II

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Harry si passa il telo sul viso e si asciuga dalla pelle i resti dell'allenamento del pomeriggio. È il secondo di oggi, e visto che non è riuscito a calmare la mente da quando Lottie è finita in ospedale, è piuttosto certo che entro poche ore sarebbe tornato a faticare fino al limite dell'esaurimento.

«Harry.» Harry si gira al suono del suo nome, e vede avvicinarsi il tipo che ha adocchiato alcune volte in palestra. Osserva il suo aspetto emaciato e i suoi occhi infossati. Si getta il telo su una spalla e aspetta con pazienza di scoprire cosa voglia. La palestra in cui lavora e i suoi programmi di allenamento sono diventati piuttosto popolari in città, negli ultimi due anni, cosa che lo riempie al tempo stesso di imbarazzo e di orgoglio. È complicato, come tutto il resto che lo riguarda. Non c'è mai stato niente nella sua vita con cui non abbia avuto un rapporto di amore-odio, compresi i suoi più grandi risultati.

«Ehi, Harry,» ripete lui, tendendogli la mano. «Ho visto i tuoi corsi. La mia amica me li ha raccomandati.» Harry drizza le orecchie al sentire il nome di Jane, perché se è stata lei a raccomandargli la palestra significa anche che, come loro due, anche quel ragazzo è un ex tossicodipendente. Harry gli stringe la mano. «Jane è la tua sponsor?» Lui ritrae in fretta la mano, arrossendo e chinando la testa. Si sente assalire da una pesante ondata di empatia, sapendo bene che, per quanto si provi a riprendere in mano la propria vita, quella vergogna non se ne andrà mai del tutto. «Ehi, amico,» gli dice, in tono gentile. «Ci siamo passati tutti.» Ed è la verità. Sono proprio gli ex tossicodipendenti il motivo per cui sono nati i suoi corsi in palestra, ma sa per esperienza personale che non ha alcuna importanza a che punto sei del percorso di recupero, il disprezzo per te stesso e l'umiliazione continuano comunque a seguirti come un cattivo odore appiccicato addosso. 

«Cosa ti ha suggerito Jane?» gli chiede, cercando di farlo conversare. «Se la conosco bene come credo, ti ha mandato qui per fare qualcosa nel tempo libero.» Alla fine, lui risolleva lo sguardo. «Mi ha detto che avresti potuto mostrarmi tutti i corsi della palestra, così avrei potuto decidere quale potrebbe funzionare per me.» 

 «Di solito ti direi di prendere appuntamento, così potremmo sederci a parlare con calma, ma al momento sono libero. Se lo sei anche tu...» 

«Sì, grazie.» Annuisce con forza, e il suo entusiasmo lo fa sentire meglio. «Vorrei tanto uscire di qui già con un piano.» «Perfetto.» Harry accenna con la testa in direzione del suo ufficio e lui lo segue senza esitazioni. «Scusami se non te l'ho chiesto prima, ma come ti chiami?» Prende le chiavi dalla tasca e apre la porta. 

«Liam.» Harry spinge la porta ed entra, facendo cenno a Liam di sedersi sul divanetto lungo la parete di fronte all'ingresso. Si dirige alla scrivania, si accomoda sulla sedia e prende dei documenti, li inserisce in una cartellina e si gira in modo da fermarsi con la sedia davanti a Liam. Gli porge la cartella e una penna. «Ecco, questi moduli servono per iscriverti prima possibile, insieme a dei questionari che ti aiuteranno a decidere gli obiettivi da raggiungere qui dentro.» Liam prende tutto quanto, posando la cartellina sulla coscia che continua a fremere andando su e giù, e sfoglia i documenti. «In cosa questi corsi sono diversi da quelli delle altre palestre?» Gli chiede Liam. «Non sono diversi,» ammette. «La differenza è nelle persone che li frequentano e che li insegnano. Siamo tutti ex tossicodipendenti.» 

«Tutti?» domanda, scettico. 

«Tutti,» conferma Harry. «Se hai bisogno di un posto dove stare per evitare una ricaduta, questo è il luogo giusto.»

«Perché?»

«Perché cosa?»

«Perché è tutto così difficile?» La sua voce è molto più sconfitta ora. Si passa una mano tra i capelli. «Vorrei che sballarsi non fosse così tanto più facile che mantenersi puliti.» Ridacchiando, perché ha pensato la stessa cosa più volte di quanto sarebbe disposto ad ammettere, allunga una mano verso la cartellina. «Finito?» Liam annuisce, restituendogliela e abbandonandosi contro lo schienale del divano, con la testa rovesciata indietro a guardare il soffitto. Per qualche istante, restano insieme in silenzio. «Jane parla molto bene di te,» dice infine, interrompendo quel silenzio. «Dice che sei riuscito davvero a rifarti una vita.» Non è la prima volta che qualcuno glielo dice, soprattutto dopo averlo sentito da Jane. Non è riuscito a rifarmi una vita, nonostante quello che credono o dicono gli altri. E' solo riuscito a capire vagamente come continuare a esistere.

One Heartbeat At A TimeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora