Capitolo 2

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Lego i capelli in una coda alta, afferro lo zaino e mi dirigo verso la porta senza voltarmi. Sono tentata, ma so che se lo facessi non riuscirei più ad andarmene.

Prendo le chiavi di casa e le metto nello zaino pur sapendo che probabilmente non ne avrò più bisogno, poi afferro l’accetta.
Mi sistemo lo zaino in spalla e lancio un’occhiata a Balto “Pronto?” mi guarda coi suoi grandi occhioni, scodinzolando come sempre.

Chiudo gli occhi, faccio un respiro profondo e un passo dopo l’altro raggiungo la porta incerta, la serratura scatta quando poggio la mano sulla maniglia fredda rabbrividendo, con l’altra stringo la presa sull’arma.
Apro uno spiraglio e la luce mi acceca così chiudo di nuovo gli occhi aspettando che la vista si abitui al sole prima di riaprirli del tutto. Sembra tranquillo.

Esco e arrivo titubante sul portico saldandomi bene a terra, chiudo in fretta la porta e butto fuori l’aria che stavo trattenendo, la brezza frizzante del mattino mi investe arrossandomi il naso e le guance.

Devo muovermi in fretta, sono le sei del mattino, ho undici ore prima che il sole inizi a tramontare, devo trovare provviste e un luogo sicuro dove passare la notte.

Preferiscono l’oscurità loro.

Mi muovo in fretta, silenziosa, guardandomi di continuo alle spalle, sbatto raramente le palpebre per non rischiare di perdere nemmeno il minimo spostamento e dopo poco mi bruciano gli occhi.

Attraverso il giardino e la strada cercando di restare concentrata su dove metto i piedi. Cammino sul marciapiede anche se non è necessario, e mi sposto verso est, dove ci sono le scuole e le case di campagna.

Spesso la mamma o Noah sono usciti per cercare provviste nelle abitazioni qui vicino, ma niente da fare. Sono arrivati fin nel centro della città, tutto sparito. Alla fine sono spariti anche loro.

La scuola più vicina, la mia, dista esattamente tre chilometri, se mantengo il passo sono quaranta minuti a piedi. Sarà la mia prima tappa, posso prendere il cibo dalle macchinette e cercare altre cose utili, batterie, se sono fortunata.

Stamattina mi sono ricordata di aver trascurato uno degli oggetti che più in assoluto potrebbero tornarmi utili, una torcia. Ne ho trovata una nella camera di Noah e l’ho messa nella zaino ma non aveva le pile, e in casa non ce n’erano che potessero andare bene.

Un rumore.

Vento?

No.

Mi giro di scatto e osservo attentamente il cespuglio mentre Balto ringhia “Shh! Zitto!” Qualche secondo di silenzio e poi di nuovo quel suono. E’ un verso.

Qualcosa scuote il cespuglio e poi striscia fuori.

Loro sono piuttosto lenti, e lui è lento abbastanza da permettermi di capire che cosa sta succedendo.

Rafforzo la presa sull’accetta e dandomi una bella spinta in avanti gli corro incontro. Conficco l’arma nella sua testa accompagnando il gesto con un urlo, più per cercare di darmi coraggio che per altro, e schizzi di sangue entrano in contatto con i miei vestiti e si infrangono sul mio viso.
Il suo corpo si immobilizza ed esala un ultimo respiro strozzato prima di precipitare in avanti.

L’accetta è incastrata e la mia presa è salda, così in un attimo vengo trascinata a terra accanto alla sua pelle putrefatta, alla sua puzza e alle sue gambe contorte in modo innaturale.

Scatto in piedi disgustata e poggio un piede sulla sua spalla tenendo fermo il corpo mentre con le braccia faccio forza per riappropriarmi della mia arma.

Non lo guardo, non ci riesco.

Li odio con tutta me stessa per avermi portato via la mamma, Noah. Li odio ma non riesco a guardarlo perché sono stata io ad ucciderlo. Prima era un essere umano e io l’ho appena ucciso.

Cerco di immaginare cosa direbbe Noah per farmi sentire meglio, probabilmente che non sono stata io ad ucciderlo perché è morto nel momento in cui è stato morso, ma non aiuta molto.

Ho bisogno di chiudere gli occhi per un attimo e respiro con la bocca per non sentire il suo fetore nauseante. Balto ringhia ancora ma così fa troppo rumore “Balto! Stai zitto!” lui si avvicina, il pelo della schiena dritto.
Proseguo in silenzio, più in allerta di prima, non poteva essere il solo ad aggirarsi da queste parti, non dopo la confusione che ho fatto perlomeno, potrebbero arrivarne altri in qualsiasi momento.

Ci sono solo due cose che riuscirebbero a tirarli fuori dai loro angoli bui: il cibo, tradotto esseri umani, e i rumori. E al momento qui ci sono entrambe.

Li chiamano morti viventi no? L'oscurità, la notte....la morte è scura. O almeno è così che l’ho sempre immaginata.  Ha senso che preferiscano il buio.

Accelero fino a correre e abbasso lo sguardo solo per assicurarmi che Balto sia ancora con me. Un vicolo, due. Destra e poi a sinistra, ma devo camminare ancora per qualche altro minuto prima di riuscire a vederlo. Un imponente edificio rosso mattone, più una reggia che una scuola, fa la sua figura anche durante un’apocalisse zombie.

Odiavo andarci, ma ora darei qualsiasi cosa per tornare indietro, per tornare a quando tutto era ancora normale, a quando avevo ancora la mia famiglia.

Darei tutto per riavere un po’ di normalità. Non che io abbia molto da offrire al momento.

Mi faccio strada nel parcheggio accovacciandomi di tanto in tanto dietro ad una macchina sfasciata, ad alcune mancano i vetri, ad altre qualche ruota.

Mi guardo alle spalle, poi Balto, infine proseguo. Il tutto si ripete ancora e ancora in un ciclo infinito ed estenuante finché non arrivo accanto alla macchina più vicina all’entrata più ansiosa di prima.

L’edificio è molto grande, non so quanti ce ne potrebbero essere dentro...decine? Centinaia? Ma tanto quali altre opzioni ho? Posso tornare indietro e rinchiudermi nuovamente a casa, un luogo sicuro, un luogo che conosco, ma non ho provviste.

Potrei andare in una delle case qui intorno, quelle in campagna, prendere quello che trovo e poi tornare a casa, ma sono tutte lontanissime, parliamo di chilometri di strada a piedi. In quanto tempo arriverei lì? Entro quando tornerei? E soprattutto, se non dovessi trovare niente di utile? Avrei sprecato un giorno, starei un giorno in più a sopravvivere con una sola scatoletta di fagioli, un giorno più vicina al momento in cui rimarrò senza scorte.

Le case nel mio quartiere? Vuote.

Quelle nel centro? vuote.

Non ho alternative e non ho niente da perdere.

Prendo un bel respiro rigirandomi l’accetta tra le mani.

Potrei passare dalla porta della palestra, è a vetri ed è grande, c’è tanta luce quindi ho buone probabilità di non incontrare nemmeno uno di loro, ma è sul retro dell’edificio. Dovrei girargli tutt’intorno per arrivare lì, sarei esposta per tanto tempo.

Inoltre, devo trovare delle macchinette, e queste sono tutte al secondo piano, nessuna delle due scalinate è vicina alla palestra, dovrei passare per due corridoi interi prima di raggiungere le scale.

Troppo tempo. Troppo esposta. Troppo rischioso.

Potrei passare dalla segreteria, mi giro a guardare la piccola porticina che mi saluta dall’altro lato del parcheggio. Ci sono le scale lì vicino...ma la stanza è piccola, non ci sono finestre a parte quelle che si affacciano sull’interno della scuola. Poca luce, tante possibilità che sia il covo di quei mostri zoppicanti. No, non va bene.

Rimane solo un’opzione: l’entrata principale.

Le porte sono di vetro, entra tanta luce quindi l’atrio è completamente illuminato, le scale distano solo un corridoio di distanza, è comunque un po’ di strada ma è la scelta più sicura, ho qualche possibilità di uscirne viva.

Smetto di pensarci, mi alzo e guido Balto fino alla porta.

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muah
-emme <3

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