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Da quando Fukuzawa era entrato nel maniero, dove sarebbe stato imprigionato e al contempo curato, aveva avuto l'impressione che la strada per raggiungere l'ufficio del direttore fosse decisamente lunga. 

Il corridoio era freddo, non circolava alcun filo d'aria e l'odore era nauseabondo. Le pareti ingiallite a causa del tempo e dell'umidità, probabilmente; c'erano anche dei buchi come se qualcuno ci avesse tirato un pugno contro e delle vecchie scie di sangue.

"La più recente risale a tre o quattro giorni fa."
Pensò Fukuzawa, grazie al suo sguardo attento di assassino.

La meta sembrava così distante, forse perché si era dovuto fermare più e più volte a causa dei controlli e le numerose porte sbarrate a impedirgli il passaggio.

Ogni volta che si trovava di fronte ad un'alta parete di metallo, doveva aspettare che le guardie visualizzassero prima i documenti, riconoscessero i suoi accompagnatori e aprissero la porta dopo aver cercato la chiave corretta nel ricco mazzo da loro affidato.

Nonostante Fukuzawa avesse quasi perso completamente l'uso delle mani, i polsi - circondati da delle manette troppo strette per la sua misura -, gli dolevano ugualmente.

Quelle sottospecie di bracciali di metallo, gli avevano già lacerato la pelle - peggiorando già le sue attuali condizioni -, e il sangue gli aveva sporcato la camicia grigia che sarà costretto a tenere fino a quando non verrà liberato.

Al petto stringeva tutto ciò che gli era stato concesso di tenere: una felpa, una coperta, effetti personali per la sua igiene e una sciarpa gialla con dei vari ricami cuciti sopra. 

Finalmente, la porta dell'ufficio del direttore era di fronte a lui.
Attese, le guardie che l'avevano accompagnato fino a lì bussarono, poi lo fecero accedere solo dopo che dentro si udì un "fatelo entrare". 

Solo una guardia accompagnò Fukuzawa all'interno dell'ufficio, anche se, come mise piede dentro, venne cacciato dal direttore con un gesto della mano.

L'argentato non si stupì di questa richiesta silenziosa, si mise seduto davanti la vecchia scrivania del direttore e aspettò in silenzio cosa avesse da dirgli, prima di venire buttato con gli altri pazienti.

Non che fosse così entusiasta gi conoscerli o fare nuove amicizie, ovviamente. Non era un suo interesse.

- Fukuzawa, mi dispiace per ciò che ti è successo. -
Parlò Fukuchi, ormai certo che nello studio erano soli, senza nessuna guardia che potesse assistere alla conversazione.

Fukuzawa rimase inespressivo, lasciandosi liberare i polsi dal suo amico. 
Non emise comunque nessun sospiro di sollievo, si limitò a osservare i polsi arrossati e ricoperti di ferite fresche.

- Chi l'avrebbe mai detto, che un giorno saresti finito qui? 
Siamo stati per anni compagni di combattimento, e adesso, proprio per questo, il governo ha deciso di rinchiuderti in questo postaccio. -

Fukuchi cercava di alleggerire la tensione, tant'è che abbandonò i suoi modi formali, sedendosi sulla scrivania, dopo averla raggirata per trovarsi più vicino e di fronte al suo amico.

Fukuzawa tenne per tutto il tempo lo sguardo basso. Non faceva altro che osservarsi le mani: pallide, fredde, scheletriche, ricoperte da numerose cicatrici di ferite e punti.
Sembravano le mani raccapriccianti che si vedevano nei film dell'orrore, mancava solo che si annerissero le unghie per ritenerle identiche.

Gli facevano male, ma non riusciva a farle reagire.
Infatti, nonostante cercasse di bloccare il flusso di sangue da un polso, portandosi una mano sulla ferita, fu inutile. La sua presa era troppo debole e inutile.

Fukuchi gli mise gentilmente un panno sopra.

