente, amore, sono stressato per il lavoro"

"pensa che la scuola è ancora più stressante. La maestra ci ha dato dieci pagine da studiare" sbruffò, prima di mettersi a ridere.

"che ne dici se andiamo a Central Park? Ci divertiremo un mondo" propose entusiasta Arthur.

"evvai!" esclamò il bambino.

Salirono nella bellissima macchina di Arthur per poi dirigersi verso la meta. In un attimo arrivarono. Il profumo dell'autunno si fece strada nelle loro narici: un misto di foglie secche i cui colori variavano dal giallo al rosso, e terriccio. Arthur amava l'autunno, pensava che fosse la stagione dei cambiamenti, della catarsi dell'anima da tutte le impurità e malefatte.

Si ricordava bene quell'autunno del 2019 in cui dovette ricostruire il puzzle della sua vita da solo, senza il tocco amorevole di sua moglie, strappatagli via dai suoi stessi tormenti e tribolazioni. Se lo ricordava bene e non lo avrebbe mai dimenticato. Doveva purificarsi dal senso di colpa che provava verso se stesso, verso Isaac e soprattutto verso la moglie, l'unica persona che avesse mai voluto proteggere.

Ma aveva fallito e non ci poteva fare niente. Però, del resto non poteva tirare i remi in barca e lasciare che quest'ultima cadesse nel baratro. Aveva ancora un figlio da proteggere, un lavoro da portare avanti e persone da aiutare e lo avrebbe fatto con impegno e diligenza.

"papà vediamo se riesci a pendermi"

"no, Isaac, sono stanco"

"aha sei vecchio" gli disse facendogli la linguaccia.

"a chi hai dato del vecchio?" rise, iniziando a correre verso di lui. E così entrambi cominciarono a giocare in tutta spensieratezza: non importavano i volti sconcertati dei passanti, non importava niente. Solo padre e figlio.

"preso!" disse Arthur, sollevando Isaac in alto per poi abbracciarlo teneramente.

"uffa!" sbruffò il bambino.

*
Arabella nel frattempo era a lezione, non si era accorta della miriade di messaggi e chiamate che tempestavano il suo cellulare o, meglio, aveva deciso di ignorarle.

"sono a un passo dallo scrivergli vaffanculo" disse Arabella ad Harriet, mentre si recava mensa con lei. Il suo volto era corrucciato, incupito dalla gelosia che provava. La sua mente continuava a tornare a tre giorni prima in quella maledettissima cioccolateria: chi era quella donna e soprattutto cosa ci faceva con Arthur?

La sua mente non riusciva a darsi pace. Vagava libera tra i pensieri noncurante dell'ambiente che la circondava. Arabella si sentiva presa in giro, usata. Ma d'altronde non aveva prove che i due stessero insieme quindi perché continuava a riempire di colpe Arthur? Forse era un mero modo per sfogarsi.

"avanti, Bel, saranno stati solo amici" la provò a rassicurare Harriet mentre addentava il suo toast.

"certo, perché gli amici si comportano in quel modo" disse sarcastica, roteando gli occhi.

"beh, almeno dovresti chiamarlo e farti spiegare tutto"

Harriet era come un salvagente per Arabella, il modo in cui faceva sembrare anche la più complicata delle cose coì semplice era un suo dono. Le piaceva mettere a proprio agio le persone e aiutarle a diventare la versione migliore di se stesse. Amava le persone, amava la vita...Era tutto ciò che Arabella non era.

"d'accordo, lo chiamerò ma solo perché me lo hai detto tu"

"sennò che avresti fatto? Avresti continuato a ignorarlo per il resto della tua vita?"

"forse" rise scherzando Arabella.

Una volta arrivata nella sua stanza, prese il caricabatterie e mise in carica il dispositivo, prima di cambiarsi e indossare il suo morbido pigiama. Aspettò un po' di tempo dopo di che afferrò il cellulare nuovamente e chiamò Arthur. Era nervosa, come se avesse dovuto tenere una presentazione davanti a centinaia di persone.

"pronto, Arabella" disse la voce metallica di Arthur.

"chi era quella donna ieri" esordì in modo più che diretto e pragmatico, in linea con la sua personalità.

"non è neanche un'amica...è la mamma di un compagno di scuola di mio figlio"

"ah quindi è così che si comportano gli amici" esordì sarcastica.

"Arabella, smettila per favore" il suo tono era serio.

"dammi un buon motivo, allora".

"non c'è niente tra noi! Non mi sta neanche simpatica. È solo una semplice conoscente, non nego che ci provi con me ma io non sono assolutamente interessato"

"va bene, sembri sincero. Ora vado, a dopo" disse prima di premere il pulsante rosso sullo schermo.

Si buttò nel letto: era sfinita. La mente era intrisa di troppi ricordi, troppe informazioni. Arabella aveva bisogno di una pausa e subito. Per ammazzare il tempo si mise a studiare, tanto non aveva gran che da fare. Pensò ancora e ancora a quegli occhi cerulei che tanto la avevano stregata e sorrise.

Nessuno la aveva mai vista sorridere in quel modo.

LOVE ON THE BRAIN - arthur morgan Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora