6. Ricevo una lettera indesiderata

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Quella sera non chiamai Lando.
Eravamo solo io e Beck, oltre ai suoi conati di vomito, ovvio.
Ci conosciamo da molto tempo, ma giuro, non l'ho mai vista in quello stato. Il modo in cui si sentiva e come ha anche perso i sensi, mi ha decisamente dato un'idea di quello che può esserle capitato.
Inizialmente pensavo si trattasse di qualche sostanza che le è stata messa in uno dei cocktail, poi Rebecca mi ha spiegato che ha solo esagerato con la combinazione alcool-erba scadente.
Non le ho fatto pesare il fatto che non mi ha per l'ennesima volta ascoltato, le sono solo stata vicina. Perciò le ho tenuto i capelli sollevati ogni volta che si fiondava nella tazza del bagno, oppure le dicevo come regolare il suo respiro nei momenti in cui non riusciva a smettere di piangere, in preda ad una crisi di panico, per poi finire stese sul letto, del tutto distrutte. Lei dormiente mentre io la tengo stretta stretta a me.
Mi ha ricordato i pigiama party che organizzava a casa sua durante le vacanze estive, quando eravamo solo due ragazzine del liceo, fatta eccezione per l'alcool o altro.
Malgrado non abbia avuto bisogno dell'aiuto di Lando, mi è passato più volte per la mente di chiamarlo.
Ad essere del tutto onesta, specialmente nei confronti dei miei sentimenti; il fatto che la tentazione di chiamarlo diventasse più che ricorrente, è molto probabile sia dovuto a ciò che ho provato tra le sue braccia in mezzo alla pista da ballo.
Tutt'ora non credo di aver bisogno di concentrarmi per visualizzare il tocco delle sue mani sui miei fianchi, tanto meno per ricordare la pressione del suo petto esercitata sul mio. Involontariamente ho archiviato tutto in un angolo remoto della mia mente, un angolo la cui accessibilità è in grado all'occorrenza di farmi rivivere quei momenti con le stesse sensazioni, se non con qualcosa di più intenso.
Mentre infatti Beck dorme raggomitolata in sé stessa, profondamente come testimonia il suo russare, io sono alle prese con i replay di quella sera, chiedendomi come sarei riuscita a rivederlo senza rimembrare i particolari di tutte le cose sconce che ho desiderato mi facesse, ogni qual volta mi parla con tono rassicurante.

Devo ammettere di avere un rapporto poco sano con l'alcool. Ogni freno inibitore si disintegra mentre la sostanza entra in circolo dentro di me, dandomi una disinvoltura tale da non riconoscermi più, capace di incontrare ragazzi pazzeschi e perdermi totalmente nel loro tocco.
Le conseguenze si riducono a così poco da non lasciare che le preoccupazioni prendano il sopravvento.
L'etica non è più un problema a quel punto.

Rimango sveglia tutta la notte studiando il soffitto, intorno alle cinque mi alzo dal letto cercando di fare meno rumore possibile, così che la mia amica potesse riposare per bene. Mi preparo il primo caffé della giornata e un'aspirina per il mal di testa, quest'ultimo che mi martella le tempie ripetutamente privandomi della carica necessaria per far partire quella stessa giornata.
Accendo il televisore, giro qualche canale non trovando nulla di interessante, fino a quando davanti a me si materializza la figura del pilota che non mi ha concesso il sonno quella notte. Per poco la tazza di caffè non mi scivola dalle mani, neanche fosse incandescente.
Lando Norris saluta dei fan fuori dall'hotel dove alloggia, mostra un sorriso diverso da quello che rivolse a me ieri sera, meno spontaneo ma comunque gentile. Una ragazzina riesce a saltargli addosso ma lui non la allontana, lascia che l'abbracci senza poggiarle un solo dito addosso. Così da ricambiare senza essere invadente.
Il cellulare poggiato sul tavolino davanti a me mi attrae; magari quello è un segno per indicarmi di chiamarlo. È quello a cui ho pensato per tutto questo tempo in fondo.
Mi faccio coraggio e premo il dito sul suo contatto, registrato da lui stesso la sera prima.
Comincia a squillare e l'attesa mi uccide allo stesso tempo. Mi rendo conto di non sapere nemmeno cosa dire con esattezza, quali parole usare, quale tono assumere.
Nulla, vuoto cosmico.
Inoltre non sono esattamente quel tipo di persona che è capace di improvvisare dei dialoghi con dei ragazzi, a meno che si parli di trattare con la gente a lavoro.
Insomma sono una giornalista, mica ho la stoffa dell'attrice!
D'un tratto sento dall'alto capo del telefono «Pronto?».
Risentire la sua voce mi agita, ora peggio di prima, e non so da dove cominciare.
Mando giù un altro sorso di caffé ritrovando la voce e la calma necessaria, individuo le parole adatte ma vengo interrotta.
«Lydia, è Lando quello con cui stai parlando?!» mi volto verso la voce e contestualmente chiudo la telefonata.
Rebecca se ne sta a braccia incrociate e occhi sgranati, davanti l'entrata del salotto.
«Ehm...no no hanno solo sbagliato numero!» le mie abilità di attrice non sono mai state peggiori di così.
«Ma se stai guardando pure il notiziario con la sua faccia in primo piano!».
Prova non del tutto schiacciante, ma deciso ugualmente di cambiare discorso nella speranza che ci caschi.
«Ti vedo bene, Beck, sono contenta per te!».
Non è del tutto una scusa, perché la mia amica sembra davvero stare meglio rispetto alla sera precedente e la cosa mi rasserena sul serio.
«Mi sento meglio, in effetti. Ora però, non provare a fare come tuo solito».
Mi porto la tazza alle labbra fingendo di non sapere di cosa stia parlando «Come mio solito? Scusami, ma proprio non ti seguo».
«Sai benissimo a cosa mi riferis-» il campanello suona bloccando entrambe.
Credo di essere diventata devota ai campanelli da oggi.
Un oggetto è davvero in grado di salvarmi da questo interrogatorio? Per quanto può sembrare assurdo, è proprio così, infatti Rebecca mi lancia un'occhiataccia come per dirmi "per questa volta ti sei salvata il culo, ma non finisce qui".
La sua figura si allontana dalla stanza, non si sente nulla quando apre la porta così le chiedo «Chi è?».
Ancora silenzio.
Poi dopo qualche secondo la vedo riapparire con una busta bianca tra le mani «Era il postino...» gira la busta per vedere chi è il mittente «È una lettera da-» gliela strappo dalle mani ora più curiosa che mai, ma non appena leggo il nome sul retro mi paralizzo.
Avrei preferito la solita e smielata lettera d'amore da parte di uno spasimante. A chi non piacerebbe?
Ma questo, proprio non me l'aspettavo.
La busta giungeva da Londra e scritti a stampatello i nomi di mio fratello e della sua ragazza.
Sapete, non ci troverei nulla di male, potrebbe essere una comune lettera per aggiornarmi su come vanno le cose da loro. Anche se devo ammettere sarebbe inusuale da parte sua, a mala pena mi scrive un SMS, figuriamoci se avesse improvvisamente voglia di scrivermi una lettera.
Inoltre a mettermi sull'attenti, sono una serie di dettagli di cui la busta rischia di esplodere. Rifiniture dorate e disegni floreali, la grafica dei gigli che si intrecciano alle lettere, in un font troppo pacchiano per una semplice lettera ad una sorella.
Un brivido mi passa velocemente da un punto all'altro della spina dorsale, mentre la scritta “Per Lydia Linetti e accompagnatore” si ripete come un disco rotto davanti i miei occhi.
Rebecca si siede a fianco a me, sul divano, mi porta un braccio tra le spalle stringendomi forte.
Ho già capito di cosa si tratta, ma allora per quale motivo non provo lo stesso entusiasmo della mia migliore amica?
«Su aprila, che aspetti!» mi risveglia dallo stato di shock.
Dalla busta fuoriesce un cartoncino pallido ed estremamente elegante per i miei gusti.

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