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I dormitori del maniero, al contrario del piano dove era stato situato Fukuzawa, apparivano sempre più grigi e cupi, man mano che si scendevano le scale.
E le guardie, decisamente più sveglie e attente.

Una volta arrivati al primo piano, Ranpo parve completamente ignorare le scale che continuavano a scendere.

- Più si va giù, più pericolosi sono i pazienti. Lì i controlli sono un po' più rigidi.
Sai, si dice che ci siano i peggior criminali del Giappone. Ma io non credo. -

Parlò Ranpo, avendo notato l'uomo che aveva soffermato lo sguardo lungo le scale che sparivano man mano con il buio, senza far capire quando finissero.
Era facile poter immaginare due occhi scrutarti nell'angolo più buio, o sentire urla e risate contorte come se quelle scale ti portassero davanti il portale dell'inferno.
Il loro silenzio lasciava troppo a pensare, a chiunque, se ci si metteva a osservarle a lungo.

Fukuzawa decise di ignorarle e seguì il ragazzino, che lo portò fuori, nel giardino dell'edificio.

Il sole stava tramontando e le nuvole del cielo erano diventate di un tenue color arancio, mentre il cielo si stava rendendo sempre più scuro.

C'erano vari pazienti impegnati a svolgere attività all'aperto, nonostante il freddo.
Alcuni giocavano a pallone, altri isolati sui tavoli a giocare a scacchi. I più anziani passeggiavano in silenzio nei piccoli sentieri dove cresceva qualche ciuffo d'erba.

Le guardie vigilavano il posto con un taser attaccato alla cintura e la mano sempre vicina su di esso, restando lungo il perimetro del giardino.

Se alle loro spalle c'era il maniero da dove erano appena usciti, davanti si presentava un alto muro che terminava con dei fili spinati.

- Questo è il posto più sociale che c'è. Nonché il più noioso. -
Disse Ranpo, con un sospiro scoraggiato.
- Non riesco mai a trovare un bravo avversario a scacchi e a carte, perdono tutti in un niente. -

- Non hai provato qualche altra attività? Non so, motoria? -
Chiese Fukuzawa, indicando con lo sguardo i più giovani impegnati a giocare a palla.

Ranpo scosse la testa, non pareva minimamente interessato a quel genere di attività, come se lo scocciasse la sola idea di toccare una palla.
- Non c'è niente di divertente lì, e poi si spintonano tutti. Verrei schiacciato in un niente, io voglio pestare cervelli. -

Dopodiché il corvino allungò un sorriso sghembo.
- Tu piuttosto, sei alto e forte, potresti fare qualcosa per tenerti in movimento. Quanti anni hai? -

Fukuzawa rimase qualche secondo in silenzio, stava imparando a pazientare riguardo l'arroganza del giovane.
- Trentadue. -

- Ah, beh, allora sei già vecchio. -
Commentò infine Ranpo, perdendo l'interesse.
- Comunque, fidati, qui sono tutte delle pecore. Dicono che qui ci sono i peggiori pazienti e detenuti che si possano mai avere, ma ragionano come dei moscerini. -

L'argentato osservò il corvino per qualche istante, in silenzio, prima di proferire parola.
- Ti stai sminuendo? -

- Assolutamente no! -
Ribatté offeso, Ranpo.
- Dico che merito più di questo posto, non posso credere di essere rinchiuso qui. Ti posso assicurare, che saprei risolvere un piano di fuga in poco tempo. -

- E perché non sei ancora evaso? -

Ranpo non gli rispose, si limitò solo a osservare le mani che l'uomo teneva nascoste in tasca.

- Quando mi dirai ciò che ti è successo, te lo dirò. -

Tra i due ci fu un po' di silenzio, Ranpo continuò a portare Fukuzawa in giro per il posto. Non c'era molto da contemplare.

Videro tutto il giardino, compresa la serra dove c'erano i soggetti più deboli a curare delle piante con delle espressioni incantate. Passarono poi lungo la mensa, l'infermeria e vennero cacciati via dagli spogliatoi delle guardie, dato che Ranpo aveva insistito più volte che quasi sempre non c'era nessuno. Quasi.

Il giro fu breve, avevano molte limitazioni dei posti dove potevano andare. Passarono anche davanti l'ufficio del direttore, e a Fukuzawa vennero in mente le parole che Fukuchi gli aveva detto, prima di lasciarlo andare.

- Cosa facevi prima di finire qui? -
Domandò Ranpo.

Fukuzawa si mise seduto su una panchina del giardino, abbassando le palpebre.
- Dimmelo tu. Scommetto che ci sai arrivare da solo. -

Il corvino si portò una mano sul mento, pensieroso. Ci vollero pochi secondi prima di rispondergli.

- Assassino. -

Annunciò Ranpo. Sembrava essere stato detto quasi in modo accusatorio, mancava solo che il ragazzo gli puntasse il dito con espressione inorridita.

- Ma non un assassino qualunque, o non saresti finito qui, soprattutto non saresti stato valutato come un soggetto poco pericoloso. Sei protetto.
Riguarda le tue mani? -

Fukuzawa alzò lo sguardo, incrociando per la prima volta gli occhi verde smeraldo del ragazzino. Sapeva il fatto suo, per uno della sua età.

- Tu invece, cosa facevi prima di finire qui? -

Ranpo sorrise, pieno di sfida.
- Dimmelo tu! -

L'uomo sospirò, non era in vena di pensarci troppo. D'altronde, non capiva nemmeno perché Ranpo gli stava ronzando fastidiosamente intorno da tutto il giorno. Non aveva altri amici con cui stare? A guardarsi intorno, Fukuzawa era certo che c'erano pazienti decisamente più giovani del sottoscritto.

- Non sono astuto quanto te. Avrò bisogno del mio tempo, per capirlo. -

- Come preferisci. -
Sospirò Ranpo, deluso.

- Ottantuno! -

In lontananza si udì una voce, attirò l'attenzione di entrambi i ragazzi.

Una guardia gli stava andando incontro, fino a fermarsi non appena incrociò lo sguardo del più piccolo.
- Ottantuno, con me. È l'ora della visita. -

Ranpo attese che la guardia si allontanasse, i suoi occhi si socchiusero e i suoi smeraldi si erano spenti, smettendo di luccicare d'astuzia. Fukuzawa lo notò, come anche il fatto che stavolta il corvino non proferì alcuna parola appena si dileguò via, lasciandolo solo sulla panchina del giardino.

Fukuzawa rimase a osservarlo, finché il minore non sparì all'interno dell'edificio. Non sapeva se doveva preoccuparsi o meno, forse nemmeno doveva pensarci troppo. Non lo conosceva, e finalmente aveva ricevuto il sollievo di essere lasciato solo.

Tirò fuori le mani dalle tasche e se le guardò, provò a muoverle ma nessuna delle dita obbediva ai suoi comandi, sapevano solo tremare pateticamente.

- Buonasera! -

Fukuzawa non era proprio dell'umore di star ad ascoltare un altro paziente del posto, aveva già i suoi problemi, non voleva starne a sentire altri.
Era già partiti con il pensiero che tutti volessero fare dei piagnistei e mostrare quanto erano pericolosi e geniali quando erano liberi.

Alzò il viso, incrociando gli occhi ametista di un uomo dai lunghi capelli neri, che poteva quasi apparire un angelo sceso dal cielo, in quel momento.
La luce debole del sole era posizionata precisamente sulla cima della sua testa, facendogli da aureola e illuminando la sua figura.

Lo sconosciuto aveva un camice bianco addosso, si inginocchiò di fronte al giovane argentato e gli prese delicatamente la mano, guardandola come se potesse da lì a poco svolgere un miracolo.

Fukuzawa si sentì un momento in soggezione, si era quasi dimenticato che si trovava in un luogo dove brulicavano chissà quali malati di mente, perciò doveva stare attento a chiunque gli si avvicinasse e ritrasse la mano, per l'ennesima volta in tutta la giornata.

Sul camice dell'uomo, non c'era scritto alcun numero, portava solo una piccola spilla con inciso "Dottor Mori Ogai."

- Non c'è bisogno di essere così timidi. -
Lo stuzzicò il medico, guardando Fukuzawa dal basso e inginocchiato tra le sue gambe.

Mori gli porse la mano, coperta da un guanto bianco, tinto di sangue sulle punte delle dita.

- Mori Ogai, uno dei medici di questo postaccio. Mi dia la mano. -

Intruder [BSD - FukuMori]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora