Capitolo 43

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Mi sveglio di soprassalto, il fiato corto.
Tossisco un paio di volte ma non riesco ad aprire gli occhi che sento pesanti. Cos’è successo? Cerco di muovermi, di portarmi le mani sul viso, ma sono bloccata.
Provo di nuovo e capisco di essere legata, ma sono seduta. I polsi mi fanno male, stretti dietro la schiena.
Le gambe sono indolenzite e credo di avere un piede addormentato.
Provo a sbattere le palpebre un paio di volte ma non vedo nulla, è completamente buio intorno a me.
Dove sono?
Il panico comincia a crescere dentro di me e provo a dimenarmi nella speranza di riuscire a liberarmi, ma è inutile.
Comincio a sudare freddo.
Non sento nessun rumore ma il battito del mio cuore sembra rimbombare sulle pareti che sento stringersi intorno a me.
Tutto quello che ricordo è che dovevo partire e sono uscita per chiudere lo sportello della macchina. Poi vuoto totale.
Rimango immobile, arrendendomi.
Sento qualcosa di liquido scivolare lungo le mani. Devo essermi ferita nel tentativo di liberarmi, i polsi pulsano.
Non so quanto tempo passa, ma a me sembra un’eternità.
Sento dei rumori, ma non nella stanza.
Una serratura scatta, poi un’altra e un’altra ancora.
La porta, che scopro essere di fronte a me, si spalanca e un’ondata di luce irrompe nella stanza accecandomi. Chiudo gli occhi che lacrimano e cerco di ridurli a due fessure per riuscire a vedere qualcosa.
Nessuno parla ma sento dei passi, delle persone sono entrate nella stanza.
Quando accendono la luce la situazione non può che peggiorare; serro gli occhi, la testa che gira.
Poi mi rendo conto che la nuca mi fa male, e ricordo tutto.
Ricordo le mani che mi immobilizzavano, ricordo di aver provato ad urlare, ricordo la botta dietro la testa, tutto in una successione di immagini che mi tolgono il fiato.
Il tonfo della porta che viene chiusa mi riporta alla realtà e sento gli occhi inumidirsi ma trattengo le lacrime. Non posso piangere. Non voglio rendermi più vulnerabile di quello che già sono.
Chi erano gli uomini che mi hanno rapito? Cercatori? Mi hanno portata dall’esercito? Ripenso al ragazzo al posto di blocco, tutto sommato, almeno la mia cattura è stata meno dolorosa.
“Elizabeth Perks” Dice qualcuno, la voce profonda, roca.
Ha usato il cognome di mio padre. Non lo utilizzo più da anni, ho preso quello di mia madre quando lui è scomparso.
Apro gli occhi piano cercando di mettere a fuoco le figure di fronte a me.
Mi trovo in una stanza completamente bianca, dal pavimento al soffitto, che non fa che amplificare la luminosità che ancora mi fa lacrimare gli occhi. Li sbatto velocemente.
Non vedo molto, legata qui, ma non sembra tanto grande.
Di fronte a me c’è un uomo in divisa, sulla cinquantina. I pochi capelli grigi che gli sono rimasti ai lati della testa sono pettinati all’indietro, numerose rughe gli incorniciano i lineamenti, rendendoli duri e ostili. Gli occhi piccoli e infossati, il naso storno, le labbra sottili serrate sovrastate da un accenno di baffi, anche questi grigi.
Cerco di ricordare i volti che Ethan mi ha mostrato nello studio, ma non credo di averlo mai visto.
Dietro di lui due soldati sono in piedi davanti alla porta, immobili.
Sono armati; è l’unico dettaglio su cui riesco a concentrarmi.
Deglutisco.
Non c’è nemmeno una finestra, e all’improvviso sento di star soffocando. Mi costringo a rallentare il battito, respirando profondamente.
“Lowers” Lo correggo sostenendo il suo sguardo; il cognome di mia madre. Quando parlo mi rendo conto che ho la voce gracchiante, la gola mi brucia.
Rimane fermo per qualche istante, poi scoppia a ridere, come se avessi detto qualcosa di estremamente divertente.
Chi è quest’uomo? Come fa a sapere chi sono?
Lo sguardo mi cade di nuovo sui due soldati, non sembrano divertiti quanto lui.
“Tale madre tale figlia” Continua ridendo. Conosce mia madre? “No, sembri più sveglia, spero che tu sappia che ignorarlo non cambierà il fatto che è tuo padre”.
Si sposta girandomi intorno, poi va dietro e lo sento prendere qualcosa che non riesco a vedere, non mi giro. Comincio a contare i respiri cercando di calmarmi.
“Kathrine non l’ha mai capito” Mi irrigidisco. Cosa intende dire? Cosa c’entra mia madre in tutto questo? Le domande continuano ad aggiungersi, ma i soldati di fronte a me mi ricordano di tenere la bocca chiusa.
L’uomo torna davanti a me con una sedia che posiziona a pochi centimetri dalle mie ginocchia.
Si siede e poggia i gomiti sulle ginocchia piegandosi in avanti. Resta fermo ad osservarmi “Le assomigli” Dice prima di tornare dritto.
“Dove mi avete portata?” Forse di tutte le domande che ho in mente questa è la più stupida, ma è anche l’unica che ho il coraggio di porre “Quartier generale dell’esercito americano di questa città.” Mentre parla si sporge in avanti avvicinandosi sempre di più, è a pochi centimetri dalla mia faccia “Se pensi di scappare toglitelo dalla testa. Ci servi ma non sei indispensabile, tienilo a mente prima di fare qualche stupidaggine” Resta immobile e io trattengo il respiro finché non torna al suo posto.
Ci servi ma non sei indispensabile.
Aggrotto le sopracciglia confusa “Hai ragione” Dice sistemandosi i polsini della divisa “Arriviamo al punto. Dove ha nascosto la formula?” Poi nella stanza cala il silenzio. Resta a fissarmi, facendomi qualche cenno di incoraggiamento, aspettandosi che io risponda alla domanda.
“Cosa?” Riesco a tirare fuori dopo un po’ “La formula ragazzina, non è una domanda complicata! Dove ha nascosto la formula Kathrine Lowers?” Stavolta urla alzandosi in piedi e io abbasso lo sguardo cercando di diventare invisibile. Ma di che diamine sta parlando?
“Quale formula?” Sembra diventare rosso dalla rabbia, e alza le braccia in aria. Chiudo gli occhi di scatto e mi chino su me stessa aspettando di sentire il dolore. Niente.
Torna a sedersi di fronte a me. Per un attimo ho creduto che mi avrebbe colpita.
“Non fare la finta tonta con me ragazzina. Sappiamo che Kathrine stava lavorando ad un antidoto, e sappiamo che ha nascosto la formula. Tu devi dirci dov’è, non è tanto difficile. Questo oppure puoi dirci dove si nasconde tua madre.”
Un antidoto.
Ma è ridicolo, come potrebbe mia madre fare un antidoto, a malapena riusciva ad aiutarci con i compiti di scienze.
Faccio per parlare ma poi mi blocco. Lui resta in attesa, le sopracciglia alzate, gli occhi fissi su di me, attento.
Loro non sanno che mia madre è morta.
E non ho intenzione di dirglielo.
Non sto capendo nulla di quello che mi sta chiedendo, ma forse, potrei sfruttare la situazione in qualche modo.
“Non so dov’è la formula” Dico lentamente fingendo di sapere di che parla.
Lascia passare qualche secondo, poi viene in avanti di scatto e mi afferra per il colletto della maglietta portando il suo viso di fronte al mio.
Vengo percossa da una serie di brividi e sento la fronte imperlarsi di sudore. Se non fosse che mi ha bloccata sarei saltata per lo spavento.
“Stammi bene a sentire, qui non saremo clementi come la squadra di recupero. Puoi collaborare con le buone, o con le cattive”.
Il suo respiro si scontra sulla mia pelle e devo concentrarmi per fermare un conato di vomito.
Lentamente mi lascia andare, restando vicino.
Squadra di recupero?
“Sei un osso duro, ma quanto pensi che potrai resistere ancora?” Sorride facendomi venire i brividi.
“È da un po’ che siamo sulle tue tracce, dopo che sei stata vista nei paraggi di una scuola in città” Dice tornando serio “Nemmeno i cercatori sono riusciti a prenderti. Se non fosse che ci servi ti faremmo fuori subito, Bill era uno dei nostri cercatori migliori e ora dovrà restare al letto per settimane” Dice assottigliando lo sguardo.
Bene.
“Non hai detto che non sono insostituib-“ Un dolore lancinante mi impedisce di finire la frase. La testa va all’indietro nell’impatto con la nocca della sua mano.
Gli occhi cominciano a lacrimare e il labbro pulsa.
Vedo sfocato. Devo sbattere gli occhi un po’ di volte prima di tornare a capire cosa ho davanti.
“Non scherzare con il fuoco Elizabeth.” Comincia a massaggiarsi la mano “Per fortuna, la nostra squadra di recupero ha fatto un buon lavoro. Non mi fidavo molto di quel moccioso ma il suo piano ha funzionato” Aggrotto le sopracciglia, di cosa sta parlando?
“Dopo averti identificata abbiamo potuto procedere con il sequestro. È stato così semplice, e pensare che credevamo non saresti uscita sola e indifesa solo per chiudere uno sportello” Torna a sorridere “Ti facevo un po’ più sveglia, ma meglio così”.
Serro la mascella stringendo i pugni.
“Oh non fare così, pensa che grazie a te la squadra di recupero verrà promossa” Allunga una mano per scansarmi una ciocca di capelli che mi è caduta sul viso quando mi ha tirato il pugno ma io mi scanso all’indietro senza permettergli di toccarmi.
La sua mano resta a mezz’aria e vedo la sua espressione indurirsi di nuovo.
Poi qualcuno bussa alla porta.
Tre colpi, poi due, infine sei.
La sua espressione si illumina e si scansa di nuovo, raggiante “Eccoli che arrivano”.
Senza aspettare risposta, la porta si apre.

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siamo a più della metà ormai amici, ditemi cosa ne pensate della storia

-emme <3

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