𝗣𝗮𝗹𝗹𝗲 𝗮 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗮

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𝟏𝟗 𝐝𝐢𝐜𝐞𝐦𝐛𝐫𝐞

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Quando suona la sveglia sento la nausea pervadermi. E non si tratta di nausea mattutina, ma ansia da esami del sangue.

Maledetti aghi.

«Ma che ore sono?» James borbotta da sotto le coperte.

«Le sette e venti del mattino.»

Si gira a rallentatore verso di me. «Perché ti stai svegliando così presto?»

Oh nulla, vado solo a vedere se mi hai ingravidata.

«Perché ho una madre dispotica che ha deciso di andare a fare shopping presto e che passerà a prendermi tra venti minuti.» Mi strofino la faccia con le mani, cercando di svegliarmi. L'unica cosa che vorrei fare in questo momento è tornare a dormire.

«E da quando tua madre vuole uscire di casa così presto?»

Guardo James con un sopracciglio alzato. Perché cavolo deve fare così tante domande di prima mattina? Non saprò più che inventarmi a breve. «La vera domanda è: lei si è mai comportata in modo normale?»

James non ha nulla da ribattere, così con grande fatica sposto la coperta e scendo dal letto. Prima di uscire dalla camera mi avvicino al suo lato per lasciargli un bacio sulla fronte. «Torna a dormire, tu che puoi.»

Lascio una carezza a Cometa, che dorme per terra per evitare che durante la notte cada dal letto e si faccia male. Recupero dei vestiti e mi dirigo in bagno con lo stomaco che brontola.

Bambino o meno, dopo farò una colazione per tre.

Riempio il lavandino con acqua fredda e mi lego i capelli. Chiudo il rubinetto e immergo la faccia nell'acqua per svegliarmi. Dopo qualche secondo riemergo e inizio a prepararmi.

Una volta pronta scendo e vado all'ingresso per recuperare scarpe e giacca. Appena mi arriva un messaggio di mia madre esco e salgo in macchina.

«'Giorno» mormoro dai sedili posteriori.

«Raggio di sole! Pronta?» Mia madre mi lancia un'occhiata dallo specchietto e poi si rimette sulla strada.

«Hai fumato erba?» le chiedo. Con i miei genitori ogni dubbio è più che lecito.

Julie ridacchia. «Siamo solo entusiaste.»

Queste due pazze iniziano a discutere sulle cose che hanno tenuto dopo la nascita di Aisha e Jeremy – cose come culla e passeggino – e io scelgo di ignorarle. Non posso affrontare due donne esuberanti prima delle nove del mattino, sveglia da poco e con lo stomaco vuoto.

Tiro il cappuccio della giacca sopra la testa e mi sdraio sui sedili, nella speranza di fare un pisolino prima di arrivare in ospedale.

Una volta che siamo arrivate, l'unica cosa da fare è rimanere sedute in sala d'attesa finché un medico che non ha senso di autoconservazione non faccia il mio nome.

Mi ritrovo seduta tra mia mamma e Julie, che non hanno smesso un secondo di parlare. Si sono proprio trovate. Mia mamma mi mette una mano sulla spalla e mi guarda. «Hai fatto bene a chiamarmi, tesoro.»

Non mi giro verso di lei, ma continuo a fissare il vuoto. «In realtà mi sono già pentita della mia scelta.»

«Sì, è così che incomincia la genitorialità» ribatte.

Mi giro verso di lei a rallentatore. «Ti sei mai pentita di avermi avuta?»

«Sì, certo. A volte me ne pento ancora oggi.»

Alzo un sopracciglio. «Beh, wow, grazie mamma. È così bello sapere che sei una persona amorevole e affettuosa e che sei assolutamente fiera di essere madre.»

Julie si unisce alla conversazione. «Suvvia, Brianna, non te la prendere. È un bene se ogni tanto ti penti, significa che sei un bravo genitore.»

La guardo, confusa. «Davvero?»

A rispondermi è mia madre. «No, ti stavamo solo prendendo in giro per distrarti e non farti venire l'ansia. Infatti non ti sei nemmeno accorta che ti hanno appena chiamata.»

Ci alziamo tutte e tre in piedi, ma io provo a fuggire andando nella direzione opposta rispetto alla stanza dove mi attende il medico. Riesco a compiere solo un paio di passi, però, perché mia madre mi tira per il braccio e Julie mi tiene per le spalle.

Maledette.

Mi siedo e giro la testa dalla parte opposta rispetto al braccio dove verrà infilato l'ago. Nella stanza c'è un medico donna, che mi farà l'esame, e un ragazzo che sta facendo il tirocinio. Il ragazzo è in piedi davanti a me, osservando attentamente le mosse del medico e ascoltando quello che dice. Appena sento l'ago entrare, faccio uno scatto involontario con la gamba e colpisco nelle palle il tirocinante, che si accascia al suolo. Spalanco gli occhi e mi scuso, mentre mia mamma scuote la testa. «Poteva andarle peggio, poteva romperle il naso con un pugno.»

Appena ho finito, fuggo dalla stanza. Guardo le due donne che mi hanno trascinata qua. «Ora avrete l'onore di nutrirmi.» Le prendo a braccetto e le trascino al bar, con lo stomaco che brontola.

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Un Natale da sfigatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora