Il piano

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Passarono giorni, settimane o forse mesi dalla morte di mia madre e il mio piano stava prendendo sempre di più forma: insieme a Khristofor stavamo progettando tutto nei minimi dettagli; ero molto piccola quindi gran parte del lavoro spettò a lui. Mi aveva detto che aveva intenzione di procurarsi delle armi, della polvere da sparo e qualche amicizia in Russia e in America: non mi raccontò mai come facesse ad avere così tanti agganci, effettivamente non sapevo neanche il motivo per cui lui era stato rinchiuso nella fabbrica, Nonostante ciò decisi che non era il momento giusto di chiederglielo. A me spettava il compito di recuperare il necessario per uccidere Viktor e dare fuoco alla sua bella fabbrica, ovviamente dopo che tutte le persone al suo interno fossero state evacuate; effettivamente poteva sembrare una missione un po' troppo ottimista da affidare a una bambina di sette anni, ma Khris sapeva esattamente cosa stava facendo: in quanto intermediario della fabbrica entravo molto spesso in contatto con i corrieri e ce ne erano due in particolare con cui mi ero sempre confidata e con cui avevo un buon rapporto di confidenza. Inizialmente rivelai a uno dei due il mio piano con leggerezza, sperando forse di potermi sfogare o che potessero in qualche modo aiutarmi, solo allora realizzai che andando a spifferare ciò che avevo in programma di fare avrei potuto rovinare tutto: mi diedi della stupida e rimpiansi quel momento. Avrebbero detto tutto alla polizia? Fu quando il più grande tra i due ragazzi mi chiese di poter parlare personalmente con Khristofor che capii che forse avevamo trovato dei nuovi alleati. I corrieri in questione erano due fratelli, non avevo mai chiesto loro il nome e loro fecero lo stesso con me, però di sicuro si facevano notare: non solo perché Sembravano, come me, avere tratti stranieri, ma anche perché, nonostante la giovane età, portavano con loro quell'aura di terrore che di certo non potevi non notare; nella mia mente balenò subito un'idea, e, anche se infondata, non riuscivo a smettere di pensarci. Quei due avevano l'aria di chi aveva già ucciso delle persone.
Con il passare del tempo scoprii che erano orfani, la madre, francese, era morta di parto, mentre del padre non dissero mai nulla in particolare; guadagnavano da vivere facendo i corrieri per delle fabbriche illegali, rischiando più volte di essere beccati dalla polizia e dalla dogana negli aeroporti. Iniziammo a vederci sempre più spesso, architettando e pianificando sempre di più ogni volta che andavo a consegnare i carichi e, anche grazie alle loro conoscenze, siamo stati in grado di ottenere quattro nuove identità già utilizzabili negli Stati Uniti. Il più giovane, quello con cui avevo legato di più, si chiamava Makar Morozov, aveva 11 anni ed era un bambino dolce e un po' introverso; in Russia non erano molto comuni i tipi come lui, quindi chiunque l'avrebbe notato: seppure con la pelle chiara aveva i capelli castano scuro tagliati in un ciuffo a zig-zag, e, soprattutto, gli occhi più marroni che avessi mai visto, per certi versi mi ricordavano un po' il cioccolato anche se non sapevo che aspetto o colore avesse, affidandomi però ai racconti di Khris non potei fare a meno di notare la somiglianza. Era un po' più alto di me, il fisico snello ma non eccessivamente magro, le labbra sottili, il naso con una appena percettibile gobbetta e le piccole manine piene di galle.
Il più grande, che scoprii chiamarsi Grigoriy Morozov, aveva il suo stesso colore degli occhi e dei capelli, anche se questi erano corti come quelli di Khristofor, la pelle chiara, un fisico molto muscoloso, insolito date le scarse quantità di cibo di cui disponevano, e le labbra carnose ma sfregiate: una profonda cicatrice gli partiva infatti dallo zigomo fino ad arrivare a tagliare il labbro superiore; quello, insieme al naso rotto, gli conferivano un aspetto molto più cattivo rispetto a quello del fratello, e anche parlandoci, seppure mi trattasse sempre con gentilezza e rispetto, aveva da sempre suscitato in me una genuina paura ma allo stesso tempo rispetto.
Dopo che i due fratelli furono in grado di procurarci delle false identità, nonché finte autorizzazioni di genitori per poter prendere l'aereo, non fu altrettanto difficile rimediarci le armi di cui avevamo bisogno; i due ragazzi più grandi parlavano anche di questioni economiche, volevano derubare mio padre e trasferire i soldi in un conto aperto in America da un cliente dei due fratelli che doveva loro un favore. Di ciò francamente mi interessavo poco, non ne capivo molto e in quel momento non avevo intenzione di farlo: ci prefissammo però una data, dopo sei giorni dal compimento del piano e dopo esserci procurati tutto il necessario, io e Khris avremmo ucciso mio padre, mentre Grigoriy e Makar sarebbero entrati di nascosto in fabbrica evaquandola, per poi, una volta che noi saremmo usciti dallo studio di Viktor, darle fuoco. Da allora avremmo avuto due ore per prendere i documenti, le autorizzazioni e l'aereo, sparendo per sempre dalla Russia, con le nostre vecchie identità morte in quella fabbrica come Viktor. Non potevamo esitare. Tutti sapevamo benissimo che se avessimo dubitato o aspettato a partire saremmo stati presi dalla polizia e, data la situazione di corruzione all'interno del nostro paese, sapevamo altrettanto bene che se fossero riusciti a mettere le mani sul gruppo di orfani che aveva fatto fuori un famoso miliardario russo ci avrebbero uccisi molto velocemente. Tutto quello che mi rimaneva da fare era aspettare e tra pochi giorni tutto l'inferno sarebbe finito: Evgeniya Sergeev sarebbe morta ed Eveline Sergeant sarebbe nata.

Skull       (In correzione) (Dormer's series #1)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora