Capitolo 28

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“Et voilà” Dice Luke mettendomi davanti un piatto con una merendina “Immagina che sia una bella bistecca” Faccio una smorfia “Non mi piace la carne” Dico prendendo la merendina e dandole un morso.
Luke fa una faccia scioccata “Aspetta...cosa?!” Aggrotta le sopracciglia “Mi stai dicendo che non ti piace la carne?”

Melodrammatico.

Annuisco cercando di trattenere un sorriso.
“Beh non so come dirtelo Thor.... non penso che possiamo essere amici dopo questa notizia”
Mi porto una mano al cuore, fingendomi ferita. Ci guardiamo per qualche secondo e poi scoppiamo a ridere.

"No sul serio, comprendo l’amore che provi per gli animali, ma sappi che non lo condivido” Scuoto la testa “No, è una giustificazione più carina della mia, non mangio la carne perché semplicemente non mi piace” Scuoto le spalle “Sei fortunata che qui non ci sia il mio fratellino, lui non ti avrebbe perdonata”.
Sorrido pensando a Noah, dev’essere stata dura per Luke...se non è qui posso solo pensare che sia... Beh ad ogni modo non credo sia il caso di domandarlo.

“Come si chiama?” Chiedo invece “Michael, ha 10 anni” Decido di non fargli notare che ha usato il presente.
“Tu invece? Fratelli o sorelle?” Mi domanda lui “Solo Noah, il mio gemello” A questa parola fa una smorfia e lo guardo confusa “Oh no no, questa città non è abbastanza grande per due persone a cui non piace la carne, dovrebbe essere illegale!”
“In realtà Noah adora la carne” Dico ridendo “Grazie al cielo!”.

Il modo in cui con Luke ridere sembra così facile ancora mi sorprende. L'unica persona che sia mai riuscita a farmi sentire così serena e spensierata è Noah, non ho mai avuto amiche a cui ero particolarmente legata, più per autodifesa che per scelta. Non potevo rischiare di affezionarmi troppo a persone che non erano interessate a me. Ma con Luke, mi sento come se finalmente io abbia trovato un amico, uno di quelli che ti fa ridere fino ad avere il mal di pancia. Uno di quelli che ti fa dimenticare persino perché stavate ridendo.

Subito dopo la nostra conversazione in bagno Ethan è andato nello studio. Sono tentata di salire e provare a bussare, ma Luke aveva detto che non ci fa entrare nessuno quindi non voglio disturbarlo o metterlo in difficoltà.
Eppure la curiosità continua a tormentarmi, vorrei vedere com’è fatta la stanza, cosa c’è dentro. A volte Ethan ci trascorre pomeriggi interi, cosa fa?
Mi domando che lavoro facesse suo padre, ha a che fare con quello che Ethan fa lì dentro?

Immagino che non lo saprò mai. Non sembra volerne parlare, quindi non glielo chiederò. Forse passa del tempo lì per nostalgia o perché sente la mancanza di suo padre. Magari entrarci lo aiuta a sentirsi più vicino a lui.

Io non sono mai stata forte abbastanza da tornare nella stanza di mia madre... O quella di Noah.

Non voglio tornare in camera quindi vado in salotto, potrei leggere qualcosa. Ethan mi ha dato dei libri, dice di averli presi dalla soffitta, prima piaceva molto leggere anche a lui, ma non mi ha detto perché ha smesso di farlo.

Non mi sorprendo facilmente, non più, ma se c’è una cosa che non mi sarei mai aspetta è sicuramente di trovare Eric accovacciato a terra accanto a Balto nel salotto.
Gli passa una mano sul dorso sorridendo. Non lo avevo mai visto sorridere prima d’ora, Balto scodinzola.

Sembra quasi un’illusione, rimango sulla soglia appoggiandomi allo stipite della porta non volendo interrompere il momento.

Ci mette un po’ ad accorgersi che qualcuno lo sta osservando e non appena incontra il mio sguardo il suo sorriso scompare sostituito da un’espressione dura e fredda. Contrae la mascella e lascia cadere la mano con cui accarezzava Balto.
Si alza lentamente, avvicinandosi e superandomi.

Sospiro e torno seria, non mi ero nemmeno accorta che stavo sorridendo.

“Eric” Si ferma ma non mi guarda, io mi giro verso di lui staccandomi dalla porta “Perché mi odi?”
Non risponde, non si muove “Ho fatto qualcosa che non va?” Attendo qualche secondo convinta che continuerà ad ignorarmi.

Poi però si gira e mi guarda dritta negli occhi facendomi venire i brividi.
Tentenna e per un attimo la sua espressione si addolcisce e torna sereno, come poco fa con Balto, ma poi sembra ricordarsi di quanto mi odia.

“Sei rimasta” Dice con tono duro.
Se ne va lasciandomi in mezzo al corridoio come un’idiota, incatenata con lo sguardo al punto in cui si trovava poco fa. Sento i suoi passi sulle scale e la porta della sua camera sbattere.

Sei rimasta.

Il fatto che non volesse che io rimanessi non era un segreto, ma non riesco a capire il perché.
Vorrei chiederglielo e sono tentata di seguirlo, bussare alla sua porta e non andarmene finché non mi darà delle risposte. Ma rimango qui, ferma, sperando che non lo incontrerò spesso, nonostante viviamo nella stessa casa. Da vera vigliacca.

Scrollo le spalle, cercando di liberarmi delle sue parole e vado in camera, non sapendo cos’altro fare.
Quando ero piccola, se non riuscivo a dormire, accendevo un carillon. C’era una ballerina in cima che quando giravo la manovella si esibiva per me in una sequenza di interminabili piroette, e la dolce melodia familiare invadeva la stanza.

Quello fu l’ultimo regalo che ricevetti da mio padre prima che scomparve.

Non ero un’amante della danza e sicuramente non ero in grado di ballare, ma guardavo il soffitto con le stelline luminose e mi addormentavo sognando. Mi ritrovavo sempre in un grande prato a danzare sotto la pallida luce della luna accompagnata dalla canzone del carillon suonata da un’intera orchestra invisibile. Non riuscivo mai a capire da dove provenisse la musica, semplicemente era lì, sopra di me, di lato, tutt’intorno. Mi accompagnava mentre danzavo senza stancarmi mai. Era il mio posto preferito.

Quando mio padre scomparve imparai in fretta che il carillon non mi avrebbe più aiutato.
Ero sempre sullo stesso prato, ma non c’era la musica, solo le mie grida. Pronunciavo il suo nome, percepivo le labbra muoversi, ma il suono non fuoriusciva mai da lì. Era ovunque intorno a me, come la melodia del carillon, come un eco lontano. Io correvo guardandomi freneticamente intorno, ma lui non era da nessuna parte e io non smettevo mai di correre.

Tutte le notti lo stesso sogno, e così, smisi di accendere il carillon. Poi smisi di osservarlo impegnandomi ad evitare con lo sguardo quell’angolo del comodino. Infine, lo tolsi nascondendolo in una scatola che riposi nell’armadio.

Non ricordo quand’è stata l’ultima volta in cui lo vidi, ma ricordo la vista della polvere sulla scatola che non toccai più per i seguenti sei anni.

Ricordo com’era fatto, il tutù lilla, i brillantini sul bordo del palco, la corona sulla testa della ballerina.

E ricordo il momento in cui quel sogno cambiò ancora con me nella radura, chiamando Noah e cercando disperatamente di trovarlo in mezzo agli alberi, inseguita dagli zombie.

Così rimango ancora una volta sdraiata senza realmente impegnarmi per provare a dormire, non sono più la bambina impaziente di tornare su quel prato.

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fun fact
non mi piace la carne
mi piace solo quella che non sa di carne, tipo quella panata, fritta, gli affettati ecc.

qualche sguardo in più sul passato di lily

ps non dimenticatevi del carillon ;)

-emme <3

L'inizio della fineDove le storie prendono vita. Scoprilo ora