- Anche se sei rinchiuso qui e questo è il mio lavoro, comunque, ogni volta che vorrai, potrai parlare con me. Basta che fissi un appuntamento per un motivo qualsiasi, e io farò in modo di disdire i miei impegni per accoglierti qui. -

Dopo quelle parole, Fukuzawa sollevò la testa per guardare il suo amico d'infanzia, senza presentare alcuna gratitudine o emozioni a riguardo.
Il suo sguardo era spento, non luccicava nemmeno di speranza.

- Non fare il tenero con me. Fai il tuo lavoro, so badare a me. Non voglio metterti nei guai. -

A Fukuchi sfuggì un sorriso.
- Ligio al lavoro, come sempre. -
Commentò, vagamente felice. Poteva scommetterci che il suo amico, nonostante le sue condizioni e il tempo perso assieme, non era cambiato di una virgola.

Il direttore si alzò e andò dietro la scrivania, prendendo da un armadietto alcuni documenti. Non dovette nemmeno mettersi a cercarli con fatica, erano in cima alla fila dei numerosi fogli presenti.

- Non sono io a volerlo, ma è richiesta una tua firma.
Il governo ti ha mandato un contratto, dato che sei ancora sotto il suo controllo seppur ti hanno gettato qui, vogliono che firmi un accordo che non uscirai e non farai nulla che vada contro le loro regole, fino a quando ti sarai ripreso, poi potrai ritornare ai tuoi passi e svolgere la tua vita com'era prima. -

Fukuzawa sollevò lo sguardo sulla scrivania, Fukuchi gli strisciò davanti il contratto e la penna, dopo averla tinta nell'incontro.

Dopo un momento di esitazione, l'argentato allungò il braccio verso lo strumento e cercò di afferrarlo, anche se questo scivolò immediatamente via dalle sue dita e rotolò lontana dal foglio.

Il direttore fece per recuperarla, ma la voce del suo amico lo interruppe subito.

- Ce la faccio. -
Sibilò a denti stretti Fukuzawa, che prese con entrambe le mani la penna, tenendola tra i suoi polsi e dopo essersi posizionato davanti al foglio, cominciò a scrivere.

La calligrafia era come quella di un bambino alle prime armi, l'inchiostro aveva quasi del tutto ricoperto la firma indecifrabile di Fukuzawa, e varie sbavature si erano formate su tutto il pezzo di carta. Come se non bastasse, la punta affilata della penna emetteva il suono agghiacciante del tagliava il legno che c'era sotto il foglio.

Quella firma la stava tracciando con troppa rabbia.

L'argentato dovette metterci tempo, impegno e sudore per completare la sua firma. Appena finì, mollò la penna come se bruciasse e le sue dita si fossero ustionate.

Fukuchi prese il contratto, lo piegò, lo posò sotto alcuni fascicoli già presenti sulla scrivania e guardò un'ultima volta il suo amico, con premura.

- Fukuzawa, ricorda... -

- La tua proposta è sempre valida, lo so. -
Sentenziò l'altro, nervoso, si alzò dalla sedia e pose le mani per farsi rimettere le manette.

Il direttore lo seguì dopo un lungo sospiro, ma ripose quegli oggetti della tortura in tasca. 

Prima di aprire la porta, guardò con più serietà l'amico.

- Qui non sarai stavolta il più forte. Ci sono pazienti e detenuti buttati in questo postaccio che non giocano a fare i malviventi, sono davvero pericolosi.
Quello che intendo è: stai attento.
Ti voglio vedere uscire da qui vivo, mi accerterò che starai bene. -

Fukuzawa e Fukuchi si guardarono per una manciata di secondi negli occhi, solo dopo che l'argentato annuì in silenzio, la porta gli venne aperta e si ritrovò di nuovo nelle mani delle guardie, diretto prima in infermeria, per poi essere guidato verso quella che sarebbe stata la sua nuova stanza, o cella.

Intruder [BSD - FukuMori]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora